Le Colonie Libere Italiane (CLI), fondate da esuli antifascisti avevano a cuore soprattutto le sorti dell’Italia, che pensavano di poter restituire alla democrazia una volta caduto il regime fascista. Non essendo una creazione degli immigrati per motivi di lavoro, almeno inizialmente le CLI non ebbero un interesse particolare per le tipiche problematiche immigratorie. Esso maturò solo dopo la creazione della Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera (FCLIS) nel 1943 e dopo la fine della guerra, quando apparve chiaro che l’immigrazione italiana era destinata a durare e aveva bisogno di sostegno (politico), di istruzione (per l’infanzia e per gli adulti), di cultura (ritrovi, giornali, biblioteche, conferenze), di formazione professionale e anche di un forte senso di appartenenza a un gruppo sociale consistente e talvolta persino determinante nell'economia e nella società svizzere.
Pretese eccessive e miopi
Finita
la guerra, la FCLIS, rivendicò subito per sé «la rappresentanza unitaria di tutti gli
italiani dimoranti in Svizzera e rimasti fedeli alle grandi tradizioni di
libertà e di umanità». Si trattava non solo di una rappresentanza morale (ispirata
ai principi della libertà, della solidarietà e della difesa dei lavoratori), ma
anche politica (caratterizzata da un forte spirito antifascista e, da
quando il PCI guidò l’opposizione, anche antigovernativo), che sollevò però
forti dubbi e contrasti persino all'interno della FCLIS, ma soprattutto presso
altre organizzazioni di immigrati e persino in alcuni ambienti svizzeri.
Errori clamorosi
Un primo errore è stato commesso proprio nell'ambito
dell’associazionismo. Infatti i successi conseguiti dopo il 1943 con un’ampia
adesione di immigrati alle prime CLI ha fatto credere ad alcuni dirigenti che
la neocostituita FCLIS fosse la vera e unica rappresentante
di tutti gli italiani residenti in Svizzera. In effetti, il Terzo
Convegno delle Colonie Libere della Svizzera, tenutosi a Berna nel marzo 1945,
approvò all'unanimità la seguente risoluzione: «La Federazione delle C.L.I.
della Svizzera […] rivendica anzitutto alle Colonie libere e alla loro
Federazione […] il merito di aver preso un'iniziativa valsa a trarre
l'emigrazione italiana in Svizzera dallo stato di disorientamento e di inerzia
seguito agli avvenimenti del luglio e settembre del 1943 [e] riconferma per questa
iniziativa e per l’autorità morale e politica che le Colonie Libere hanno
saputo acquistarsi, la sua qualità di unica rappresentante dell’emigrazione
italiana nella Svizzera».
Un secondo errore clamoroso è stato l’opposizione della FCLIS alle rappresentanze diplomatiche e consolari, come quando pretendeva l’epurazione perentoria dei (presunti) fascisti dalle organizzazioni e istituzioni ex-fasciste o che in qualche misura erano state compromesse col regime (Consolati, Società Dante Alighieri, Case d’Italia, Istituti di cultura, scuole, gruppi sportivi, ecc.). Quanto bastava per avere contro, oltre alle MCI, numerose istituzioni e creare molta diffidenza anche tra le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane e nei sindacati svizzeri.
Si legge ad esempio nel verbale di una riunione del 1973 della «Commissione federale consultiva per il problema degli stranieri» che il Consigliere nazionale e presidente del sindacato FLMO Wüthrich si rammaricava che le Colonie Libere Italiane (CLI) fossero ancora così tanto ascoltate.
Si
temeva, infatti, che alla base di queste operazioni non ci fosse solo il desiderio di far valere
le ragioni dell’antifascismo o di apportare miglioramenti alle condizioni degli
immigrati, ma anche l’obiettivo di gestire il malcontento e «iniziare alla
pratica della libertà le collettività italiane uscenti da una specie di
medioevo spirituale». Questo atteggiamento creò qualche timore anche in alcuni
ambienti svizzeri, per i quali sembrava che l’obiettivo vero fosse quello di creare
disordine e far penetrare in Svizzera l’ideologia comunista attraverso la propaganda
sovversiva.
Nei confronti delle
autorità italiane alcune rivendicazioni dovevano apparire palesemente
eccessive, come quando su alcune questioni le CLI preferivano investire
direttamente Roma, attraverso i partiti di riferimento (PCI e PSI) o i
sindacati di riferimento (CGIL e UIL), senza rendersi conto che scavalcando
le autorità diplomatiche e consolari finivano per indebolirle agli occhi degli
svizzeri e potevano creare screzi importanti nei tradizionali buoni rapporti
italo-svizzeri, come nel caso di vistose intromissioni in questioni di politica
interna svizzera da parte di certi ministri, sottosegretari e ambasciatori.
Grave è stato anche l’errore, nell'ambito di rivendicazioni
lavorative, di fare esplicitamente più affidamento sui sindacati e patronati
italiani che sui sindacati svizzeri, che non gradivano per nulla di essere
messi in competizione e talvolta opposizione con le organizzazioni sindacali
italiane. In questo contesto, una conseguenza negativa, di cui poco si sa e
meno si parla, fu il diverso atteggiamento dei principali sindacati svizzeri
nei confronti delle varie istituzioni di formazione professionale italiane, che
non riuscirono mai a concepire programmi formativi comuni e ancor meno a
gestire in comune strutture, finanziamenti, retribuzioni, formazione del personale,
ecc.
Un terzo errore, gravissimo, perché divise profondamente la collettività immigrata, fu proprio quello di aver diviso, sebbene per lo più involontariamente e in contraddizione col desiderio diffuso di unità (che portò nel 1970 alla fondazione del Comitato Nazionale d’Intesa CNI), le associazioni degli immigrati, riproducendo anche in un ambiente tradizionalmente apolitico la lotta tra i partiti che si accese nel dopoguerra in Italia. Le CLI non fecero abbastanza per risolvere le divergenze, anzi si schierarono prevalentemente da una parte, lasciando che i sospetti di filocomunismo gravassero sull'insieme della collettività italiana immigrata.
In altri ambiti, e
specialmente in quelli della cultura, della scuola, del tempo libero, del
dibattito pubblico, della formazione politica, della fedeltà all'antifascismo, ecc. le CLI sono state
indubbiamente molto più efficienti, per cui resta difficile se non impossibile stilare
un bilancio obiettivo complessivo, tanto più che alcune CLI sono ancora in
piena attività. Semmai starà al lettore fare la sintesi che ritiene più giusta.
Giovanni Longu
Berna, 18.06.2025
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