Papa Francesco (1936-2025) ci ha lasciato il 21 aprile 2025, all'età di 88 anni, dopo averci dato la benedizione Urbi et Orbi e consegnato un ultimo messaggio pasquale, il giorno prima, Domenica di Pasqua. Non so con quali sostantivi e aggettivi sarà ricordato di preferenza, ma se dovessi sceglierne uno tra quelli che gli sono stati attribuiti finora la mia preferenza andrebbe a «pastore» e «coraggioso».
E’ stato infatti un pastore di anime che ha sempre cercato di custodire con coraggio il gregge che il Padre, tramite il Collegio cardinalizio, gli aveva affidato il 13 marzo 2013, dai molti lupi che hanno tentato in vari modi di dividerlo e trasformarlo in fazioni contrapposte, attribuendogli atteggiamenti mutuati dal linguaggio politico, senza rendersi conto che la Chiesa non è identificabile con alcun regime politico. Papa Francesco ha sempre difeso con convinzione il Popolo di Dio, non le sue prerogative di capo della Chiesa, addirittura rinunciando all'appartamento papale al terzo piano del Palazzo apostolico in Vaticano, preferendo la più modesta sistemazione nella Casa Santa Marta.Egli è stato un pastore coraggioso perché ha ricordato
ai fedeli e alla Chiesa non solo il cammino (come ricerca del senso della vita),
talvolta difficile, doloroso, esigente (e su cui la pastorale tende a
soffermarsi a lungo), ma anche la meta: la Salvezza, la Resurrezione, il Regno
di Dio, «l’incontro con il Signore
Gesù» (di cui si parla poco). In questa ottica papa Francesco ha voluto
dedicare l’Anno Santo 2025 al tema
«Pellegrini di speranza» perché «la speranza cristiana non
illude e non delude, essendo fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà
mai separarci dall'amore divino».
Papa Francesco è stato un pastore coraggioso perché
ha cercato di far capire al Popolo di Dio, che ci si salva camminando insieme, pregando
insieme, sperando insieme, in comunione anche con gli altri cristiani non
cattolici e persino con i non cristiani. Ha sottolineato in più occasioni che la solidarietà
cristiana è un'espressione fondamentale dell'amore e della comunione, come
conseguenza dell'essere membra del corpo di Cristo e tutti figli dello stesso
Padre («Fratelli tutti»!): «ci si salva soltanto insieme, incontrandosi,
negoziando, smettendo di combattersi, riconciliandosi, moderando il linguaggio
della politica e della propaganda, sviluppando percorsi concreti per la pace».
Papa Francesco è stato un pastore coraggioso perché non ha cercato solo di mettere in sicurezza la comunità delle persone che lo seguivano fedelmente, geograficamente vicine e lontane, ma ha cercato anche le persone smarrite, quelle allontanate da prospettive illusorie, ma soprattutto quelle discriminate per tanti pregiudizi, soprattutto i poveri, i malati, gli anziani, gli emarginati, i migranti, le persone trans e omosessuali, perché anch’essi figli di Dio e nel Popolo di Dio non ci sono figli di serie A e di serie B, non esistono persone da discriminare e da scartare. La Chiesa non discrimina nessuno.
Papa Francesco ha dimostrato tutta la vita di essere rispettoso, accogliente, aperto al dialogo con tutti, nella Chiesa e fuori, perché andava ripetendo, specialmente negli ultimi tempi, ci si salva camminando insieme e solidarizzando con tutti, perché «Dio salva tutti». Nella Chiesa non ci sono «scarti». Non lo ammette la solidarietà cristiana e umana, non lo ammette il Vangelo. Semmai, ripeteva papa Francesco, siamo tutti peccatori, tutti abbiamo conti in rosso, siamo tutti debitori di Dio. La sua vita è stata una testimonianza coraggiosa del Vangelo. Specialmente negli ultimi giorni di vita non ha nascosto la sua malattia e le sue difficoltà a muoversi e a parlare.
Papa Francesco è stato un pastore coraggioso perché
ha detto senza esitazione ai potenti della terra che «la pace è un bene
prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l'umanità», che
nessuna pace è possibile senza un vero disarmo, che la giustizia non risponde
alla legge del più forte (secondo cui «il potente mangia il più debole»), che
il negoziato è un atto di coraggio. Al contrario, riteneva la guerra ignobile, un
trionfo della menzogna e dell'interesse, una sconfitta per tutti e che la corsa
al riarmo è ingiustificata e dannosa. Sapeva che
i suoi auspici non avrebbero avuto seguito, ma non si stancava di continuare a
sperare.
Infine, papa Francesco è
stato un pastore così coraggioso che anche durante la malattia ha
pregato e lavorato per la Chiesa. Il giorno di Pasqua, vigilia del decesso, non
ha voluto rinunciare alla benedizione Urbi et Orbi e al suo ultimo giro in
papamobile tra i fedeli presenti in piazza San Pietro, come se, prima della sua
definitiva partenza, volesse salutarli e abbracciarli tutti, uno per uno, anche
quelli che non potevano essere presenti fisicamente. Credo che in questo
abbraccio si siano riconosciuti in molti, anche non cattolici e non cristiani.
Grazie, papa
Francesco. R.I.P.
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