18 giugno 2025

1925: Origine e sviluppo delle colonie libere italiane (2a parte)

Le Colonie Libere Italiane (CLI), fondate da esuli antifascisti avevano a cuore soprattutto le sorti dell’Italia, che pensavano di poter restituire alla democrazia una volta caduto il regime fascista. Non essendo una creazione degli immigrati per motivi di lavoro, almeno inizialmente le CLI non ebbero un interesse particolare per le tipiche problematiche immigratorie. Esso maturò solo dopo la creazione della Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera (FCLIS) nel 1943 e dopo la fine della guerra, quando apparve chiaro che l’immigrazione italiana era destinata a durare e aveva bisogno di sostegno (politico), di istruzione (per l’infanzia e per gli adulti), di cultura (ritrovi, giornali, biblioteche, conferenze), di formazione professionale e anche di un forte senso di appartenenza a un gruppo sociale consistente e talvolta persino determinante nell'economia e nella società svizzere.

Pretese eccessive e miopi

Come detto nell'articolo precedente, l’impegno politico sociale e culturale delle CLI per il miglioramento delle condizioni generali degli immigrati (italiani) in Svizzera e soprattutto per una maggiore presa di coscienza dei loro diritti è incontestabile e complessivamente virtuoso, ma in una retrospettiva seria e obiettiva non si può negare che il loro contributo sia stato meno incisivo di quanto alcuni ritengono. Di seguito vengono rievocati alcuni errori clamorosi delle CLI allo scopo di fornire qualche elemento in più per comprendere (meglio) la storia dell’immigrazione italiana in Svizzera ed evidenziare che su di essa hanno probabilmente influito negativamente anche l’atteggiamento talvolta intransigente e miope e alcune pretese eccessive (si pensi per esempio all'abolizione dello statuto stagionale o alla soluzione del problema dei «falsi stagionali») della FCLIS (ma non solo di essa).

Finita la guerra, la FCLIS, rivendicò subito per sé «la rappresentanza unitaria di tutti gli italiani dimoranti in Svizzera e rimasti fedeli alle grandi tradizioni di libertà e di umanità». Si trattava non solo di una rappresentanza morale (ispirata ai principi della libertà, della solidarietà e della difesa dei lavoratori), ma anche politica (caratterizzata da un forte spirito antifascista e, da quando il PCI guidò l’opposizione, anche antigovernativo), che sollevò però forti dubbi e contrasti persino all'interno della FCLIS, ma soprattutto presso altre organizzazioni di immigrati e persino in alcuni ambienti svizzeri.

Errori clamorosi

Un primo errore è stato commesso proprio nell'ambito dell’associazionismo. Infatti i successi conseguiti dopo il 1943 con un’ampia adesione di immigrati alle prime CLI ha fatto credere ad alcuni dirigenti che la neocostituita FCLIS fosse la vera e unica rappresentante di tutti gli italiani residenti in Svizzera. In effetti, il Terzo Convegno delle Colonie Libere della Svizzera, tenutosi a Berna nel marzo 1945, approvò all'unanimità la seguente risoluzione: «La Federazione delle C.L.I. della Svizzera […] rivendica anzitutto alle Colonie libere e alla loro Federazione […] il merito di aver preso un'iniziativa valsa a trarre l'emigrazione italiana in Svizzera dallo stato di disorientamento e di inerzia seguito agli avvenimenti del luglio e settembre del 1943 [e] riconferma per questa iniziativa e per l’autorità morale e politica che le Colonie Libere hanno saputo acquistarsi, la sua qualità di unica rappresentante dell’emigrazione italiana nella Svizzera».

Si trattò di una decisione che peserà moltissimo, negativamente, sull’evoluzione della storia dell’immigrazione italiana in Svizzera. Infatti, invece di unire i vari enti ormai epurati dal fascismo, le CLI fomentarono spesso la disunione soprattutto nei confronti delle Missioni cattoliche italiane (MCI) e associazioni aderenti, che consideravano antagoniste, sebbene rappresentassero importanti centri d’incontro, gestissero numerose scuole e svolgessero altre importanti opere sociali.

