09 aprile 2025

1915: L’Italia in guerra (prima parte)

Come accennato nell'articolo precedente, i venti di guerra soffiavano da diversi anni in Europa. Il 28 luglio 1914 la guerra è scoppiata fragorosamente coinvolgendo nei quattro anni successivi gran parte degli Stati del mondo. Soprattutto le «Potenze» europee si preparavano da tempo allo scontro per la conquista o riconquista di territori e l’egemonia in Europa. Il nazionalismo di alcune di esse sembrava aspettare solo l’occasione o il «pretesto» (secondo Vilfredo Pareto) per scatenare la «grande guerra», divenuta presto «mondiale». L’Italia per dieci mesi non vi partecipò, ritenendosi impreparata, ma finì per cedere il 23 maggio 1915 alle sollecitazioni di una retorica interventista che stimolava il «sacro egoismo» (Antonio Salandra) degli italiani per garantire all'Italia lo status di «grande potenza». Non fu un «glorioso olocausto» (Benito Mussolini) né «un olocausto necessario» (gen. Vincenzo Garioni), ma un’«inutile strage» (Benedetto XV), un azzardo, che costò all'Italia quasi 1.300.000 morti tra militari (oltre 650.000) e civili (quasi 600.000) e circa 450.000 mutilati permanenti. Ricordando il 110° anniversario dell’Intervento, desidero evidenziarne alcuni aspetti spesso poco considerati.

Scontro tra nazionalismi

Premesso il giudizio complessivamente negativo riassunto nel paragrafo iniziale e condividendo la distinzione fatta da Vilfredo Pareto tra «causa» e «pretesto» (cfr. articolo precedente), considero anch'io l’assassinio dell'arciduca d’Austria ed erede al trono Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia a Sarajevo (28 giugno 1914) non la causa, ma il «pretesto» della prima guerra mondiale. La vera «causa» o almeno una delle principali fu l’esplosione a catena in tutta l’Europa dei nazionalismi, avvalendosi di alleanze opportunistiche costituitesi negli ultimi decenni del XIX secolo, sostanzialmente attorno a due grandi blocchi. Dell’uno facevano parte gli Imperi centrali austro-ungarico, tedesco e ottomano; dell’altro gli Alleati Francia, Gran Bretagna, Impero russo (fino al 1917), Impero giapponese e Regno d’Italia (dal 1915).

Sacrario militare di Redipuglia (Friuli), con le spoglie di oltre 
100.000 soldati italiani. Durante la  prima guerra mondiale
ne morirono più di 650.000.
Ogni Stato dell’uno e dell’altro gruppo aveva ambizioni nazionalistiche. L’Austria-Ungheria si riteneva indispensabile per mantenere al centro d’Europa, dove si agitavano vari nazionalismi, gli equilibri etnici raggiunti ma non consolidati e impedire ogni anelito irredentista, compreso quello italiano; l’Impero russo guardava con sospetto l’espansionismo tedesco e giapponese; il Reich tedesco considerava irrinunciabili le conquiste fatte a danno della Francia, intendeva estendersi ancora ad est e contendeva agli inglesi la supremazia sul mare; la Francia mirava alla riconquista dell’Alsazia-Lorena e al rafforzamento del dominio coloniale; la Gran Bretagna, sentendosi minacciata, intendeva mantenere intatto e possibilmente estendere il suo già vasto impero coloniale; l’Italia voleva Trento e Trieste e consolidare il suo potere coloniale nell'Africa settentrionale. Tutti i Paesi preparavano piani di guerra, ma sapevano che il loro successo sarebbe dipeso soprattutto dall'alleanza scelta.

Popolazioni ignorate e ingannate

Poiché qualsiasi guerra ha bisogno del sostegno popolare, ogni Stato belligerante cercò di carpire tale sostegno sollecitando l’«amor patrio» dei propri cittadini, inculcando rosee aspettative, mistificando la realtà, spargendo a piene mani cumuli di menzogne. Si sa che in Italia la maggioranza della popolazione, soprattutto quella rurale, ma anche la maggioranza del Parlamento erano contrarie all'intervento militare. Il sostegno popolare alla guerra non c’era, ma ciononostante, la minoranza interventista e violenta, con la complicità del governo e del re, decise per tutti.

La Svizzera, nella sua condizione particolare di Stato neutrale senza alcuna appartenenza ad alleanze militari, rappresentò in questo un’eccezione. Il Consiglio federale non dovette ricorrere a sotterfugi per far comprendere ai propri cittadini il pericolo che correvano trovandosi circondati da Paesi in guerra, dai quali la Svizzera in parte dipendeva per gli approvvigionamenti di materie prime, viveri e manodopera.

Per questo la risposta alla mobilitazione generale (1° agosto 1914) fu unanime, senza defezioni o esitanze: nell'arco di una settimana 220.000 soldati entrarono in servizio attivo, pronti a difendere la Patria, anche se all'inizio le uniche paure riguardavano la possibilità che truppe tedesche, francesi o italiane penetrassero in Svizzera per attraversarla. Di fatto non ci furono mai sconfinamenti seri, forse perché gli stati maggiori stranieri erano a conoscenza della buona preparazione e motivazione dell’esercito svizzero e delle ingenti misure di difesa (in parte ancora visibili) previste a protezione dei confini nazionali, delle principali arterie stradali e ferroviarie, dei ponti e delle gallerie.

Ciò nonostante, anche la Svizzera in quegli anni subì conseguenze pesanti, che coinvolse anche l’immigrazione italiana. Infatti, come si vedrà nel prossimo articolo, molti giovani italiani dovettero rientrare in Italia per servire la Patria, che prima li aveva per così dire espulsi, e coloro che dopo la guerra decideranno di ritornare in Svizzera, la troveranno cambiata e meno accogliente.

Giovanni Longu
Berna, 09.04.2025

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