Parafrasando Machiavelli si potrebbe dire che se gli uomini fossero tutti buoni…non si farebbero le guerre e non ci sarebbe quindi bisogno né di eserciti né di aerei da combattimento. Purtroppo non tutti gli uomini sono buoni e non tutti hanno la buona consuetudine di rispettare gli altri, ne convengono anche i pacifisti.
Sta di fatto che, tranne pochissime eccezioni, tutti gli
Stati del mondo prevedono nei loro bilanci una voce di spesa rilevante
destinata al proprio esercito e agli armamenti.
Non per nulla, anche in tempi di crisi, il commercio delle armi è sempre fiorente, tanto da suscitare qualche legittimo sospetto. Se ne è fatto portavoce qualche settimana fa Papa Francesco, il quale, parlando della guerra fratricida in Siria, ha affermato che «rimane sempre il dubbio se sia una guerra per qualcosa o una guerra del commercio illegale per vendere armi».
Non per nulla, anche in tempi di crisi, il commercio delle armi è sempre fiorente, tanto da suscitare qualche legittimo sospetto. Se ne è fatto portavoce qualche settimana fa Papa Francesco, il quale, parlando della guerra fratricida in Siria, ha affermato che «rimane sempre il dubbio se sia una guerra per qualcosa o una guerra del commercio illegale per vendere armi».
Negli Stati democratici, tuttavia, le spese militari sono
sempre più oggetto di contestazioni, soprattutto quando la crisi crea
grandi difficoltà economiche ed esistenziali a molti cittadini. Perché spendere
in costosissimi armamenti, si chiedono in tanti, quando con quei soldi si
potrebbe alleviare la sofferenza di milioni di persone? Tant’è che nessuno
Stato vi rinuncia, anche se talvolta qualcuno è costretto dalle circostanze a
ridimensionare la spesa.
Italia e Svizzera a confronto
Due degli Stati in cui attualmente si discute di spese
militari e in particolare dell’acquisto di costosissimi aviogetti sono l’Italia
e la Svizzera. L’approccio è però alquanto diverso. In Italia, ancora alle
prese con una profonda crisi economica e sociale, il problema si pone
essenzialmente in termini di opportunità e di risparmio. In Svizzera, invece,
l’aspetto finanziario è tutto sommato secondario rispetto a un aspetto più politico
e ideologico.
Anzitutto va ricordato che l’Italia, essendo inserita in un sistema
di alleanze ben diverso da quello della Svizzera, non è confrontata con la
necessità di provvedere da sola alla propria sopravvivenza nell'eventualità di
un’aggressione. Il sistema NATO (Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del
Nord), di cui fa parte l’Italia, prevede infatti una «difesa collettiva». E’
vero che ogni membro deve contribuire proporzionalmente alle spese complessive
dell’alleanza, ma è evidente che sono possibili deroghe, ritardi, forme di
compensazione ecc.
F/A-18 in volo sulle Alpi |
Il caso della Svizzera è diverso. Non volendo far parte di
alcuna alleanza militare in virtù del suo statuto di Paese neutrale (fin dal
Congresso di Vienna del 1815), ha sempre dovuto provvedere da sé alla
salvaguardia della propria sovranità nazionale, senza delegarla ad altri.
Una prima conseguenza di questa diversità fondamentale tra i due Paesi riguarda
le spese da sostenere, proporzionalmente inferiori per l’Italia e superiori per
la Svizzera. Basti ricordare la flessibilità dimostrata da vari governi italiani
circa l’acquisto dei cacciabombardieri F-35, di cui si discute da anni. Il loro
numero, previsto inizialmente in 131, è stato ridotto a 90 dal governo di Mario
Monti e non è escluso che l’attuale governo di Matteo Renzi apporti
altri tagli.
Oltretutto molti obiettano a Renzi che l’acquisto di
costosissimi bombardieri mal si concilia col principio costituzionale secondo
cui «l’Italia ripudia la guerra» (Costituzione, art. 11). Nelle motivazioni del Governo ovviamente non ci sono solo considerazioni di ordine finanziario o
ideologico, ma anche di politica internazionale (vincoli NATO).
In Svizzera, invece, alla base delle decisioni di grandi
spese militari ci sono solitamente motivazioni di principio (credibilità della
difesa nazionale) e secondariamente considerazioni di ordine finanziario. Prima
ancora di chiedersi quanto costano gli aviogetti prescelti, politici e
cittadini si domandano se sono quelli più adatti al ruolo che dovranno svolgere
come elemento strategico di una difesa credibile.
Un’altra differenza, di non poco conto, tra i due Paesi
nell’affrontare le grandi spese militari è che in Italia le decisioni dipendono
essenzialmente dal governo e dalla sua maggioranza in Parlamento. In Svizzera,
invece, anche riguardo agli investimenti per la difesa nazionale l’ultima
parola spetta al popolo, come avverrà anche fra meno di un mese.
Gripen al vaglio popolare
Il 18 maggio 2014 il popolo svizzero è infatti chiamato a
decidere sul referendum promosso contro la legge istitutiva del «Fondo Gripen», ossia un fondo per l’acquisto
di 22 moderni aerei da combattimento svedesi Gripen. Questi dovrebbero servire per sostituirei 54 aviogetti
F-5 Tiger, ormai obsoleti e prossimi ad essere abbandonati (2016), e per
integrare la flotta dei 32 F/A-18, che dovrebbero essere messi fuori servizio
verso il 2030.
