28 maggio 2014

Visita di Stato di Napolitano in Svizzera


Molti italiani residenti in Svizzera aspettavano da tempo questo viaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Si sperava, fra l’altro, che la sua visita segnasse la conclusione degli accordi sulla fiscalità tra l’Italia e la Svizzera. Un’altra attesa, per molti connazionali non meno importante, era il rilancio dell’italianità in un ambiente «italiano» sempre più disorientato da quel che si legge e si vede dell’Italia.

Il pres. Napolitano accolto a Berna dal
pres. della Confederazione D. Burkhalter
La visita in Svizzera del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il 20 e 21 maggio 2014, era molto attesa perché è nell’ordine delle cose che i rappresentanti di Stati vicini, legati da vincoli indissolubili non solo geografici ma anche storici, culturali, linguistici, economici e sociali, periodicamente s’incontrino, per testimoniare lo stato delle buone relazioni o per appianare divergenze e comunque rafforzare gli interessi comuni.
I rapporti italo-svizzeri hanno radici profonde e hanno prodotto frutti numerosi e di valore, testimoniati fra l’altro da una comunità italiana che in Svizzera è ancora la più numerosa tra quelle straniere. Intense sono le relazioni a tutti i livelli e in tutti i campi, dall’agricoltura alla cultura. L'Italia è il terzo partner commerciale della Svizzera in ordine di importanza dopo la Germania e gli Stati Uniti, e la sua bilancia commerciale presenta regolarmente un'eccedenza. La collaborazione tra l’Italia e la Svizzera è intensa, oltre che nel commercio, negli scambi culturali, artistici, universitari, nella ricerca.

Frase contestata
La visita di Napolitano doveva rappresentare una conferma dello stato delle relazioni bilaterali, per segnalarne il buono stato generale, ma anche per suggellare lo spirito con cui vanno affrontate tra due Paesi amici eventuali difficoltà o contrasti, ossia il dialogo e il rispetto reciproco. Sotto questo aspetto la visita di Napolitano non è stata perfetta, a causa di una svista, una frase del suo discorso ufficiale, sincera (gliene si deve dare atto!) ma forse inopportuna, che i suoi collaboratori o forse l’ambasciatore d’Italia a Berna avrebbero potuto chiedere di omettere.
La frase, riportata da tutti i media svizzeri con evidente disappunto, era riferita all'accettazione da parte del popolo svizzero dell'iniziativa del 9 febbraio scorso contro l'immigrazione di massa. Ha detto Napolitano: «Siamo troppo amici per nascondervi lo sconcerto provato nell'apprendere un risultato del referendum che si pone in controtendenza rispetto alla consolidata politica europea della Confederazione».
Perché «sconcerto»? devono essersi chiesti in molti. Un’espressione ritenuta da taluni un’ingerenza nella politica svizzera, da altri una svista o magari una sottovalutazione della considerazione che la maggioranza degli svizzeri ha della «democrazia diretta». Forse, più semplicemente, Napolitano intendeva sottolineare la necessità o quantomeno l’auspicio di una maggiore collaborazione della Svizzera alla costruzione di una nuova Europa. Purtroppo i media hanno tralasciato forse la parte più bella del discorso di Napolitano sulle «caratteristiche fortemente ancorate nella storia della Svizzera», quali l’accoglienza, la multiculturalità, l’esempio straordinario di equilibrio tra federalismo e democrazia diretta, ecc.
Con altrettanta franchezza il presidente della Confederazione Didier Burkhalter ha ricordato all’illustre ospite e alla sua delegazione che l’Italia iscrive ancora la Svizzera nelle sue «liste nere» dei paradisi fiscali. Una cosa che forse tra amici non si fa. Ha anche ricordato che il negoziato tra Roma e Berna dura ormai da troppo tempo e occorre trovare rapidamente «soluzioni costruttive e soddisfacenti per ambo le parti».

Un negoziato lungo e difficile
E’ soprattutto nel contesto di questo complesso negoziato che è possibile cogliere il senso della visita del presidente Napolitano. Vale la pena ricordarlo per sommi capi.
E’ dal 2009 che i rapporti italo-svizzeri cominciano a deteriorarsi, ossia da quando il governo italiano decise di far rientrare in Italia i capitali italiani depositati illegalmente all’estero, soprattutto in Svizzera. In piena crisi finanziaria, l’allora ministro delle finanze Giulio Tremonti pensò che un grande aiuto sarebbe potuto giungere facilitando, con apposite agevolazioni fiscali (una specie di condono), il rientro di quei capitali.
Mentre erano in corso questi rientri, che frutteranno comunque meno del previsto, non si attenuavano le accuse di Tremonti alla Svizzera, considerata un «paradiso fiscale» e una sorta di «caverna di Alì Babà», che custodiva ingenti capitali (secondo alcune stime 300-500 miliardi di euro), «frutto di ruberie e violazioni della legge». Il suo obiettivo dichiarato era l’abolizione del segreto bancario svizzero, sebbene la Svizzera cominciasse già a pensare alla sua prossima fine (avvenuta, come noto, solo di recente). In breve, tanto disse e tanto fece, che le relazioni italo-svizzere finirono per incrinarsi.

