Molti italiani residenti in Svizzera aspettavano da tempo questo viaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Si sperava, fra l’altro, che la sua visita segnasse la conclusione degli accordi sulla fiscalità tra l’Italia e la Svizzera. Un’altra attesa, per molti connazionali non meno importante, era il rilancio dell’italianità in un ambiente «italiano» sempre più disorientato da quel che si legge e si vede dell’Italia.
Il pres. Napolitano accolto a Berna dal pres. della Confederazione D. Burkhalter |
I rapporti italo-svizzeri hanno radici profonde e hanno
prodotto frutti numerosi e di valore, testimoniati fra l’altro da una comunità
italiana che in Svizzera è ancora la più numerosa tra quelle straniere. Intense
sono le relazioni a tutti i livelli e in tutti i campi, dall’agricoltura alla
cultura. L'Italia è il terzo partner commerciale della Svizzera in ordine di
importanza dopo la Germania e gli Stati Uniti, e la sua bilancia commerciale
presenta regolarmente un'eccedenza. La collaborazione tra l’Italia e la
Svizzera è intensa, oltre che nel commercio, negli scambi culturali, artistici,
universitari, nella ricerca.
Frase contestata
La visita di Napolitano doveva rappresentare una conferma dello
stato delle relazioni bilaterali, per segnalarne il buono stato generale, ma anche
per suggellare lo spirito con cui vanno affrontate tra due Paesi amici
eventuali difficoltà o contrasti, ossia il dialogo e il rispetto reciproco.
Sotto questo aspetto la visita di Napolitano non è stata perfetta, a causa di
una svista, una frase del suo discorso ufficiale, sincera (gliene si deve dare
atto!) ma forse inopportuna, che i suoi collaboratori o forse l’ambasciatore
d’Italia a Berna avrebbero potuto chiedere di omettere.
La frase, riportata da tutti i media svizzeri con evidente
disappunto, era riferita all'accettazione da parte del popolo svizzero dell'iniziativa
del 9 febbraio scorso contro l'immigrazione di massa. Ha detto Napolitano: «Siamo
troppo amici per nascondervi lo sconcerto provato nell'apprendere un risultato
del referendum che si pone in controtendenza rispetto alla consolidata politica
europea della Confederazione».
Perché «sconcerto»? devono essersi chiesti in molti.
Un’espressione ritenuta da taluni un’ingerenza nella politica svizzera, da
altri una svista o magari una sottovalutazione della considerazione che la
maggioranza degli svizzeri ha della «democrazia diretta». Forse, più
semplicemente, Napolitano intendeva sottolineare la necessità o quantomeno
l’auspicio di una maggiore collaborazione della Svizzera alla costruzione di
una nuova Europa. Purtroppo i media hanno tralasciato forse la parte più bella del
discorso di Napolitano sulle «caratteristiche fortemente ancorate nella storia
della Svizzera», quali l’accoglienza, la multiculturalità, l’esempio
straordinario di equilibrio tra federalismo e democrazia diretta, ecc.
Con altrettanta franchezza il presidente della
Confederazione Didier Burkhalter ha ricordato all’illustre ospite e alla
sua delegazione che l’Italia iscrive ancora la Svizzera nelle sue «liste nere»
dei paradisi fiscali. Una cosa che forse tra amici non si fa. Ha anche
ricordato che il negoziato tra Roma e Berna dura ormai da troppo tempo e
occorre trovare rapidamente «soluzioni costruttive e soddisfacenti per ambo le
parti».
Un negoziato lungo e difficile
E’ soprattutto nel contesto di questo complesso negoziato
che è possibile cogliere il senso della visita del presidente Napolitano. Vale
la pena ricordarlo per sommi capi.
E’ dal 2009 che i rapporti
italo-svizzeri cominciano a deteriorarsi, ossia da quando il governo italiano
decise di far rientrare in Italia i capitali italiani depositati illegalmente all’estero,
soprattutto in Svizzera. In piena crisi finanziaria, l’allora ministro delle
finanze Giulio Tremonti pensò che un grande aiuto sarebbe potuto
giungere facilitando, con apposite agevolazioni fiscali (una specie di condono),
il rientro di quei capitali.
Mentre erano in corso questi
rientri, che frutteranno comunque meno del previsto, non si attenuavano le
accuse di Tremonti alla Svizzera, considerata un «paradiso fiscale» e una sorta
di «caverna di Alì Babà», che custodiva ingenti capitali (secondo alcune stime
300-500 miliardi di euro), «frutto di ruberie e violazioni della legge». Il suo
obiettivo dichiarato era l’abolizione del segreto bancario svizzero, sebbene la
Svizzera cominciasse già a pensare alla sua prossima fine (avvenuta, come noto,
solo di recente). In breve, tanto disse e tanto fece, che le relazioni
italo-svizzere finirono per incrinarsi.
La strada del dialogo appariva
tuttavia necessaria per sbloccare la situazione che, a giudizio di molti parlamentari
italiani, sembrava aver toccato il punto di tensione massima delle relazioni
italo-svizzere dal dopoguerra.
Il 1° giugno 2011
l’allora presidente della Confederazione Micheline Calmy-Rey, in visita
ufficiale a Roma, manifestò al capo del governo Silvio Berlusconi la sua
«incomprensione» non solo dei ritardi, ma anche del fatto che «nonostante le
intense e buone relazioni, le controversie fiscali continuino ad aumentare». Dichiarò
anche che «la presenza della Svizzera sulle liste nere italiane non è
accettabile e pregiudica gli scambi economici e gli investimenti reciproci tra
i nostri due Paesi».
