16 aprile 2025

1915: L’Italia in guerra (seconda parte)

L’Italia uscì vincitrice dallo scontro con l’Austria, la Germania e la Russia, ma la «vittoria» non corrispose alle attese dei nazionalisti e ai sacrifici compiuti dagli italiani. Quella vittoria fu pagata infatti a un prezzo troppo alto: quasi 1.300.000 morti tra militari (oltre 650.000) e civili (quasi 600.000), circa 450.000 mutilati permanenti (cfr. articolo precedente). La guerra fu un disastro nazionale non solo per le innumerevoli vite umane sacrificate sull'altare di un nazionalismo insensato, ma anche per lo scontento che generò tra chi aveva combattuto, chi aveva sperato in una vittoria dopo una guerra breve e con poche vittime, chi aveva fatto tanti sacrifici e si ritrovava disoccupato, più povero di prima (non solo nel Mezzogiorno, ma anche al Nord) e senza prospettive. Anche molti politici rimasero disorientati, perché il trattato di pace non aveva assegnato all'Italia tutti i territori rivendicati. Si sa, inoltre, che il malcontento degli italiani fu il «pretesto» per la presa del potere dei fascisti nel 1922.

Italiani vittoriosi, ma presto vittime del Fascismo

Durante la prima guerra mondiale furono introdotte nuove armi per maggiori massacri

Sono attribuite al generale Luigi Cadorna le parole: «già, se avessimo marciato con la Germania, nell'agosto del 1914, avremmo avuto grandissimi vantaggi…». Con una buona trattativa, Trento e Trieste avrebbero potuto essere cedute dall'Austria senza la guerra. Inoltre, la disfatta di Caporetto (24 ottobre 1917) aveva dimostrato l’imperizia dei Comandi e contribuito a diffondersi in molte regioni italiane una preoccupante voglia di cambiamento. Nessuno sembrava credere più al futuro radioso dell’Italia che avevano preconizzato gli interventisti.

Gabriele D’Annunzio parlò di una «vittoria mutilata», perché all'Italia, che aveva sperato di ottenere Trento, Trieste e la Dalmazia, gli alleati negarono la Dalmazia. Francia e Inghilterra temevano l’espansionismo italiano nell'Adriatico. Anche la distruzione dell’Impero austro-ungarico, inizialmente non voluto, divenne fonte di preoccupazione per le inevitabili lotte nazionalistiche in Europa.

Inoltre, la vittoria non contribuì a migliorare l’immagine dell’Italia nel mondo, perché fu considerata da molti inaffidabile, anzi «traditrice», perché aveva abbandonato la Triplice Alleanza (con l’Austria e la Germania) e si era schierata con gli avversari.

Infine, anche le condizioni di pace subite dalla Germania non promettevano niente di buono. Come avrebbero reagito i tedeschi alla riduzione massiccia dell’esercito (che non doveva superare le 100.000 unità) e della marina militare, alla rinuncia all'aviazione militare, all'imposizione di ingenti debiti di guerra (circa 132 miliardi di marchi oro), alla cessione di tutte le colonie e alla cessione di  alcuni territori a favore di altri Stati, tra cui Belgio, Francia, Danimarca e Polonia?

Povertà dilagante e tragedia dell’emigrazione

Sergio Romano
A questi segnali se ne aggiungeva un altro che interessava molte più persone: la crescente povertà. La guerra aveva impoverito l’Italia (soprattutto il Mezzogiorno), il costo della vita era aumentato del 40-50%, il potere d’acquisto di una famiglia operaia era diminuito di più del 30%, era aumentata la dipendenza dagli alleati (specialmente dall'Inghilterra e, dalla loro entrata in guerra nel 1917, dagli Stati Uniti) per gli approvvigionamenti alimentari, industriali e finanziari. La prospettiva dell’emigrazione era presa in seria considerazione, soprattutto da chi era dovuto rientrare in Italia per il servizio militare.

Ricordando questo anniversario, non si può evitare di ricordare anche un aspetto perverso della prima guerra mondiale di cui si parla poco, che ha coinvolto centinaia di migliaia di emigrati in Europa. Secondo Sergio Romano, «la guerra, per l’Italia, fu anzitutto la tragedia dell’emigrazione». Infatti, quando l’Italia, allora ancora nella Triplice Alleanza, decise la non belligeranza, centinaia di migliaia di italiani emigrati in Francia, Belgio e Germania, per paura di rappresaglie fuggirono disordinatamente per rientrare in Italia passando spesso in treni molto affollati attraverso la Svizzera.

Anche dalla Svizzera molti immigrati italiani decisero di rientrare perché richiamati o volontariamente. La loro partenza creò non pochi disagi a molte imprese dov'erano impiegati, ma anche alle loro famiglie perché si ridussero drasticamente le rimesse (dai 24.803.363 franchi del 1913 agli 11.771.376 franchi del 1914 e ad appena 5.548.851 franchi nel 1915). Inoltre, i partenti non avevano alcuna garanzia di riavere lo stesso posto di lavoro al loro eventuale ritorno a guerra finita, anzi, coloro che riuscirono a ritornare dovettero affrontare nuove difficoltà perché nel frattempo era cresciuta la xenofobia e la Confederazione aveva adottato misure più restrittive per gli ingressi.

Giovanni Longu
Berna 16.04.2025

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