Continuando a chiederci quale eredità abbiano lasciato gli immigrati del dopoguerra (prima generazione) alle generazioni successive, non c’è dubbio che una della più preziose sia stata l’emancipazione femminile. Ci sono voluti decenni per raggiungere gli attuali livelli, non è stato facile arrivarci e, come è stato osservato in un altro articolo del 3 febbraio 2021 (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2021/02/immigrazione-italiana-1970-1990-donne.html), l’uguaglianza con gli uomini (italiani e svizzeri) non è stata ancora raggiunta in tutti i campi. La tendenza è comunque chiara e irreversibile. Per le donne italiane (anche quelle binazionali) si tratta ora di proseguire gli sforzi per colmare le lacune esistenti, conservare il meglio della tradizione migratoria e diventare co-protagoniste nel rafforzamento e nello sviluppo dell’italianità.
Premesse necessarie
Il riferimento temporale dell’«emancipazione femminile» di cui si parla nell'articolo è compreso tra la prima metà degli anni Sessanta e il primo decennio del 2000. Il dato di partenza è la situazione delle donne italiane (quale risulta da resoconti giornalistici e autobiografici, studi e dati statistici) in alcuni dei campi più importanti (civile, sociale, politico, economico, culturale), confrontata con quella dei connazionali maschi e degli svizzeri in generale. La collocazione del momento iniziale agli inizi degli anni Sessanta si giustifica col fatto che l’ondata immigratoria di massa proveniente prevalentemente dal Sud Italia metteva bene in evidenza il divario (culturale, lavorativo, sociale) tra uomini e donne.
Si sa che nei
fenomeni umani la generalizzazione è rischiosa e pertanto andrebbe per quanto
possibile evitata, ma in questo caso è inevitabile, pur riconoscendo che anche
negli anni Sessanta c’erano donne e gruppi di donne pienamente emancipate.
Addirittura nella prima ondata immigratoria del dopoguerra (per una decina
d’anni) le vere protagoniste sono state le donne, denotando grande spirito
d’iniziativa, coraggio, indipendenza, capacità di muoversi a proprio agio anche
in situazioni difficili. Pure in seguito, benché per esse sia stato molto più
difficile che per gli uomini sviluppare tali caratteristiche, soprattutto
nell'ambiente lavorativo e familiare, le donne si sono sempre distinte come
lavoratrici, madri, compagne di vita, disposte ad ogni sacrificio per il bene
della famiglia.
Sotto il profilo
della visibilità sociale, delle possibilità di sviluppo, della formazione,
della carriera professionale, per le donne è stato invece sempre molto
difficile emergere e raggiungere la parità con gli uomini. L’ambito delle donne
è rimasto a lungo ristretto e faticoso perché spesso gravava su di esse
contemporaneamente il doppio lavoro, fuori e dentro casa (lavori generalmente
poco qualificati e mal retribuiti fuori, i cosiddetti lavori domestici in
casa), la cura dei bambini, i rapporti con la scuola, l’assistenza ai familiari
bisognosi, il volontariato nelle associazioni caritative, ecc.
Situazione iniziale
Negli anni Sessanta la situazione delle donne immigrate era
certamente peggiore di quella degli uomini sia nell'ambiente di lavoro che in
famiglia e nella società. Gli uomini bene o male avevano nel lavoro un’apertura
al mondo, un luogo d’incontro sociale, una scuola dove imparare a conoscere
(meglio) le tecniche lavorative, le persone (con le quali era inevitabile
almeno un dialogo rudimentale, che poteva continuare anche dopo il lavoro), il
mondo che cambiava. Anche fuori dell’ambiente lavorativo gli uomini avevano
momenti di distensione e «ricreazione» specialmente nelle associazioni.
Al contrario, per le donne il lavoro era spesso precario e
il luogo di lavoro meno ricco di opportunità d’incontri e di conoscenze, perché
le attività svolte, ad un ritmo spesso elevato, erano generalmente pesanti,
monotone, ripetitive, stressanti, che richiedevano comunque concentrazione.