Berlusconi e Calmy-Rey s’impegnarono personalmente a far
ripartire il dialogo, ma i negoziati non fecero passi avanti sia per le
difficoltà opposte da Tremonti e sia per la caduta del governo (novembre 2011).
Il nuovo governo di Mario Monti fece capire da subito che senza un’intesa
globale con l’Unione Europea in materia fiscale era pressoché inutile una
trattativa bilaterale con la Svizzera.
La ripresa del dialogo
Nel 2012, poiché la situazione non accennava a
sbloccarsi, il Cantone Ticino cercò di forzare i tempi con un’azione clamorosa,
quella di bloccare una parte dei ristorni all’Italia delle imposte pagate alla
fonte in Svizzera dai frontalieri. Tale riversamento di parte delle imposte era
previsto nell’Accordo sui frontalieri del 1974. Per il 2010 si trattava di
circa 28 milioni di franchi.
Forse con l’intento di favorire una decisa ripresa del
dialogo, la Svizzera pensò bene di invitare il Presidente Giorgio Napolitano
a una visita di Stato in Svizzera. Anche in passato alcune visite al massimo
livello erano servite a sanare ferite e a rimettere in carreggiata le
tradizionali ottime relazioni bilaterali. Data la situazione, però, su
consiglio del capo del governo Mario Monti, Napolitano declinò l’invito
fino a quando non si fosse risolta la questione dei ristorni congelati dal
Ticino. E’ probabile, tuttavia, che il rifiuto di Napolitano e il malcelato
disappunto delle autorità federali abbia indotto Monti a riprendere il dialogo.
Di fronte a questa apertura, il Consiglio federale si
dichiarò pronto a riprendere il negoziato e il Cantone Ticino a rilasciare i
ristorni bloccati. Poiché tuttavia il governo Monti non durò a lungo, la
ripresa del negoziato con la Svizzera toccò al suo successore Enrico Letta
(dal 28 aprile 2013) che riaprì il dialogo e riuscì a portarlo in una fase
avanzata. Tanto è vero che a gennaio il ministro delle finanze del suo governo,
Fabrizio Saccomanni, incontrando a Berna la sua omologa Eveline
Widmer-Schlumpf, sperava di concludere un buon accordo con la Svizzera entro
maggio e farlo firmare eventualmente dal Presidente Napolitano, che nel
frattempo aveva dato il suo benestare ad una visita di Stato in maggio 2014. Letta
non poté vedere la conclusione del negoziato perché anch’egli durò poco,
sostituito dall’attuale governo di Matteo Renzi. Toccherà a lui, forse, siglare
l’accordo finale ormai in dirittura d’arrivo, o almeno così sembra.
Valutazione complessiva della visita di Napolitano
La visita del Presidente Napolitano s’inserisce in questo
contesto oggettivamente complicato e un po’ contradditorio perché il negoziato
fiscale è una specie di spina nel fianco dei rapporti italo-svizzeri
complessivamente buoni. E’ un po’ una delusione che Napolitano non abbia potuto
siglare alcun accordo, ma non è detto che proprio questa visita, soprattutto la
parte dei colloqui ufficiali rimasta nascosta, possa incidere sulla definitiva
accelerazione e conclusione del negoziato. Va anche aggiunto che la strada
appare ormai senza gravi ostacoli perché la Svizzera ha sgomberato il terreno
dal segreto bancario e ha accettato il principio dello scambio automatico delle
informazioni.
Del resto anche Eveline Widmer-Schlumpf , che ha partecipato
ai colloqui ufficiali, si è detta soddisfatta dei progressi realizzati in
ambito fiscale, che lasciano intravedere una prossima soluzione, anche riguardo
alla regolarizzazione del passato per gli averi detenuti in banche svizzere da
residenti italiani.
In questa prospettiva storica la visita del Presidente
Napolitano potrà essere valutata solo alla luce degli esiti di questa
trattativa in corso. Anche in passato ci
furono momenti di tensione tra i due Paesi che vennero prontamente superati
proprio grazie a visite di Stato. Nel 1962, ad esempio, toccò al Presidente
Giovanni Gronchi porre fine al malcontento suscitato nel novembre 1961
dalle esternazioni accusatorie nei confronti della Svizzera del ministro
italiano Sullo. Nel 1981 toccò al
Presidente Sandro Pertini, nel corso di una celebre visita a Berna, far
dimenticare i pesanti giudizi espressi dall’ambasciatore di allora sulla politica
svizzera e ristabilire il clima di amicizia e di collaborazione tra l’Italia e
la Svizzera.
Le successive visite di
Stato in Svizzera di presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro
(1996) e Carlo Azeglio Ciampi (2003) non erano destinate a sanare
ferite procurate dall’una o dall’altra parte,
ma a rafforzare i vincoli d’amicizia e di collaborazione. Quella di Giorgio
Napolitano doveva avere l’una e l’altra funzione. E’ troppo presto per
affermare se le abbia soddisfatte, ma si può forse già dire che, almeno in
termini di simpatia suscita e di eco sui media, quest’ultima visita è rimasta assai
lontana almeno da quelle di Pertini e Ciampi.
Giovanni Longu
28. 05.2014
28. 05.2014
Nessun commento:
Posta un commento