La Svizzera mal sopportava le accuse gratuite di Tremonti in aggiunta a presunte violazioni degli accordi bilaterali da parte dell’Italia a danno soprattutto delle imprese ticinesi sottoposte a difficoltà di ogni genere ogniqualvolta cercavano di operare ad di là del confine. La stampa svizzera parlava di «giochi sporchi», «accanimento contro la Svizzera», un atteggiamento «aggressivo» e «indecente» da parte di un Paese considerato tradizionalmente «amico». Le autorità svizzere avviarono inutilmente colloqui con il governo italiano per far comprendere che la Svizzera non era affatto un «paradiso fiscale».
La strada del dialogo appariva tuttavia necessaria per sbloccare la situazione che, a giudizio di molti parlamentari italiani, sembrava aver toccato il punto di tensione massima delle relazioni italo-svizzere dal dopoguerra.
Il 1° giugno 2011 l’allora presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey, in visita ufficiale a Roma, manifestò al capo del governo Silvio Berlusconi la sua «incomprensione» non solo dei ritardi, ma anche del fatto che «nonostante le intense e buone relazioni, le controversie fiscali continuino ad aumentare». Dichiarò anche che «la presenza della Svizzera sulle liste nere italiane non è accettabile e pregiudica gli scambi economici e gli investimenti reciproci tra i nostri due Paesi».
Berlusconi e Calmy-Rey s’impegnarono personalmente a far ripartire il dialogo, ma i negoziati non fecero passi avanti sia per le difficoltà opposte da Tremonti e sia per la caduta del governo (novembre 2011). Il nuovo governo di Mario Monti fece capire da subito che senza un’intesa globale con l’Unione Europea in materia fiscale era pressoché inutile una trattativa bilaterale con la Svizzera.

La ripresa del dialogo
Nel 2012, poiché la situazione non accennava a sbloccarsi, il Cantone Ticino cercò di forzare i tempi con un’azione clamorosa, quella di bloccare una parte dei ristorni all’Italia delle imposte pagate alla fonte in Svizzera dai frontalieri. Tale riversamento di parte delle imposte era previsto nell’Accordo sui frontalieri del 1974. Per il 2010 si trattava di circa 28 milioni di franchi.
Forse con l’intento di favorire una decisa ripresa del dialogo, la Svizzera pensò bene di invitare il Presidente Giorgio Napolitano a una visita di Stato in Svizzera. Anche in passato alcune visite al massimo livello erano servite a sanare ferite e a rimettere in carreggiata le tradizionali ottime relazioni bilaterali. Data la situazione, però, su consiglio del capo del governo Mario Monti, Napolitano declinò l’invito fino a quando non si fosse risolta la questione dei ristorni congelati dal Ticino. E’ probabile, tuttavia, che il rifiuto di Napolitano e il malcelato disappunto delle autorità federali abbia indotto Monti a riprendere il dialogo.
Di fronte a questa apertura, il Consiglio federale si dichiarò pronto a riprendere il negoziato e il Cantone Ticino a rilasciare i ristorni bloccati. Poiché tuttavia il governo Monti non durò a lungo, la ripresa del negoziato con la Svizzera toccò al suo successore Enrico Letta (dal 28 aprile 2013) che riaprì il dialogo e riuscì a portarlo in una fase avanzata. Tanto è vero che a gennaio il ministro delle finanze del suo governo, Fabrizio Saccomanni, incontrando a Berna la sua omologa Eveline Widmer-Schlumpf, sperava di concludere un buon accordo con la Svizzera entro maggio e farlo firmare eventualmente dal Presidente Napolitano, che nel frattempo aveva dato il suo benestare ad una visita di Stato in maggio 2014. Letta non poté vedere la conclusione del negoziato perché anch’egli durò poco, sostituito dall’attuale governo di Matteo Renzi. Toccherà a lui, forse, siglare l’accordo finale ormai in dirittura d’arrivo, o almeno così sembra.

Valutazione complessiva della visita di Napolitano
La visita del Presidente Napolitano s’inserisce in questo contesto oggettivamente complicato e un po’ contradditorio perché il negoziato fiscale è una specie di spina nel fianco dei rapporti italo-svizzeri complessivamente buoni. E’ un po’ una delusione che Napolitano non abbia potuto siglare alcun accordo, ma non è detto che proprio questa visita, soprattutto la parte dei colloqui ufficiali rimasta nascosta, possa incidere sulla definitiva accelerazione e conclusione del negoziato. Va anche aggiunto che la strada appare ormai senza gravi ostacoli perché la Svizzera ha sgomberato il terreno dal segreto bancario e ha accettato il principio dello scambio automatico delle informazioni.
Del resto anche Eveline Widmer-Schlumpf , che ha partecipato ai colloqui ufficiali, si è detta soddisfatta dei progressi realizzati in ambito fiscale, che lasciano intravedere una prossima soluzione, anche riguardo alla regolarizzazione del passato per gli averi detenuti in banche svizzere da residenti italiani.
In questa prospettiva storica la visita del Presidente Napolitano potrà essere valutata solo alla luce degli esiti di questa trattativa in corso. Anche in passato ci furono momenti di tensione tra i due Paesi che vennero prontamente superati proprio grazie a visite di Stato. Nel 1962, ad esempio, toccò al Presidente Giovanni Gronchi porre fine al malcontento suscitato nel novembre 1961 dalle esternazioni accusatorie nei confronti della Svizzera del ministro italiano Sullo. Nel 1981 toccò al Presidente Sandro Pertini, nel corso di una celebre visita a Berna, far dimenticare i pesanti giudizi espressi dall’ambasciatore di allora sulla politica svizzera e ristabilire il clima di amicizia e di collaborazione tra l’Italia e la Svizzera.
Le successive visite di Stato in Svizzera di presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (1996) e Carlo Azeglio Ciampi (2003) non erano destinate a sanare ferite procurate dall’una o dall’altra parte, ma a rafforzare i vincoli d’amicizia e di collaborazione. Quella di Giorgio Napolitano doveva avere l’una e l’altra funzione. E’ troppo presto per affermare se le abbia soddisfatte, ma si può forse già dire che, almeno in termini di simpatia suscita e di eco sui media, quest’ultima visita è rimasta assai lontana almeno da quelle di Pertini e Ciampi.
Giovanni Longu
28. 05.2014