Per capire la Svizzera (e gli svizzeri) bisognerebbe capire le sue origini, i suoi miti di fondazione (Guglielmo Tell e il giuramento del Grütli), le sue tradizioni, la sua storia, ma anche la sua geografia (un paese alpino senza sbocco al mare), il senso delle sue montagne e delle sue vallate, le immagini che di essa hanno tramandato i suoi celebri scrittori e artisti.
Una delle
personalità che è riuscita meglio di molte altre a capire l’essenza di questo
Paese e a darne un’immagine plastica mi sembra il grande scrittore, drammaturgo
e pittore svizzero Friedrich Dürrenmatt (1921-1990). Poche settimane
prima della sua morte, in occasione del conferimento del premio Gottlieb
Duttweiler allo scrittore e uomo politico ceco Václav Havel, Dürrenmatt
tenne un discorso rimasto celebre soprattutto, credo, per l’immagine usata a
proposito della Svizzera e degli svizzeri.
Svizzera
come una prigione?
Friedrich Dürrenmatt |
Egli paragonò
la Svizzera a una prigione, costruita dagli stessi svizzeri, dove «si sono rifugiati perché soltanto lì si sentono al riparo da
eventuali aggressioni, perché fuori di essa tutti si scagliano gli uni contro
gli altri». Nello stesso discorso sostenne anche che «gli svizzeri si sentono liberi, più liberi
di tutti gli altri, liberi, da prigionieri, nella prigione della loro
neutralità».
Di seguito,
Dürrenmatt precisava poi il senso delle sue affermazioni, spiegando che il
problema è la neutralità svizzera: «La neutralità è motivo di discussione,
di sofferenza, ha una connotazione ambivalente: rende liberi perché sicuri di
non essere aggrediti e coinvolti nei conflitti del resto del mondo ma, allo
stesso tempo, rende prigionieri perché limita la libertà di agire, la
possibilità di scendere in campo attivamente. Il problema di questa prigione è
dimostrare che essa deve essere vissuta come un baluardo della libertà».
Si può
condividere o meno questa immagine di Dürrenmatt, ma non c’è dubbio che una
delle chiavi interpretative dell’intera storia svizzera, dal (presunto) giuramento
del Grütli al difficile rapporto della Svizzera di oggi con l’Unione Europea, è
la concezione della neutralità di un popolo fiero, libero, circondato da grandi
potenze spesso in guerra fra loro, protetto solo parzialmente da montagne e
senza sbocchi sul mare. Che la geografia di questo Paese abbia creato problemi
ai suoi abitanti è innegabile. Ma forse ha ragione Dürrenmatt quando considera l’attaccamento
irrinunciabile degli svizzeri alla propria neutralità anche un limite alle
possibilità di un intervento diretto e positivo della Svizzera in tante
situazioni difficili, soprattutto a livello europeo.
Nascita e scopo della Confederazione
Non si può
tuttavia negare, da un punto di vista strettamente storico, che l’attività
esterna della Svizzera è sempre stata condizionata dal grado di coesione dei
suoi cittadini, da quella che comunemente si chiama «identità nazionale». Basta
ricordare com'è nata la moderna Confederazione nel 1848. Solo un anno
prima la vecchia Confederazione aveva rischiato di scomparire in seguito alle
lotte tra Cantoni cattolici e Cantoni protestanti, sull'orlo della guerra
civile. Oltre alla spaccatura confessionale, un’altra linea di demarcazione era
costituita dalla frontiera linguistica che spesso opponeva Cantoni tedeschi e
Cantoni francesi. Per non parlare delle altre numerose differenze, che
rendevano i 22 Cantoni disomogenei e spesso in contrasto.
Per parecchi decenni è sempre stato prioritario rafforzare
la coesione nazionale. Del resto è con questa finalità che nel 1848 i 22 Cantoni svizzeri decisero di
adottare una nuova Costituzione per fondare la moderna Confederazione,
ossia «allo scopo di rassodare la lega dei Confederati, di mantenere ed
accrescere l’Unità, la Forza e l’Ordine della Nazione Svizzera» (Preambolo
della Costituzione federale del 1848, modificato nell'ultima revisione in «rinnovare
l’alleanza confederale e consolidarne la coesione interna, al fine di
rafforzare la libertà e la democrazia, l'indipendenza e la pace, in uno spirito
di solidarietà e di apertura al mondo»).
Da allora,
coerentemente, le autorità federali hanno fatto di tutto per evitare che
le differenze linguistiche, confessionali, culturali, ma anche economiche
potessero degenerare in lotta politica e conflitti sociali. Inoltre, allo scopo
di salvaguardare la pacifica convivenza democratica e sostenere lo sviluppo del
Paese hanno provveduto fin dall'inizio a creare strutture federali centrali
efficienti, a consolidare il diritto federale, unificante ma al tempo stesso
rispettoso delle autonomie locali, a fissare eque rappresentanze linguistiche e
regionali negli organismi elettivi federali, a favorire l’iniziativa privata in
tutti i campi dell’economia, della ricerca e della cultura, a garantire la
libera circolazione e la libertà d’insediamento in qualsiasi parte della
Confederazione di tutti i cittadini svizzeri, a creare un sistema di
perequazione finanziaria sostenibile, ecc.
