16 novembre 2018

150 anni di «amicizia» italo-svizzera: 2. La questione del Gottardo


Il progetto del traforo del San Gottardo fu la spinta decisiva alla conclusione del Trattato di amicizia tra la Svizzera e l'Italia del 1868. La questione ferroviaria era divenuta per la Svizzera di fondamentale importanza proprio durante i negoziati del Trattato, perché erano in fase di realizzazione due importanti trafori transalpini (quello del Frejus tra l’Italia e la Francia e quello del Brennero tra l’Italia e l’Austria) e la Svizzera rischiava di essere esclusa dalle grandi direttrici del traffico nord-sud, nonostante il sostegno di numerosi esperti a un collegamento ottimale dell’Italia con l’Europa centrale attraverso la Svizzera con una galleria sotto il San Gottardo. Per poterlo realizzare era indispensabile l’accordo dell’Italia e della Germania e per ottenerlo la Svizzera era disposta a molte concessioni.

La questione del Gottardo
Per perorare la causa del Gottardo, nel 1864 fu inviato a Torino (allora capitale) come ministroplenipotenziario della Confederazione nientemeno che l’ex consigliere federale Giovan Battista Pioda, ticinese con studi a Como e Pavia, abile negoziatore e convinto gottardista. Non gli fu difficile convincere il governo italiano, non solo per le ottime argomentazioni (che mettevano in evidenza i vantaggi per l’Italia), ma anche per le buone relazioni con alcuni politici, tra cui Luigi Amedeo Melegari, anch’egli grande sostenitore dell’opzione Gottardo e, dal 1867, ministro plenipotenziario del Re d’Italia presso la Confederazione.

Giovan Battista Pioda,
plenipotenziario d. Svizzera
E’ tuttavia opportuno ricordare anche che la Svizzera fin verso la fine del XIX secolo era un Paese di emigrazione e contemporaneamente in forte sviluppo. Per compensare la manodopera che emigrava, in parte proprio in Italia, con nuove forze di lavoro, bisognava attrarle specialmente dai Paesi vicini offrendo loro condizioni vantaggiose come la libertà di domicilio e di commercio. Queste libertà, si badi bene, garantivano agli stranieri praticamente gli stessi diritti civili garantiti dalla Costituzione federale del 1848 all’articolo 41 capoverso 4 al cittadino svizzero domiciliato, il quale «gode di tutti i diritti dei cittadini del Cantone in cui è stabilito, ad eccezione del diritto di voto negli affari comunali».
Si può ben comprendere a questo punto che pur di garantirsi un buona prospettiva la Confederazione fosse disposta a negoziare contemporaneamente ben quattro trattati e a fare non poche concessioni (anche se nel parlamento italiano c’era sempre qualcuno che le considerava insufficienti).

«Amicizia e libertà reciproca»
Luigi Amedio Melegari
plenipotenziario dell'Italia
Grazie agli evidenti interessi reciproci e al clima amichevole in cui si svolsero i negoziati, il 22 luglio 1868 furono firmati a Berna diversi accordi, ma quello determinante per l’immigrazione di svizzeri in Italia e di italiani in Svizzera fu il «Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l’Italia», che ha conservato la sua piena validità fino all’entrata in vigore degli Accordi bilaterali tra la Svizzera e l’Unione europea (2002).
Specialmente all’inizio del Trattato emerge chiaramente lo spirito del tempo e la lungimiranza dei negoziatori. Oltre a dichiarare «amicizia perpetua e libertà reciproca di domicilio e commercio» tra la Svizzera e l’Italia, esso prevedeva che in ogni Cantone della Confederazione Svizzera, «gli Italiani saranno ricevuti e trattati riguardo alle persone e proprietà loro sul medesimo piede e nella medesima maniera come lo sono o potranno esserlo in avvenire gli attinenti degli altri Cantoni. E reciprocamente gli Svizzeri saranno in Italia ricevuti e trattati riguardo alle persone e proprietà loro sul medesimo piede e nella medesima maniera come i nazionali… potranno liberamente entrare, viaggiare, soggiornare e stabilirsi in qualsivoglia parte del territorio…».
Lo spirito alquanto «liberale» che traspare nel testo citato non deve sorprendere. Verso la metà del XIX secolo, tra i cittadini delle regioni di frontiera, in mancanza di disposizioni ufficiali contrarie, la libertà di stabilire il proprio domicilio nell’una o nell’altra parte era ampiamente praticata. La situazione riguardava allora poche migliaia di svizzeri emigrati in Italia (Milano, Bergamo, Venezia, Roma, Napoli, ecc.) soprattutto come artigiani, albergatori e imprenditori, e poche migliaia di italiani del nord stabilitisi per lo più nel Ticino e nei Grigioni come boscaioli, carbonai, muratori, artigiani e operai generici. (Segue)

Nessun commento:

Posta un commento