Il progetto del traforo del San Gottardo fu la spinta decisiva alla conclusione del Trattato di amicizia tra la Svizzera e l'Italia del 1868. La
questione ferroviaria era divenuta per la Svizzera di fondamentale importanza
proprio durante i negoziati del Trattato, perché erano in fase di realizzazione
due importanti trafori transalpini (quello del Frejus tra l’Italia e la Francia
e quello del Brennero tra l’Italia e l’Austria) e la Svizzera rischiava di
essere esclusa dalle grandi direttrici del traffico nord-sud, nonostante il
sostegno di numerosi esperti a un collegamento ottimale dell’Italia con
l’Europa centrale attraverso la Svizzera con una galleria sotto il San
Gottardo. Per poterlo realizzare era indispensabile l’accordo dell’Italia e
della Germania e per ottenerlo la Svizzera era disposta a molte concessioni.
La questione del Gottardo
Si
può ben comprendere a questo punto che pur di garantirsi un buona prospettiva
la Confederazione fosse disposta a negoziare contemporaneamente ben quattro
trattati e a fare non poche concessioni (anche se nel parlamento italiano c’era
sempre qualcuno che le considerava insufficienti).
«Amicizia e libertà reciproca»
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Luigi Amedio Melegari plenipotenziario dell'Italia |
Specialmente
all’inizio del Trattato emerge chiaramente lo spirito del tempo e la
lungimiranza dei negoziatori. Oltre a dichiarare «amicizia perpetua e
libertà reciproca di domicilio e commercio» tra la Svizzera e l’Italia, esso
prevedeva che in ogni Cantone della Confederazione Svizzera, «gli Italiani
saranno ricevuti e trattati riguardo alle persone e proprietà loro sul medesimo
piede e nella medesima maniera come lo sono o potranno esserlo in avvenire gli
attinenti degli altri Cantoni. E reciprocamente gli Svizzeri saranno in Italia
ricevuti e trattati riguardo alle persone e proprietà loro sul medesimo piede e
nella medesima maniera come i nazionali… potranno liberamente entrare,
viaggiare, soggiornare e stabilirsi in qualsivoglia parte del territorio…».
Lo
spirito alquanto «liberale» che traspare nel testo citato non deve sorprendere.
Verso la metà del XIX secolo, tra i cittadini delle regioni di frontiera, in
mancanza di disposizioni ufficiali contrarie, la libertà di stabilire il
proprio domicilio nell’una o nell’altra parte era ampiamente praticata. La
situazione riguardava allora poche migliaia di svizzeri emigrati in Italia
(Milano, Bergamo, Venezia, Roma, Napoli, ecc.) soprattutto come artigiani,
albergatori e imprenditori, e poche migliaia di italiani del nord stabilitisi
per lo più nel Ticino e nei Grigioni come boscaioli, carbonai, muratori,
artigiani e operai generici. (Segue)
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