In questo numero avrei voluto fare il punto della situazione sul negoziato in materia fiscale tra la Svizzera e l’Italia in una prospettiva bilaterale ed europea. Avrei voluto anche presentare sia pur brevemente la nuova Presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga e la sua impostazione dell’anno presidenziale… Ma gli avvenimenti tragici della settimana scorsa a Parigi mi spingono a qualche riflessione non tanto su ciò che è accaduto quanto piuttosto sulle cause e sulle possibili conseguenze.
La strage di Parigi e l’Islam
Mentre sono ancora sotto gli occhi di milioni di
telespettatori le scene dell’attacco terroristico alla sede del settimanale
satirico francese Charlie Hebdo e i successivi interventi delle forze
dell’ordine e della sicurezza per la cattura dei delinquenti e la liberazione
degli ostaggi, ritengo anzitutto doveroso esprimere anche da questo
osservatorio la più ferma condanna del terrorismo e della violenza e pietà per
le vittime.
Non ci si può tuttavia fermare a una quasi scontata condanna
degli assassini. Poiché essi erano degli islamici, che hanno decimato la
redazione del settimanale al grido di «Allah è grande» («abbiamo
vendicato il profeta», avrebbero urlato), non si può evitare la domanda se nel
loro gesto forsennato ci sia stata anche una qualche motivazione religiosa o
pseudoreligiosa. Da tempo erano noti infatti sia il fanatismo religioso degli
attentatori e sia la spregiudicatezza con cui Charlie Hebdo irrideva a
quanto di più sacro c’è nell’Islam, ossia Allah, il profeta Maometto e il
Corano.
Benedetto XVI |
Nei terroristi parigini, tuttavia, preferisco parlare di
«fanatismo religioso» e della peggiore specie, perché finalizzato
all’uccisione. Essi si proclamavano di fede musulmana, ma avevano abbracciato la
jihad (una sorta di filosofia interna all’islam in cui non sono sempre
ben chiari i confini tra il richiamo alla lotta interiore spirituale di ogni
fedele e la spinta alla guerra santa) e avevano aderito all’organizzazione fondamentalista
paramilitare di Al Qaeda.
Fanatismo religioso diffuso e… inarrestabile?
Quanto abbia influito il fanatismo religioso di matrice
islamica nelle motivazioni degli assassini parigini è impossibile da verificare.
Dovrebbe però far riflettere il fatto ch’esso si stia diffondendo in molte
parti del mondo (si pensi all’Afganistan, all’Irak, alla Nigeria, all’Egitto,
al Kenya, al Pakistan, ecc.) e anche, come si è visto, nel nostro occidente che
si credeva probabilmente al sicuro, dopo le misure antiterrorismo messe in atto
all’indomani del terribile attentato dell’11 settembre 2001 a New York.
Mi domando a questo punto se contro questo fanatismo e la
sua diffusione si sta facendo abbastanza e se, soprattutto in occidente,
specialmente in Europa, si è capito che non basta trincerarsi nella difesa ad
oltranza dei «nostri» valori e che anche un buon approccio religioso basato
sulla comprensione e il rispetto è fondamentale per la convivenza pacifica dei
cittadini e dei popoli. Forse si fa troppo poco, basta vedere le carenze delle
politiche migratorie di numerosi Paesi occidentali e il moltiplicarsi dei muri
e dei reticolati contro l’«invasione» degli stranieri.
Probabilmente si è dimenticato anche che da sempre il sentimento
religioso non può essere ignorato, banalizzato, peggio ancora irriso. Si è
dimenticato che la nostra civiltà occidentale ha uno dei capisaldi proprio nel
sentimento religioso e che questo è talmente radicato che è forse l’unico per
cui si può anche morire.
Scienza e fede: Galilei e Bruno a confronto
Karl Jaspers (1883-1969) |
Per mettere in evidenza il carattere incondizionato della
fede religiosa, il filosofo tedesco Karl Jaspers nel secolo scorso l’ha
messa al confronto con la scienza, un altro caposaldo dell’Occidente. Per
chiarire la differenza ha utilizzato due figure storiche ben note come Giordano
Bruno, preso come simbolo della fede religiosa, e Galileo Galilei, come
simbolo della verità scientifica. Accusati entrambi da un tribunale
dell’inquisizione di andare contro la Bibbia e la Tradizione, per evitare la
condanna capitale Galilei ha rinunciato a insistere sulla sua verità
scientifica ritrattando, Bruno invece ha preferi
to subire la condanna e morire.
Secondo Jaspers il diverso comportamento è legato alla diversa natura della
fede e della scienza. Galilei poteva abiurare perché la verità scientifica era
distinta da lui, restava tale anche dopo la sua ritrattazione. Bruno invece non
avrebbe potuto ritrattare la «sua» fede che era diventata parte della sua
stessa esistenza; negandola avrebbe negato sé stesso. Questo per dire quanto il
sentimento religioso sia o possa essere forte nei credenti.
La nostra società, per quanto sia impregnata di materialismo
e relativismo, non dovrebbe dimenticare che esistono altre società in cui la
religione rappresenta ancora un punto di riferimento fondamentale. I fatti di
Parigi, ma anche altri persino peggiori che succedono nel mondo, dovrebbero suggerire
anche qualche riflessione sul nostro atteggiamento nei confronti di altri
popoli e culture.
