Tra i tanti anniversari meritevoli di essere ricordati
quest’anno, a molti italiani residenti in Svizzera, soprattutto nella regione
di Berna, potrebbe interessare anche quello dei 110 anni della sede
dell’Ambasciata d’Italia di Berna. Viene qui rievocato non tanto perché questa
sede è un manufatto di pregio, ma soprattutto perché da 110 anni accoglie i
massimi rappresentanti dello Stato italiano. Ricordandone l’origine non si può
non parlare anche del marchese Raniero Paulucci di
Calboli, il primo inquilino che l’ha scelta e acquistata per dare alla
rappresentanza diplomatica italiana una sede «dignitosa» e corrispondente
all'importanza che l’Italia aveva raggiunto in Europa e nel mondo agli inizi
del secolo scorso.
Prima del 1913: sedi provvisorie
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Berna, Elfenstrasse 10: dal 2013 splendida Residenza dell'ambasciatore d'Italia in Svizzera |
Prima del 1913 la rappresentanza diplomatica italiana a
Berna (allora Legazione… fino al 1953, quando divenne Ambasciata) non aveva una
sede di proprietà dello Stato italiano, ma utilizzava in locazione locali
privati nel quartiere storico
Kirchenfeld, sviluppatosi
negli ultimi decenni dell’Ottocento anche grazie al contributo lavorativo e
imprenditoriale italiano. I capimissione (incaricati d’affari, plenipotenziari,
ambasciatori) alloggiavano generalmente in ville isolate o nel
Bernerhof (vicino al Palazzo federale), allora l’unico
hotel di lusso della capitale, che accoglieva solitamente gli ospiti illustri
della Confederazione.
Nel 1912 fu chiamato a dirigere la Legazione italiana il
marchese Raniero Paulucci di Calboli, un
brillante diplomatico con esperienze a Londra, Vienna, Parigi… Giunto a Berna e
accreditato presso il Consiglio federale come ministro plenipotenziario di
prima classe del Re d’Italia (febbraio 1913), deve aver trovato la sede assegnatagli
inadeguata ai suoi compiti e al prestigio dell’Italia. Egli stesso (contrariamente
a quel che si legge nel sito Web dell’Ambasciata), senza una residenza
corrispondente al suo rango e vicino agli uffici della Legazione, preferì
alloggiare, come il suo predecessore Fausto Cucchi
Boasso, al Bernerhof.
Dopo il 1913: una sede propria «dignitosa»
La sede diplomatica italiana era in effetti inadeguata all'intensificarsi
dei rapporti italo-svizzeri negli ultimi decenni, non da ultimo per il continuo
flusso immigratorio dall'Italia e lo sviluppo incessante degli scambi
commerciali, ma probabilmente anche ai nuovi compiti che lasciavano presagire i
venti di guerra che cominciavano a soffiare in Europa. La Svizzera, Berna, era
considerata centrale per le informazioni.
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L'amb. Raniero Paulucci di Calboli (al centro) a Tokio nel 1920 |
Al marchese Paulucci, che godeva di grande notorietà e di
notevoli beni di famiglia, non dev'essere stato difficile trovare una sede più
consona nello stesso quartiere
Kirchenfeld. Così, nel
novembre 1913, acquistò in proprio una delle più belle ville (
Villa Kern) della capitale con l’adiacente dépendance e un
grande parco. La villa (Elfenstrasse 10) venne utilizzata dal marchese come
residenza del Capo Missione e della sua famiglia (lui stesso, la moglie
Virginia Lazzari Tornielli, nipote di un influente
diplomatico e i due figli
Fulcieri, futuro
medaglia d’oro, e
Camilla), mentre il secondo
edificio (Elfenstrasse 14) fu destinato a Cancelleria diplomatica e sede
ufficiale della Legazione italiana.
Il complesso architettonico, funzionale e «dignitoso», si
distingue soprattutto per la varietà degli stili architettonici (l’Heimatstil che ben si accompagna con lo Jugendstil o Art Nouveau e alcune forme neobarocche) che gli conferiscono un
carattere romantico per il facile richiamo a ville e residenze borghesi di fine
secolo, spesso, come in questo caso, immerse in parchi lussureggianti. Evidentemente
il marchese aveva anche buon gusto, oltre che straordinarie doti diplomatiche.
«Il padre di Fulcieri»
Probabilmente, egli sarà ricordato, nella storia dei
rapporti italo-svizzeri, oltre che per l’acquisizione della sede diplomatica,
per il rafforzamento dell’«amicizia» tra i due Paesi (anche grazie ai legami di
amicizia col consigliere federale Giuseppe Motta e con altre personalità della
politica svizzera) in un periodo particolarmente difficile (prima guerra
mondiale), per il prestigio che godeva negli ambienti letterari e artistici,
per le sue grandi doti di comunicatore in più lingue, ecc.
Egli sarà ricordato certamente, nella storia
dell’immigrazione italiana in Svizzera, anche per la grande empatia dimostrata
verso i connazionali immigrati. Per conoscere i loro problemi visitò numerosi
cantieri, le principali «colonie» e le loro organizzazioni. Prima, durante e
dopo la guerra intervenne più volte presso il Governo per segnalare i problemi,
«le lacrime di dolore della parte più debole ed indifesa della nostra
emigrazione», ma anche proponendo soluzioni. Ed era sincero. Ma sulla sua tomba
volle che si scrivesse: «Fu il padre di Fulcieri».
Giovanni Longu
Berna 15.11.2023
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