08 febbraio 2012

La «pax germanica» e i compiti a casa

In tutti i tempi sono state combattute guerre allo scopo di imporre la pace, ovviamente alle condizioni del vincitore o dei vincitori. Si parla, ad esempio, della «pax romana» per indicare quella imposta al vasto impero romano ai tempi di Augusto, della «pax americana» per indicare il lungo periodo di pace in occidente dopo la seconda guerra mondiale, della «pax britannica», dopo la sconfitta di Napoleone Bonaparte. Nella letteratura si trova anche l’espressione «pax germanica», per indicare l’unificazione degli stati tedeschi sotto l’imperatore Guglielmo I dopo la vittoria nella guerra franco-prussiana (1871). La «pax germanica» fu anche l’aspirazione della Germania imperiale in caso di vittoria nella prima guerra mondiale e l’ambizione nazista in caso di vittoria del Terzo Reich nella seconda guerra mondiale.

Predominio tedesco in Europa
Oggi, in Europa, la pace è una condizione consolidata senza particolari connotazioni. Ciononostante, ogni tanto si sente ancora parlare, soffusamente, di «pax germanica», «pax tedesca», alludendo evidentemente a una sorta di predominio della Germania nell’Unione europea, non solo in senso economico-finanziario (ordine nei conti pubblici, alta produttività, nel 2011 crescita del prodotto interno lordo del 3%, record ventennale del livello di occupazione), ma anche culturale (culto dell’efficienza, dell’ordine e della razionalità) e politico. Un indicatore significativo di questa situazione è l’ormai famoso «spread», ossia la differenza di rendimento tra i titoli di stato tedeschi e quelli di tutti gli altri Paesi dell’Eurozona. La Germania è ormai il modello di riferimento.
Grazie alla sua supremazia economico-finanziaria e alla sua influenza culturale, la Germania è anche il Paese che politicamente pesa maggiormente nell’Unione Europea. Lo sta dimostrando da mesi nella ricerca e nella prescrizione della cura per uscire dalle difficoltà in cui versa l’Eurozona, a causa soprattutto del debito pubblico di alcuni Stati, Grecia in primis, ma anche l’Italia.
Quando parlo di supremazia e di peso politico della Germania non intendo affatto suggerire l’idea che si tratti di una sorta di prevaricazione o d’ingiustificata pretesa di leadership della potenza tedesca, ma semplicemente costatare che la Germania della cancelliera Merkel ha in Europa un peso determinante, che gli altri Paesi di fatto le riconoscono. Oltretutto è anche il principale finanziatore dell'Europa comunitaria e chi più paga… più conta.
In effetti, senza il benestare della signora Merkel non vedranno la luce gli «Eurobond» di cui la Germania sarebbe il principale finanziatore e garante, mentre a beneficiarne sarebbero altri Paesi. Anche il cosiddetto «Fondo salva-Stati» dovrà accontentarsi per ora di 500 miliardi di euro invece dei mille miliardi auspicati da Monti. E la Banca centrale europea (BCE) non potrà acquistare in misura illimitata titoli del debito pubblico degli Stati in difficoltà perché la BCE non può diventare, secondo la Germania, prestatore di ultima istanza per gli Stati indebitati. Questi, sembra dire la Cancelliera, devono dar prova con una politica di rigore di poter risolvere (quasi) da soli le difficoltà in cui si sono cacciati.

Far bene i compiti
Per quanto la Germania possa apparire troppo dura (ad es. agli occhi del governo greco) o troppo restia ad aprire il borsello (agli occhi del governo italiano), tutti i Paesi dell’Eurozona sanno che senza di essa l’euro non potrà continuare ad essere una delle principali monete mondiali e la Grecia, e forse l’Italia e altri Paesi, non potranno restare a lungo nella zona euro. E tutti sanno che, se la locomotiva tedesca non continuasse a tirare, molti vagoni si staccherebbero dal treno europeo e andrebbero fatalmente incontro a un destino alquanto incerto o già segnato. Per questo non hanno altra scelta che fare i compiti loro assegnati. Anche l’Italia li ha dovuti fare.
La Germania naturalmente sa bene che solo imponendo la sua linea (fatta di rigore, disciplina, conti in ordine, riforme strutturali, liberalizzazioni, flessibilità del mercato del lavoro, impegno per la crescita) si riuscirà a salvare l’Eurozona, ma sa anche che solo in questo modo potrà salvaguardare i suoi interessi commerciali e finanziari legati a un euro solido e valido concorrente del dollaro americano. Nasce probabilmente da questi convincimenti non del tutto disinteressati quell’atteggiamento da maestrina esigente assunto talvolta dalla cancelliera Merkel, a quanto si dice, nell’assegnare i compiti da svolgere ai vari governi dell’Unione alle prese con un debito pubblico eccessivo e persino nel suggerire a qualche Capo di Stato come sostituire un governo ritenuto inadatto.
E’ difficile a questo punto fare pronostici seri per l’avvenire dell’Eurozona e della stessa Unione Europea e nemmeno la Merkel penso sia in grado di sapere se la «pax germanica» riuscirà a imporsi e quanto durerà. Ciò che mi pare invece evidente è che tutti i Paesi europei d’ora in poi i compiti dovranno farli seriamente e bene. Quanto all’Italia, il compito più importante mi sembra quello di una politica «sostenibile» che tenga conto delle future generazioni, ma francamente non so se l’attuale classe politica sia all’altezza di eseguirlo.

Giovanni Longu
Berna, 8 febbraio 2012

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