Prototipo di cacciabombardiere Gripen |
Il ricorso al voto popolare sta ad indicare che la spesa prevista per avere i costosissimi velivoli è contestata da una parte della popolazione, sebbene
il loro acquisto sia stato deciso democraticamente dal Governo e dal
Parlamento. Ma la consultazione popolare sta ad indicare soprattutto un
elemento della democrazia elvetica ben più importante dell’oggetto specifico su
cui si voterà. La difesa in questo Paese è sentita come un problema «nazionale»
per cui è giusto che sia il Popolo sovrano a dire l’ultima parola non tanto sul
sistema specifico di protezione da adottare, quanto sulla sua validità e
credibilità.
Nei dibattiti sulle spese militari, anche in Svizzera si è
sempre discusso sulla loro opportunità. Ricordo, ad esempio, una discussione al
Consiglio nazionale alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, in cui il capo
del Dipartimento militare federale Rudolf Gnägi sosteneva che il bilancio
del suo dipartimento non poteva essere ulteriormente ridotto (come chiedevano
alcuni) se non si voleva rinunciare alla «credibilità» dell’esercito: «o si
mantiene un esercito degno di questo nome oppure è meglio abbandonare tutto!».
Dai banchi degli oppositori si levò la voce del socialista
autonomo Werner Carobbio che disse: non sarebbe poi tanto male, visto che un esercito moderno costa caro e per
la Svizzera è in fin dei conti inutile. Oggi, riteneva, non vi è alcun rischio
di una aggressione armata e, se dovesse verificarsi, la Svizzera non sarebbe
comunque in grado di opporsi alle grandi potenze.
Quella volta il
Parlamento non fu dello stesso avviso e forse non lo sarà nemmeno il popolo
svizzero fra meno di un mese, soprattutto dopo l’avvertimento del ministro
della difesa Ueli Maurer secondo cui stavolta non si tratta del
semplice acquisto di un aereo da combattimento ma di molto di più: «Il voto del
18 maggio è cruciale per l’indipendenza e la sicurezza del nostro Paese».
Credibilità ed efficacia
Sul tema della
«credibilità» delle forze armate svizzere e specialmente dell’aviazione si può
discutere ma non si può negare ch’esso sia ritenuto fondamentale. Esso è stato
al centro delle scelte della politica militare svizzera fin dagli inizi della
moderna Confederazione. L'esistenza di un esercito svizzero efficiente e quindi
la necessità delle spese per il suo mantenimento sono da sempre incontestate dalla
massa della popolazione e dai grandi partiti che determinano la politica
elvetica.
Quando all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia
(1981) qualche politico italiano aveva auspicato l’annessione del Cantone Ticino, il generale
svizzero Guillaume-Henri Dufour aveva rassicurato i politici svizzeri e la
popolazione perché «l’esercito è pronto!» («Die Armee ist da!») e poteva
disporre di 100.000 uomini (compresi i riservisti) più 50.000 uomini della
milizia territoriale (Landwehr). Tutti ben equipaggiati, istruiti e ben
armati, che avrebbero impedito a chiunque di violare impunemente la frontiera
svizzera. La Svizzera non è mai stata attaccata.
Origini e sviluppo dell'aviazione militare svizzera
Alla vigilia della prima guerra mondiale, mentre tutti i
Paesi confinanti avevano già almeno un embrione di aviazione militare, la
Svizzera ne era totalmente priva perché la Confederazione non aveva i soldi
nemmeno per addestrare i piloti. Per sopperire a questa mancanza, nel 1914 venne
promossa una colletta nazionale privata che apportò circa 1,7 milioni di
franchi. Con questa somma ebbe inizio, per volontà popolare, il primo nucleo
dell’aviazione militare svizzera, che quest’anno celebra il suo primo
centenario. Venne organizzata la prima centrale di addestramento (nove piloti
in tutto) in un’area vicino a Berna (Beundenfeld
) e vennero acquistati o presi in affitto i primi otto velivoli.
Tra le due guerre mondiali l’aviazione militare svizzera si
sviluppò notevolmente colmando la distanza che la separava da quelle dei Paesi
vicini. Durante la guerra intervenne solo poche volte,
ma lasciò intendere di essere credibile ed efficace. Molti aerei erano tenuti
pronti ad intervenire in enormi cavarne ricavate nelle montagne, dove
furono anche allestite molte piste.
Svizzera: né agnello né superlupo
La Svizzera, in quanto Paese neutrale, ha sempre sperato di
non essere attaccata, ma ha sempre ritenuto di doversi difendere efficacemente
se attaccata.. Molti anziani ricordano ancora la paura di un attacco tedesco (la cosiddetta «operazione Tannenbaum») durante la seconda guerra mondiale e
la volontà della piccola Svizzera di resistere a tutti i costi.
Max Frisch
ricordando quegli anni, ha scritto: «La nostra volontà di difesa si fondava
sulla speranza che la semplice esibizione della nostra volontà di difesa
dissuadesse il nemico».
Un altro scrittore svizzero, Friedrich Dürrenmatt, ha
riassunto questo atteggiamento con una immagine presa dal mondo animale: «La
Svizzera è un superlupo che, nel momento in cui afferma di essere neutrale,
dichiara di essere un superagnello. In altre parole: la Svizzera è un superlupo
che proclama di nutrire intenzioni aggressive nei confronti degli altri
superlupi. Il successo è sorprendente: nemmeno il superlupo Hitler divorò il
superlupo Svizzera travestito da agnello».
Non credo che la Svizzera sia un superlupo, come non sono
sicuramente superlupi gli altri Paesi dell’Unione Europea. Pertanto, fuori
metafora, non sarebbe il caso di credere piuttosto in una Unione europea meno aggressiva
e più solidale? Trasformando le spese militari, almeno quelle più consistenti, in
spese sociali e di progresso, insieme si potrebbe andare molto lontano ed
essere ancor più credibili.
Giovanni Longu
Berna, 30.04.2014
Berna, 30.04.2014
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