Nella storia d’Italia, periodi di crisi simili a quello attuale ce ne sono stati. Cent’anni fa, ad esempio, la penisola era attraversata da nord a sud da una crisi occupazionale e sociale di enormi proporzioni. La disoccupazione era diffusa, la povertà aumentava, il malcontento non risparmiava alcuna classe sociale.
La situazione finì per provocare la caduta dell’ultimo governo presieduto da Giovanni Giolitti, creando le premesse per l’intervento italiano nella prima guerra mondiale e per l’avvento del fascismo. Non riuscì a fare meglio il suo successore, Antonio Salandra, che anzi peggiorò la situazione soprattutto dopo l’entrata in guerra dell’Italia (24 maggio 1915).
Richiesta di riforme sociali e istituzionali
In un intervento del giugno 1914 alla Camera dei deputati,
che si accingeva a discutere un disegno di legge concernente «provvedimenti
tributari», l’onorevole Nino Mazzoni, sindacalista socialista, chiese di
non entrare in materia «deplorando che i nuovi oneri finanziari non siano
accompagnati da provvedimenti di indole sociale». Il riferimento era alle casse
vuote dello Stato in seguito alla costosissima guerra per la conquista della
Libia (1911-1912) e ai tentativi del governo Salandra di far soldi introducendo
nuove imposte, che gravavano soprattutto sul ceto medio.
Mazzoni addossava al sistema politico di allora (da cui
erano esclusi i socialisti) la responsabilità dell’aggravarsi della «grave
crisi economica» e della «condizione delle classi lavoratrici», provocando
soprattutto nelle provincie meridionali miseria e disoccupazione «che trovano
il loro sfogo nella emigrazione, le cui cifre in questi ultimi anni salirono
spaventosamente».
Al governo il deputato socialista rimproverava di non fare
nulla per i lavoratori della terra e per i consumatori, mentre sarebbe stata
più che mai opportuna una «politica di provvidenze sociali e di lavori». Secondo
lui, una tale politica presupponeva, già allora, «una radicale rinnovazione di
tutti gli organi e di tutte le funzioni dell'Amministrazione dello Stato», ma
il governo pensava ad altro.
Riforme tra mito e realtà
Matteo Renzi |
Stento a capire, ad esempio, quante delle numerose riforme
annunciate dal presidente Renzi abbiano finora avuto un risvolto pratico. Già
il continuo parlare di «riforme» in generale senza precisione alcuna ne hanno
fatto una sorta di mito, che le colloca sul piano dell’irrealtà o al massimo
delle buone intenzioni, ma senza alcuna efficacia pratica. Le riforme o sono
reali e in atto o sono solo progetti, visioni, aspirazioni.
Se poi le riforme si riducono, nell’opinione pubblica, alla
trasformazione del Senato in una nuova entità dai contorni ancora misteriosi, o
alla nuova legge elettorale ancora in alto mare (ma di cui tra gli stessi
sostenitori si va dicendo che sarebbe a rischio d’incostituzionalità) o alla
riforma della Pubblica amministrazione di là da venire (senza indicarne nemmeno
le linee guida), viene da chiedersi se tutti questi magari auspicabili
cambiamenti sono davvero ciò che la crisi della società italiana di oggi ha
bisogno.
Ho ascoltato con attenzione e riletto sulla stampa vari interventi
di questi giorni del presidente del Consiglio dei ministri italiano, che anche
di fronte ai capi di Stato e di governo europei continua ad insistere sulle riforme
italiane, come se quelle prospettate e magari già in discussione fossero già
attuate. Forse Renzi non si rende conto che gli europei, soprattutto quelli del
nord, sono tipi pratici, poco propensi a credere e sempre pronti a giudicare,
soprattutto quando dimostrano di saper fare bene i compiti e i conti.
Le riforme in lista d’attesa
Ho trovato sorprendente, ad esempio, la polemica che Renzi
ha innescato con i tecnocrati e i banchieri europei immaginando forse che in
Europa ci sia qualcuno che ritenga possibile che in una comunità come quella
europea possano convivere indifferentemente Stati virtuosi e Stati che non
sanno nemmeno tenere i propri conti in ordine.
Non ci vuole un economista per capire che un debito è sempre
un fardello e il debito dello Stato sta diventando in Italia un fardello sempre
più pesante per tutti, perché mancano i soldi da investire nei servizi
pubblici, nella formazione, negli incentivi all’occupazione, ecc.
Mi auguro di poter sentir annunciare da Matteo Renzi o da
qualche altro esponente del suo governo che finalmente il PIL cresce
nuovamente, la disoccupazione cala, i giovani possono guardare più serenamente
al futuro, le famiglie vivono più tranquille, i servizi pubblici funzionano, il
sistema formativo italiano risale nelle classifiche internazionali, tutti i
cittadini italiani pagano le tasse dovute, per cui lo Stato le diminuisce a
tutti, i corrotti vengono sanzionati, solo i meritevoli fanno carriera, l’Italia
è ridiventata competitiva, ecc. ecc.
Ma quando tutto ciò o una buona parte sarà possibile?
Giovanni Longu
Berna, 09.07.2014
Berna, 09.07.2014
Nessun commento:
Posta un commento