Anche l’ambiente umano era diverso perché le pause erano solitamente corte e
finito il lavoro ognuna doveva correre a casa per preparare la cena, prendersi
cura dei bambini, lavare, stirare, ecc. Il «tempo libero» era minimo e la
frequenza delle associazioni limitata. I rari momenti di svago erano limitati
per lo più a qualche festa e a qualche incontro domenicale con le amiche.
Sulle donne, all'epoca dell’immigrazione di massa, gravava
inoltre un preconcetto, di cui probabilmente le stesse protagoniste non si
rendevano conto. Si riteneva generalmente, anche nel linguaggio comune, che i
veri emigranti erano gli uomini non le donne. Le donne seguivano (talvolta
anche clandestinamente) gli uomini, per non lasciarli soli e non rimanere sole,
per contribuire anch'esse a formare il gruzzolo per cui erano emigrati i
partner, a costo di rinunciare anche a quel poco di autonomia che godevano
prima di partire. La situazione era destinata paradossalmente a peggiorare
quando ai compagni o ai mariti si aggiungevano i figli, perché il carico dei
problemi gravava soprattutto su di esse.
Percorso difficile e sofferto
Da numerose testimonianze si sa quanta sofferenza, quanta
frustrazione e quanta depressione dovettero sopportare molte donne italiane
immigrate non solo per le
condizioni di lavoro e le esigenze familiari, ma anche per l’isolamento, la
mancanza di sostegno, lo scarso tempo libero. La casa e i figli assorbivano
gran parte del tempo che non dedicavano al lavoro (per cui spesso era un
sollievo persino andare a lavorare). A loro stesse, alla cura della persona,
alle amicizie, a qualche piccolo svago potevano dedicare ben poco tempo, senza
che rimordesse loro la coscienza.
Sulle donne pesavano, inoltre, e molto, le difficoltà di comunicazione soprattutto con gli
svizzeri per le note carenze linguistiche della prima generazione. Per di più,
negli anni Sessanta, la maggior parte delle donne era di origine contadina e
con un basso livello di scolarità (che non superava solitamente il secondo
grado inferiore); molte di esse, essendo analfabete, non avevano alcuna
possibilità di affermarsi professionalmente.
Miglioramento negli anni ’80 e ‘90
Negli anni
Ottanta e Novanta del secolo scorso, i cambiamenti nell'ambiente della
migrazione divennero significativi. I comportamenti sociali degli svizzeri
influirono sensibilmente su quelli degli italiani soprattutto grazie alla
seconda generazione (portata facilmente a fare i confronti), alla loro
integrazione e al lento miglioramento della comunicazione in generale. L’obiettivo
di molte donne divenne raggiungere lo stato delle donne svizzere, più formate,
più sicure di sé, più autorevoli, più indipendenti e anche meno casalinghe. Per
raggiungerlo ci voleva tanto coraggio e spirito di sacrificio, ma le donne
italiane ne avevano in abbondanza.
Il cambiamento fu
registrato anche dalla demografia. Dopo aver toccato nel 1970 il numero massimo
di matrimoni concernenti cittadini italiani (4.227), il loro numero cominciò a
scendere (a parte una leggera risalita a cavallo del 1990), come avveniva tra
gli svizzeri. La diminuzione più sensibile si registrò nei matrimoni tra
concittadini italiani, appena 415 nel 2003, mentre ci furono solo oscillazioni
nei matrimoni misti con svizzeri o svizzere. Anche il numero delle nascite da
madre italiana, dopo aver raggiunto il massimo storico nel 1969 con 19.101 nati
vivi, diminuì conseguentemente e la tendenza regressiva continua (2020: 2.729
nascite).
I cambiamenti più
significativi si ebbero tuttavia soprattutto nell'attività lavorativa, nella
formazione, nella partecipazione sociale e politica, come si vedrà in altro
articolo.
Giovanni Longu
Berna, 28.09.2022
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