Un secondo errore clamoroso è stato l’opposizione della FCLIS alle rappresentanze diplomatiche e consolari, come quando pretendeva l’epurazione perentoria dei (presunti) fascisti dalle organizzazioni e istituzioni ex-fasciste o che in qualche misura erano state compromesse col regime (Consolati, Società Dante Alighieri, Case d’Italia, Istituti di cultura, scuole, gruppi sportivi, ecc.). Quanto bastava per avere contro, oltre alle MCI, numerose istituzioni e creare molta diffidenza anche tra le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane e nei sindacati svizzeri.

Si legge ad esempio nel verbale di una riunione del 1973 della «Commissione federale consultiva per il problema degli stranieri» che il Consigliere nazionale e presidente del sindacato FLMO Wüthrich si rammaricava che le Colonie Libere Italiane (CLI) fossero ancora così tanto ascoltate.

Si temeva, infatti, che alla base di queste operazioni non ci fosse solo il desiderio di far valere le ragioni dell’antifascismo o di apportare miglioramenti alle condizioni degli immigrati, ma anche l’obiettivo di gestire il malcontento e «iniziare alla pratica della libertà le collettività italiane uscenti da una specie di medioevo spirituale». Questo atteggiamento creò qualche timore anche in alcuni ambienti svizzeri, per i quali sembrava che l’obiettivo vero fosse quello di creare disordine e far penetrare in Svizzera l’ideologia comunista attraverso la propaganda sovversiva.

Nei confronti delle autorità italiane alcune rivendicazioni dovevano apparire palesemente eccessive, come quando su alcune questioni le CLI preferivano investire direttamente Roma, attraverso i partiti di riferimento (PCI e PSI) o i sindacati di riferimento (CGIL e UIL), senza rendersi conto che scavalcando le autorità diplomatiche e consolari finivano per indebolirle agli occhi degli svizzeri e potevano creare screzi importanti nei tradizionali buoni rapporti italo-svizzeri, come nel caso di vistose intromissioni in questioni di politica interna svizzera da parte di certi ministri, sottosegretari e ambasciatori.

Grave è stato anche l’errore, nell'ambito di rivendicazioni lavorative, di fare esplicitamente più affidamento sui sindacati e patronati italiani che sui sindacati svizzeri, che non gradivano per nulla di essere messi in competizione e talvolta opposizione con le organizzazioni sindacali italiane. In questo contesto, una conseguenza negativa, di cui poco si sa e meno si parla, fu il diverso atteggiamento dei principali sindacati svizzeri nei confronti delle varie istituzioni di formazione professionale italiane, che non riuscirono mai a concepire programmi formativi comuni e ancor meno a gestire in comune strutture, finanziamenti, retribuzioni, formazione del personale, ecc.

Un terzo errore, gravissimo, perché divise profondamente la collettività immigrata, fu proprio quello di aver diviso, sebbene per lo più involontariamente e in contraddizione col desiderio diffuso di unità (che portò nel 1970 alla fondazione del Comitato Nazionale d’Intesa CNI), le associazioni degli immigrati, riproducendo anche in un ambiente tradizionalmente apolitico la lotta tra i partiti che si accese nel dopoguerra in Italia. Le CLI non fecero abbastanza per risolvere le divergenze, anzi si schierarono prevalentemente da una parte, lasciando che i sospetti di filocomunismo gravassero sull'insieme della collettività italiana immigrata.

In altri ambiti, e specialmente in quelli della cultura, della scuola, del tempo libero, del dibattito pubblico, della formazione politica, della fedeltà all'antifascismo, ecc. le CLI sono state indubbiamente molto più efficienti, per cui resta difficile se non impossibile stilare un bilancio obiettivo complessivo, tanto più che alcune CLI sono ancora in piena attività. Semmai starà al lettore fare la sintesi che ritiene più giusta.

Giovanni Longu
Berna, 18.06.2025

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