In un ipotetico bilancio di fine «carriera lavorativa» della
stragrande maggioranza degli italiani immigrati in Svizzera si troverebbero
facilmente vantaggi e svantaggi, ma anche il saldo finale positivo. Lo fanno
pensare indagini statistiche e cronache giornalistiche, smentendo quei denigratori nostrani di professione che vedono nell'esperienza migratoria solo aspetti negativi (sfruttamento,
discriminazione, disgrazie, «infanzia negata» a mezzo milione di bambini,
ecc.). Che questi abbiano torto lo dimostrano, fra l’altro, queste cifre:
nel 1870 risiedevano in Svizzera poco più di 18.000 cittadini appartenenti al
Regno d’Italia, mentre oggi i cittadini italiani, molti anche con la doppia
cittadinanza italiana e svizzera, sono circa 700.000. Inoltre, da quasi un ventennio
il saldo migratorio è nuovamente positivo (più arrivi e meno rimpatri) perché i
«nuovi immigrati» continuano a venire.
1868: basi solide per l’emigrazione/immigrazione
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Svizzera e Italia, come due sorelle (statua alla stazione di Chiasso in ricordo della prima grande impresa ferroviaria comune) |
Chi conosce la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera
sa che il suo sviluppo non è stato sempre né lineare né esemplare, ma ha conosciuto
momenti difficili, sia nelle relazioni bilaterali (incomprensioni,
intromissioni e persino una breve rottura diplomatica) che nella convivenza
delle due popolazioni (a causa di pregiudizi, paure, diffidenza, incomunicabilità,
ecc.). Eppure la storia… continua, non per forza d’inerzia, ma perché regge lo spirito che sostanziava quel Trattato del 1868, per
altro ancora in vigore.
Di quell'accordo, si è soliti ricordare solo alcuni articoli
(certamente importanti perché riguardavano la libertà di domicilio degli italiani e degli svizzeri rispettivamente in Svizzera e
in Italia, la libertà di commercio e le immunità e i privilegi degli agenti consolari), mentre non viene
quasi mai sottolineato lo spirito che lo animava. Eppure è soprattutto questo che
ancora sopravvive e si è anzi rafforzato nel tempo, mentre il resto del
Trattato è stato superato da altri accordi bilaterali e internazionali. Per
questo merita
di essere rievocato in questo 155° anniversario.
Spirito di amicizia e di buon vicinato
Si legge nel preambolo: «Il Consiglio federale della Confederazione Svizzera e Sua Maestà
il Re d’Italia, mossi dal desiderio di mantenere e rassodare le relazioni
d’amicizia che stanno fra le due nazioni, e dare mediante nuove e più liberali
stipulazioni più ampio sviluppo ai rapporti di buon vicinato tra i cittadini
dei due paesi, assicurando ad un tempo agli agenti consolari rispettivi le
immunità e i privilegi necessari per l’esercizio di loro funzioni, hanno
risolto di conchiudere una Convenzione di stabilimento e consolare…».
In queste parole è racchiuso, come in uno scrigno, lo
spirito che animava la Svizzera e l’Italia in quell’epoca… e certamente ancora
oggi. Lo si ritrova soprattutto in queste espressioni: «desiderio di mantenere
e rassodare», «relazioni di amicizia» e «rapporti di buon vicinato». Il senso
delle parole è facilmente intuibile da chiunque, ma potrebbe invece sfuggire il
nesso che le unisce e le sostanzia. Non si tratta, infatti, soltanto del
desiderio di intrattenere rapporti di buon vicinato tra Paesi che hanno un
lungo confine in comune e nemmeno di generiche relazioni amichevoli tra i
rispettivi governi e tra i cittadini delle regioni contigue, ma della volontà
di rafforzare e sviluppare buoni rapporti in tutti i settori d’interesse reciproco.
Espressioni e convinti sostenitori di quello spirito e di quella volontà sono stati sicuramente i due governi interessati, ma specialmente i due plenipotenziari di Svizzera e Italia, Giovan Battista Pioda (1808-1882) e Luigi Amedeo Melegari (1805-1881), due giganti delle diplomazie svizzera e italiana.
Collaborazione e interesse reciproco
Che non si trattasse solo di un «desiderio», ma di una
volontà comune e di un impegno solenne, lo dimostra l’articolo 1 che afferma:
«Tra la Confederazione Svizzera e il Regno d’Italia vi sarà amicizia
perpetua, e libertà reciproca di domicilio e di commercio». Una tale
amicizia, come si può ben capire, non può esserci tra istituzioni impersonali, per
cui va intesa come condivisione di valori ideali e attività concrete e
possibilmente continuative, di cui devono poter beneficiare, sia pure in forme
diverse, entrambe le parti.
In 155 anni questi rapporti si sono consolidati e sviluppati sia nella sfera commerciale che in campo linguistico, culturale, scientifico, ma soprattutto umano e professionale, con flussi ininterrotti di immigrati che a questo Paese hanno dato molto e dal quale hanno ricevuto molto, secondo lo spirito del Trattato del 1868, che sostanziava collaborazione e interessi reciproci. Senza la reciprocità dei benefici, purtroppo ignorata ancora oggi in molte narrazioni dell'immigrazione italiana in Svizzera, i flussi migratori tra l'Italia e la Svizzera si sarebbero interrotti da tempo e la collettività italiana in questo Paese sarebbe più ridotta e meno importante.
Lo stesso spirito, al quale si è aggiunto nel frattempo quello dell’integrazione
europea, continua a soffiare. A beneficiarne sono ora le seconde e successive generazioni
e i nuovi immigrati, che, in condizioni e modi diversi, contribuiscono a loro
volta ad avvalorare l’«amicizia perpetua» tra la Svizzera e l’Italia suggellata
col Trattato del 1868, 155 anni fa.
Giovanni Longu
Berna 8.11.2023
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