L’esposizione nazionale del 1914…
Anche
l’esposizione nazionale del 1914 doveva contribuire al raggiungimento di tale
obiettivo. Essa cadeva in un momento molto particolare, dopo un lungo periodo
di crescita economica, tecnologica e culturale che la Svizzera doveva
consolidare, e alla vigilia del primo grande conflitto mondiale che stava per
divampare alle sue frontiere e che avrebbe potuto coinvolgerla, almeno
indirettamente.
Nello spirito dei tempi, tra patriottismo e nazionalismo, quale
mezzo più efficace per esaltare i valori di un popolo di una esposizione che
proponesse ai milioni di visitatori i progressi compiuti dalla scienza e dalla
tecnica nell'industria, nel commercio, nelle comunicazioni, ma anche nella
cultura e nella qualità della vita di un’intera nazione rivolta decisamente al
futuro? Nelle intenzioni degli organizzatori era un’occasione che avrebbe
senz'altro favorito l’identità e persino un certo orgoglio nazionale.
Allo stesso tempo, tuttavia, dato il particolare momento
storico, l’esposizione al grande pubblico nazionale e internazionale delle
ultime conquiste tecnologiche e dell’alto livello di benessere raggiunto dal
popolo svizzero doveva proporre alle altre Nazioni l’immagine di un Paese
unito, moderno, efficiente, bene organizzato, economicamente solido e
proiettato verso il futuro.
Qualcosa di simile era già avvenuto nell'esposizione del 1883 a Zurigo (un anno dopo
l’inaugurazione del tunnel ferroviario più lungo del mondo) e in quella del
1896 di Ginevra (esaltazione dei macchinari e dell’elettricità). Quella del 1914
doveva rappresentare una sorta di somma dei progressi compiuti dalla Svizzera in
tutti i campi, degna di meritare considerazione e rispetto da parte del mondo
intero. L’identità nazionale doveva risultarne rafforzata all'interno come
all'esterno.
…«manifestazione possente dell’attività nazionale»
E’
significativo in proposito il discorso d’inaugurazione dell’esposizione che il
15 maggio 1914 tenne il Presidente della Confederazione Arthur Hoffmann.
Arthur Hoffmann |
Dopo aver
ricordato che «questo giorno di festa è il coronamento di lunghi anni di
intenso lavoro, e di ammirevole laboriosità» passò ai ringraziamenti: «Grazie, a
tutto il popolo svizzero. Grandi e piccoli, poveri e ricchi, possenti e deboli,
dal direttore al manovale, dall'artista al più modesto artigiano, dal grande
industriale al semplice contadino, ciascuno ha contribuito all'opera immensa e
merita oggi la nostra riconoscenza e la nostra ammirazione incondizionata. Noi
possiamo dire con fierezza che questa esposizione è una manifestazione possente
dell'attività nazionale. Essa è altresì un programma per l'avvenire. Non ignoriamo
le difficoltà e le barriere colle quali si urta il nostro sviluppo economico».
Estendendo
l’orizzonte anche fuori della Svizzera, Hoffmann, non nascose la sua
soddisfazione di costatare che la Svizzera ha dovuto e saputo superare numerosi
ostacoli: «Ovunque noi volgiamo gli sguardi, troviamo ostacoli insuperabili,
ovunque troviamo l'aspro combattimento contro la concorrenza straniera.
Felicitiamoci, tuttavia, che malgrado gli ostacoli, e a dispetto della svantaggiosa
situazione del nostro Paese privo di sbocchi al mare e povero di materia prime,
noi siamo riusciti a condurlo a uno dei primi posti nel commercio delle
nazioni. Difendere questa conquista e aumentarla, deve essere l'obbiettivo delle
forze riunite tra popolo e autorità svizzere».
Probabilmente
Hoffmann era sinceramente convinto che da questa esposizione l’identità e la
coesione nazionale sarebbero uscite rafforzate e avrebbero costituito una
garanzia per la solidità dell’immagine della Svizzera nel panorama
internazionale. Questo era almeno il suo auspicio. Non poteva certo rendersi conto che le difficoltà erano
tutt'altro che superate definitivamente. In effetti si verificarono ben presto
dissidi interni, ad esempio tra romandi e svizzeri tedeschi, già durante la
guerra e anche in seguito. Tuttavia, il sentimento di appartenenza ad una
nazione unita e forte, decisa a difendere con ogni mezzo la sua sovranità e
integrità andò sempre più rafforzandosi nella coscienza svizzera fino ai nostri
giorni.
Aprirsi
all’Europa
Per questo
ritengo che, almeno nel complesso, l’obiettivo primordiale della Confederazione
della coesione e dell’identità nazionali, ribadito a più riprese nella storia
della Svizzera e anche in occasione dell’esposizione del 1914, è stato
ampiamente raggiunto. Pertanto, probabilmente è venuto il momento di andare
oltre, di abbandonare certe posizioni troppo difensive (tipo: «la Svizzera non
è una colonia europea», «contro l’adesione strisciante all’UE», ecc.), di superare
l’ostacolo di cui parlava Dürrenmatt e aprirsi maggiormente alle moderne problematiche
dell’integrazione europea, della libera circolazione non solo dei beni e dei
servizi ma anche delle idee e delle persone, dell’«Europa senza frontiere» e
simili.
Giovanni Longu
Berna, 14.5.2014
Berna, 14.5.2014
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