Per la ventiduesima «Giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo» e il 67° anniversario della tragedia di Marcinelle, in cui morirono 262 minatori, tra cui 136 italiani, le più alte cariche dello Stato e numerosi politici sono intervenuti come ogni anno per ricordare e rendere omaggio a tutti i connazionali morti in circostanze drammatiche in emigrazione. Nei loro messaggi - ne ho letto molti - ho colto una sorta di rammarico per quanto accaduto in una miniera del Belgio l’8 agosto 1956 e il dispiacere per quanto toccato alle vittime e alle loro famiglie.
A chi ha scritto che nella catastrofe di Marcinelle «l’Italia
ha pagato il prezzo più alto» bisognerebbe ricordare che in quei decenni l’Italia
investiva poco sull'emigrazione e lucrava molto sul lavoro, i sacrifici e le
rimesse di tanti italiani costretti a fuggire dalla miseria e dall'insicurezza.
Non si può dimenticare che allora gli emigrati in Belgio erano considerati poco
più di merce di scambio per avere il carbone necessario all'industria.
Nessuno ha ricordato esplicitamente il famoso (o
famigerato?) Protocollo di Roma firmato da De Gasperi (col benestare di
Togliatti e Nenni) e il ministro belga Van Hacker, in cui si formalizzava lo scambio tra carbone e manodopera.
L’Italia s’impegnava a favorire l’emigrazione nelle miniere del Belgio di circa
50.000 lavoratori, duemila ogni settimana, e il Belgio a vendere mensilmente
all'Italia almeno 2500 tonnellate di carbone per ogni mille operai inviati!
Allora si gridò allo scandalo perché, si diceva, cittadini italiani erano «venduti per un sacco di carbone». Quel sentimento era ampiamente condiviso tra la popolazione, soprattutto dopo i racconti delle condizioni di lavoro, di alloggio e di vita dei primi minatori. Ufficialmente, invece, l’Italia stava combattendo la «guerra del carbone» necessario per la ripresa economica e la competitività in Europa.
Nemmeno dopo la
disgrazia del 1956 o quella di Mattmark del 30 agosto 1965 (con 88 vittime, di
cui 56 italiani) nessun rappresentante della politica italiana ha mai chiesto
scusa agli italiani costretti ad emigrare perché l’Italia matrigna non riusciva
a garantire loro il lavoro e un futuro dignitoso. Rileggendo i discorsi
programmatici dei vari governi del dopoguerra e le discussioni parlamentari
sulla politica estera italiana è facile notare con quanta insistenza si
prometteva il massimo impegno del governo per eliminare alla radice le cause
dell’emigrazione.
Poiché nessun
governo ci è riuscito è legittimo il dubbio sull'effettivo impegno dei governi
che nel frattempo si sono succeduti a rimuovere le cause dell'emigrazione. In
effetti, stando alla statistiche, ancora oggi, sia pure in condizioni diverse
da quelle del dopoguerra, si continua ad emigrare a decine di migliaia e i
costi per l’Italia sono ingenti.
Quanto si dovrà
ancora attendere perché il governo (di destra o di sinistra poco importa) s’impegni
veramente a rendere l’emigrazione (e l’immigrazione) una scelta libera e
consapevole?
Giovanni Longu
Berna 8 agosto 2023
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