Seguo con interesse e stupore la discussione nei media italiani sulla riforma del Senato. Mi colpisce soprattutto la confusione. Solo poche settimane fa sembrava che da parte del governo lo si volesse abolire, poi il tiro è stato corretto dicendo che non sarà abolito ma solo svuotato degli attuali poteri. Si parla di una «riforma radicale» del Senato, ma senza dire come sarà e a che cosa dovrebbe servire. Senza poteri, ha osservato più d’uno, tanto varrebbe abolirlo del tutto. Meglio no, hanno risposto in tanti, ma senza precisarne la nuova natura, la sua composizione, i reali poteri. In molti s’interrogano se davvero, almeno in questa legislatura, si arriverà mai a una riforma «radicale» del Senato.
Discussione confusa
Parte della confusione sembra
nascere dalla premessa indimostrabile, secondo cui il «bicameralismo perfetto»
(Senato e Camera con gli stessi poteri) nuoce alla governabilità e alla legislatura
(nell'accezione di fare le leggi). Politici (Enrico Letta e Matteo Renzi compresi) ed esimi
costituzionalisti (uno per tutti Michele Ainis) pensano che esista solo in
Italia, una vera iattura da cui occorre liberarsi al più presto, ignorando che il «bicameralismo perfetto» esiste, ad
esempio, in un Paese vicinissimo all’Italia, la Svizzera, dove nessuno pensa di
abolirlo. Se in Italia non funziona, prima di abolirlo bisognerebbe chiedersi almeno perché e cercare eventuali rimedi per correggerne le disfunzioni.
Gran parte della confusione
deriva invece, a mio parere, dal metodo utilizzato: si discute più sulla forma del
futuro Senato che sui contenuti. Si sono creati fronti contrapposti tra chi
vorrebbe ancora un organismo elettivo e chi, invece, solo un’assemblea di
designati in rappresentanza degli enti territoriali, con una forte componente di
nominati dal Capo dello Stato. Ma del sistema di elezione o dei criteri di
designazione nessuno è in grado di fornire indicazioni precise. Anche sul
numero dei membri c’è discordia, per non parlare della loro rappresentanza e
responsabilità, del loro finanziamento, ecc.
Dei contenuti del nuovo
Senato finora si parla solo in termini molto generici e per lo più in forma negativa.
Una delle affermazioni più frequenti è quella che definisce la futura assemblea
come «Senato delle autonomie». In realtà queste «autonomie» non sono ancora ben
definite , tant’è che nella discussione si parla indifferentemente di Regioni
(comprese le Regioni a statuto speciale?), Macroregioni, Province (le stesse che si
vorrebbe abolire e in via di smantellamento?), Grandi Città, Città
metropolitane, Comuni.
Poteri o consigli?
Dei poteri del futuro Senato si
dice, in negativo, ch'esso non avrà più gli stessi poteri della Camera dei
deputati, che non avrà più né il potere legislativo, né il potere di controllo
(voto di fiducia) sul Governo e non dovrà più approvare il bilancio dello
Stato. Nessuno è in grado di spiegare quali poteri autoritativi potrebbe ancora
avere soprattutto nel caso che fosse composto di membri non eletti ma designati.
Il nuovo Senato sarà ancora una componente del Parlamento (Parte II Titolo I
della Costituzione) o una sorta di assemblea consultiva per dispensare pareri e
consigli?
Il colmo di questa strana
discussione sui poteri o non poteri del nuovo Senato è che proprio tra i
sostenitori di un Senato per così dire «leggero» e sostanzialmente depotenziato
ci sono parecchi parlamentari che fanno affidamento proprio sui senatori per
correggere presunte anomalie del decreto lavoro approvato alla Camera, della
legge elettorale e naturalmente per la riforma del Senato.
Mi sembra un buon segnale,
perché diversamente verrebbe da pensare che, un domani, con una sola Camera, si
potrebbe arrivare facilmente a una sorta di dittatura della maggioranza,
costituita dal partito uscito vincitore dalle elezioni. Una tale maggioranza
condizionerebbe non solo l’attività legislativa, ma anche l’esecutivo, l’elezione
del Presidente della Repubblica e la stessa composizione della Corte
costituzionale. In altre parole non esisterebbero contrappesi allo strapotere
del partito di maggioranza, soprattutto se dovesse sottostare al principio del pensiero
unico.
Perché non un’assemblea
costituente?
Probabilmente le disfunzioni del
«bicameralismo perfetto» si potrebbero risolvere diversificando (non
depotenziando) le funzioni delle due Camere, riducendo drasticamente il numero
dei componenti, modificando i regolamenti interni. Inutile perdere tempo a
litigare sulla forma di elezione o nomina dei senatori. Se dovranno
rappresentare le istituzioni (o entità) territoriali, è bene che siano esse
stesse a scegliere la forma di elezione, purché di elezione mirata si tratti. In Svizzera, ad
esempio, i rappresentanti dei Cantoni (Senatori) sono eletti su base cantonale,
generalmente col sistema maggioritario, lo stesso giorno in cui viene eletto il
Consiglio nazionale (corrispondente alla Camera dei deputati), eletto
generalmente col sistema proporzionale.
Roma, Palazzo Madama, sede del Senato |
Di fronte a tali incertezze e
confusioni, mi viene un dubbio, concernente sia il metodo di discussione e sia
la sostanza, ossia che le vere riforme non si vogliano nemmeno avviare in questa
legislatura, da questa strana maggioranza e da questo strano governo (dal punto
di vista della legittimazione popolare). Tanto varrebbe eleggere un’apposita
assemblea costituente, che proponga entro un anno la riforma dell’architettura
dello Stato e, in particolare, l’organizzazione territoriale (in senso
federalistico basato sulla sussidiarietà e sulla solidarietà), l’organizzazione
del potere legislativo (bicameralismo funzionale), l’organizzazione
dell’esecutivo (tipo sistema presidenzialista o cancellierato) e
l’organizzazione della magistratura.
Diversamente si corre il
rischio di perdere tempo, di approvare mezze riforme in gran parte inutili e
rinviare ulteriormente le vere riforme utili all’Italia.
Giovanni Longu
Berna, 6.5.2014
Berna, 6.5.2014
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