Occidente superiore o solo diverso?
Noi occidentali, ritenendoci possessori del miglior sistema
di governo possibile, del più ampio complesso di diritti e libertà che l’umanità
abbia conosciuto finora, di una presunta totale emancipazione nelle idee e nei
costumi, di un diffuso sentimento di appartenenza a una cultura superiore ecc.,
dimentichiamo molto spesso che il mondo «diverso» dal nostro non è «inferiore»,
ma appunto solo «diverso» e merita quindi comunque rispetto.
Si può, anzi si deve andar fieri della democrazia dei nostri
Paesi, ma nessun governo democratico dovrebbe pretendere di esportarla e
imporla con la forza ad altri Stati, almeno fino a quando questi non
rappresentano una minaccia diretta ai propri legittimi interessi. Eppure, per
giustificare anche recenti interventi armati si è persino inventata la
fattispecie di «guerra preventiva», assolutamente incompatibile col concetto di
democrazia. C’è da meravigliarsi se alcuni di questi interventi generano odio, desideri
di vendetta e in certi casi persino la predicazione della guerra santa e veri e
propri movimenti terroristici?
Una riflessione analoga va fatta sul nostro complesso di
valori e di libertà di cui noi occidentali possiamo a giusta ragione andare
fieri, a prescindere dagli abusi che sono talvolta commessi e non sempre sanzionati
a dovere. Ma siamo sicuri che in altre società non esistano valori difendibili?
E anche se, utilizzando il nostro metro di giudizio occidentale, li
considerassimo inferiori o addirittura non-valori, chi ci autorizza a usare nei
loro confronti disprezzo, sarcasmo, irrisione, soprattutto quando ad essere
presi di mira sono riferimenti religiosi, come possono essere nel mondo
islamico Allah, Maometto e il Corano?
Non possiamo non essere a favore della libertà di stampa e pertanto
anche della libertà di satira, ma significherebbe sostenere l’insostenibile
ritenere che si tratti di libertà assolute, ossia senza limiti. E’ vero che la
satira c’è sempre stata, almeno da quando esistono i potenti e la possibilità
di attaccarli senza rischiare la pena capitale, ma è pur vero che nel nostro
sistema di valori occidentale la libertà di espressione e di satira non
dovrebbe mai prevalere sul rispetto dovuto alla persona umana e ai suoi valori
fondamentali, compreso il credo religioso.
Libertà di stampa e di satira illimitata?
Proprio al riguardo ritengo che, data la radicalità del
sentimento religioso, la libertà di espressione e di satira trovi il suo limite
nel rischio fondato che un attacco irriverente verso persone e simboli religiosi
fondamentali possa turbare e provocare la sensibilità di molte persone che
considerano tali simboli intoccabili.
La Corte di cassazione italiana ha dato della satira
una definizione o descrizione condivisibile e opportuna: «La satira è quella manifestazione di pensiero talora di altissimo
livello che nei tempi si è addossata il compito di "castigare ridendo mores", ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti
criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso
suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene». A
ben guardare, dunque, la satira non solo non dovrebbe avere alcun intento offensivo
e denigratorio, ma anzi dovrebbe avere una finalità etica e correttiva verso il
bene.
Non mi è mai capitata
l’occasione di leggere Charlie Hebdo, ma alcune delle vignette apparse nei giorni scorsi francamente non mi
sono piaciute, anzi le ho trovate di pessimo gusto. Naturalmente, di qui a
provocare una strage ce ne corre. Quando però si sa con chi si ha a che fare un
po’ di prudenza è senz’altro ragionevole. E più in generale, come ha ricordato
più volte alla cultura occidentale Benedetto XVI, bisognerebbe evitare il
cinismo con cui talvolta si considera il dileggio del sacro un diritto della
libertà, perché la giusta considerazione della dimensione religiosa è anche una
premessa essenziale per il dialogo tra le grandi culture e religioni del mondo.
Giovanni Longu
Berna 10.01.2015
Berna 10.01.2015
P.S. Questo articolo è stato scritto il 10 gennaio. Nel frattempo si è sviluppato un ampio dibattito, ancora agli inizi, attorno all'islamismo, al rapporto tra Islam e Occidente, all'integrazione, alla libertà di espressione e di satira ecc. Credo che esso vada seguito e approfondito, tenendo presente che i valori in gioco sono molti, non solo la libertà di espressione e di satira (da salvaguardare, ma entro limiti ragionevoli), ma anche la dignità della persona, la libertà di religione, ecc. In particolare sulla libertà di satira concordo col giudizio della consigliera federale Doris Leuthard: «la satira non è un lasciapassare per tutto». Senza limiti (ragionevoli) potrebbe sfociare nell'insulto, nella calunnia, nel turpiloquio, nella blasfemia, nella bestemmia, nell'offesa gratuita. Inoltre, una satira troppo spinta e offensiva, giova al dialogo, alla comprensione reciproca, all'integrazione?
(Berna, 14.1.2015).
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