Prima di trattare di una delle più gravi conseguenze indirette della prima guerra mondiale, l’avvento del Fascismo in Italia, mi sembra opportuno ricordare un evento poco noto organizzato 110 anni fa in Svizzera, a cui parteciparono numerosi socialisti europei: la Conferenza di Zimmerwald o Prima conferenza internazionale socialista. Essa viene qui rievocata non tanto per evidenziare un incontro che pur avendo avuto un certo seguito non raggiunse gli obiettivi che si proponeva, soprattutto quello di fermare la guerra, quanto piuttosto per ricordare che all'inizio del secolo scorso il socialismo riusciva ad aggregare in Svizzera molti immigrati (spesso in competizione con le Missioni cattoliche bonomelliane) e servì a gettare ponti con la sinistra organizzata svizzera, che sosteneva fra l’altro politiche immigratorie progressiste.
Perché in Svizzera?
In Svizzera tenevano incontri, conferenze, congressi,
stampavano libri e riviste, anche se la Confederazione esercitava su di essi
una discreta sorveglianza. Gli interessati a questi personaggi e agli eventi
che li hanno visti come protagonisti in Svizzera, osserveranno facilmente che i
nomi più ricorrenti riguardano uomini. Sarebbe tuttavia sbagliato concludere
che la scarsa frequenza di nomi dell’altro sesso corrisponda a una scarsa
influenza delle donne su quegli eventi. Esse furono infatti non meno
protagoniste degli uomini, come risulterà da un prossimo articolo, benché le
cronache e le successive rievocazioni storiche abbiano riservato loro meno
spazio e meno importanza, anche nella storia dell’immigrazione.
Per rispondere alla domanda «perché in Svizzera?» bisogna anche ricordare che la classe colta russa conosceva bene la Svizzera e i rapporti bilaterali erano consolidati ormai da secoli. Del resto era una consuetudine frequente che molte ragazze russe, che non potevano proseguire gli studi universitari nella Russia autocratica zarista, s’immatricolassero nelle università svizzere. Per esempio, nel semestre invernale 1906-1907 negli atenei svizzeri risultavano immatricolati, accanto a 2660 studenti svizzeri (maschi e femmine), 2322 russi (maschi e femmine), ma mentre le studentesse svizzere erano appena 172, quelle russe erano ben 1507.
Va anche ricordato che gli eventi russi successivi al 1917
furono in gran parte preparati all'estero, come dimostra facilmente la biografia
di Lenin, che trascorse in Svizzera circa sei anni e mezzo, prima di
rientrare nel 1917 a San Pietroburgo per prendere la guida delle Rivoluzione
(cfr. articolo del 19 marzo 2025).
Perché Zimmerwald?
Anche a questa domanda la risposta è semplice. Siccome la Svizzera neutrale non voleva che sul suo territorio si organizzassero eventi che avrebbero potuto creare difficoltà diplomatiche, gli organizzatori svizzeri guidati da Robert Grimm cercarono un luogo piuttosto appartato e di non facile accesso, soprattutto allora. Zimmerwald dev'essere apparso un luogo ideale (come lo sarà l’anno seguente per il seguito della conferenza Kiental, pure nel Cantone di Berna).
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Angelica Balabanoff (1878-1965) |
Zimmerwald era ed è tuttora un piccolo villaggio del Cantone
di Berna, che acquistò notorietà dopo la conferenza, che si tenne dal 5 all'8
settembre 1915, alla quale aveva partecipato una folta delegazione russa di cui
facevano parte fra gli altri Lenin (1870-1924) e Lev Trotsky (1879-1940). Del Partito socialista italiano parteciparono solo esponenti
contrari alla guerra come Angelica Balabanoff (1878-1965), Oddino Morgari, Giuseppe Emanuele Modigliani, Costantino Lazzari e Giacinto Menotti Serrati.
Di Angelica Balabanoff, personaggio chiave del socialismo
italiano e delle conferenze internazionali di Zimmerwald e Kienthal (1916) si
parlerà ancora in altro articolo. Qui basti ricordare che per alcuni anni fu
anche di grande sostegno all’immigrazione italiana in Svizzera operando da
quella centrale zurighese che fu il Ristorante «Cooperativo». Era però
anche una rivoluzionaria che non esitava a criticare le condizioni di lavoro e
di vita soprattutto dei lavoratori immigrati. Ritenuta una «pericolosa
bolscevica» e una minaccia alla pace sociale, nel 1918 fu espulsa dalla
Svizzera applicando l’articolo 70 della Costituzione federale allora vigente, che
prevedeva l’espulsione dal territorio svizzero di quelle persone «che mettono a
pericolo la sicurezza interna od esterna della Confederazione».
Bisogna anche aggiungere che la Balabanoff, marxista e
anticlericale, criticava aspramente non solo le istituzioni svizzere, ma anche
alcune organizzazioni che operavano in ambito sociale e religioso in favore
degli immigrati, specialmente le Missioni cattoliche avviate da Monsignor Geremia
Bonomelli (1831-1914), contrapponendo di fatto il Socialismo («la nostra
grande utopia») marxista
al Cattolicesimo e inimicandosi una parte consistente degli immigrati italiani.
Per comprendere meglio l’ambiente degli immigrati italiani
fino alla prima guerra mondiale è opportuno ricordare che negli ultimi decenni
dell’Ottocento e nel primo decennio del Novecento gli immigrati italiani in
Svizzera erano in forte crescita (nel decennio 1900-1910 gli italiani passarono
da 116.693 e 202.809) e si concentravano soprattutto nelle grandi
agglomerazioni. La maggiore concentrazione, escluso il Ticino, era quella del
Cantone di Zurigo con rispettivamente 12.205 e 22.240 italiani.
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Interno del mitico ristorante Cooperativo, abbellito da quadri di Comensoli |
Il Coopi o Copi, come veniva chiamato
abitualmente, divenne un importante punto d’incontro non solo di italiani
perché lo frequentarono socialisti, anarchici, politici e intellettuali di
sinistra, provenienti da diversi Paesi europei. Tra i frequentatori più famosi ci sono
stati Benito Mussolini, quando era ancora militante socialista, Giacomo
Matteotti, Wladimir Uljanow Lenin, Angelica Balabanoff, Antonio
Gramsci, Filippo Turati, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat,
Ignazio Silone, Bertolt Brecht, Max Frisch. In tempi
più recenti erano di casa anche il grande sindacalista svizzero Ezio
Canonica, il pittore italo-svizzero Mario Comensoli, politici come Dario
Robbiani, l’ex Consigliere federale Moritz Leuenberger e molti altri
personaggi della sinistra.
Il «Cooperativo» si dotò presto anche di una libreria e di
un organo di stampa, L'Avvenire dei Lavoratori, molto
diffuso (e ancora pubblicato, purtroppo solo sotto forma di newsletter)
e, durante il regime fascista, fu l'unico foglio socialista italiano edito
fuori dalla clandestinità. Oggi, purtroppo, anche la sede storica del
Cooperativo ha chiuso i battenti.
Giovanni Longu
Berna 23.04.2025
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