La Prima guerra mondiale segna una svolta fondamentale nella politica immigratoria svizzera. Con la chiusura delle frontiere allo scoppio della guerra, la Svizzera ha modo di ripensare la sua politica nei confronti degli stranieri, fino ad allora incentrata su un modello di libera circolazione delle persone, in base ad accordi bilaterali soprattutto con gli Stati confinanti. Dalla fine della guerra, le frontiere non saranno più totalmente aperte, nemmeno per gli immigrati provenienti dai cosiddetti Paesi «amici», Italia compresa.
Prima del
1914
Sono
convinto che per capire questo Paese, e soprattutto la sua politica nei
confronti degli stranieri, sia indispensabile dedicare qualche momento di
attenzione a quel che è avvenuto anche in Svizzera, pur non essendo
direttamente coinvolta nel conflitto, immediatamente prima, durante e dopo la
prima guerra mondiale.
Anzitutto è
opportuno ricordare che se la guerra non scoppiò per caso (l’assassinio a Sarajevo, il 28 giugno 1914, dell’arciduca
Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, fu solo un
pretesto) o del tutto
inaspettata, gran parte degli Stati coinvolti fin dall'inizio non erano
preparati a un conflitto che sarebbe durato anni. Soprattutto la Svizzera si
trovò del tutto impreparata, non già alla guerra ma alle sue possibili
conseguenze come Paese circondato da Paesi belligeranti.
La
Svizzera, pur essendo sempre stata prudente o addirittura diffidente del
comportamento degli Stati confinanti, confidava in una sorta di protezione del
suo statuto di Paese neutrale senza nemici. Si sentiva come un’isola (più o
meno felice e comunque, di diritto, inviolabile) e ne approfittava per
consolidare il suo sviluppo nel campo delle infrastrutture del traffico
(completamento della rete ferroviaria e ampliamento di quello stradale), nella
produzione agricola e industriale, nelle relazioni commerciali con l’estero, nel turismo
interno e internazionale, negli sport invernali, nell'edilizia pubblica e
privata, nelle arti e nella cultura in generale. Era il periodo fiorente della
Belle Epoque.
Progresso
e disagio sociale
La Svizzera
cominciava ad essere rinomata non solo come piccola potenza industriale e polo
d’attrazione turistica, ma in generale per il suo livello di benessere, anche
se non concerneva ancora tutti. Da oltre un decennio aveva dimenticato di
essere stato un Paese di emigrazione, ma si rendeva ben conto di essere
diventato ormai un Paese d’immigrazione. Quasi il 15 per cento dei suoi
abitanti erano infatti stranieri (oltre mezzo milione), soprattutto germanici e
italiani.
Emigranti italiani alla stazione di Briga |
Anche i
numerosi italiani (oltre 200 mila) avevano, forse, dimenticato le violenze
subite soprattutto a Berna (1893) e a Zurigo (1896) e molti ormai avevano
adottato di fatto la Svizzera come seconda patria. Altri, invece, dovranno più
tardi lasciarla per andare a combattere per la prima. Per evitare l’arruolamento
forzato, molti emigrati chiesero e ottennero la naturalizzazione.
Alla
vigilia della guerra, il lavoro in Svizzera abbondava, ma la settimana
lavorativa era ancora lunga (sebbene fosse stata da poco ridotta da 65 e 59
ore, 10 al giorno), i salari in molte fabbriche rimanevano bassi e gli operai e
i loro sindacati ricorrevano spesso a scioperi di protesta per cercare di
aumentarli. Dall'inizio del secolo i rapporti sociali erano tesi e a farne le
spese erano soprattutto gli stranieri, ritenuti ormai troppi, invasivi,
indisposti all'integrazione, pericolosi sotto molti punti di vista.
Il
«problema degli stranieri»
Ovunque si cominciava
a discutere del «problema degli stranieri», soprattutto dopo che a Zurigo si
era sintetizzata la questione in un unico termine «Überfremdung», poi
tradotto in italiano come «inforestierimento», col quale si tendeva dapprima a designare
un fenomeno sociologico di non facile interpretazione, poi sempre più a considerare
gli stranieri un pericolo e addirittura la causa della precarietà del lavoro,
dello sfruttamento salariale, della penuria di alloggi e di molto altro ancora.
Con lo
scoppio della guerra il problema degli stranieri passò in second’ordine e
divenne prioritario, ovviamente, come far fronte alla guerra, la preparazione
dell’esercito, l’allestimento di una forza aerea (ancora inesistente),
l’approvvigionamento del Paese, ecc. Per la Svizzera era chiaro, sebbene non
avesse da temere (quasi) niente perché nessuno Stato le era nemico, sarebbe
intervenuta contro chiunque avesse violato il suo territorio. Per questo doveva
essere pronta.
Il problema
della Überfremdung non verrà tuttavia abbandonato e sarà ripreso subito
dopo la guerra.
Giovanni
Longu
Berna, 7 maggior 2014
Berna, 7 maggior 2014
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