Qualche giorno fa, conversando con amici, mi è stato chiesto se ritenessi giusta o sbagliata la Brexit, l’uscita della Gran Bretagna (GB) dall’Unione europea (UE). Ho risposto che se la decisione della maggioranza dei cittadini britannici sia stata giusta o sbagliata non lo stabiliscono i media o gli opinionisti e nemmeno i burocrati di Bruxelles (come hanno tentato di fare), ma gli stessi britannici tra qualche mese o anno. Ritengo sbagliato in partenza chiedersi se una decisione popolare presa democraticamente e legittimamente sia giusta o sbagliata. Non esiste infatti altro giudice esterno a un popolo sovrano che possa giudicare la «giustezza» delle sue decisioni. Essendo un convinto sostenitore della democrazia diretta, ritengo pertanto non solo che la scelta fatta dai britannici vada accettata e rispettata, ma che sia anche da ritenersi per principio giusta, fin quando gli stessi cittadini britannici non la considereranno sbagliata.
La Brexit non è una
disfatta, ma un’opportunità
Ciò premesso, credo
come molti che la Brexit avrà conseguenze serie sia per la Gran Bretagna (GB) che
per l’Unione europea (UE), ma a differenza di quanti preconizzano conseguenze
catastrofiche, soprattutto per la prima, non la ritengo una disfatta, anzi
penso che potrà avere ripercussioni positive sia per la GB che per l’UE. E’
impensabile infatti che i britannici non faranno d’ora in poi più attenzione a
tutto ciò che accadrà in campo economico, politico, sociale, finanziario, ecc.
Mi immagino anche una crescita della maturità civile e del senso di
responsabilità civico dell’intero popolo britannico. Penso inoltre che in
futuro userà maggiore circospezione quando il referendum risulterà non
un’emanazione dei diritti popolari ma una richiesta del governo per scopi poco
trasparenti.
Anche per l’UE i
benefici potrebbero essere molti a condizione anzitutto che i vertici delle
istituzioni comunitarie si rendano conto che l’esempio della GB potrebbe essere
seguito da altri Paesi, se non si interviene subito per rinsaldare i vincoli
dell’Unione. Dovrebbero inoltre rendersi conto che ai cittadini europei l’UE
piace sempre meno e pertanto dovrebbero prestare più attenzione alle richieste
provenienti dal basso di maggiore vicinanza, trasparenza e democrazia. I
cittadini vogliono un’Europa attenta, più che alla salute delle banche e
all’andamento delle borse, al benessere dei cittadini, alla sicurezza,
all’occupazione giovanile, alla protezione sociale… Diversamente il malcontento
tra i cittadini non potrà che continuare a crescere e la Brexit diverrà
contagiosa.
Un’altra condizione è
che l’UE progredisca vistosamente sulla strada dell’Unione preconizzata da
insigni europeisti nella forma di «Stati Uniti d’Europa». Occorre che a
Bruxelles si riprendano quanto prima le procedure per darsi tramite referendum
una vera Costituzione dell’Unione da approvare a maggioranza degli Stati
membri, ma vincolante anche per i Paesi che non l’approvassero e volessero
continuare a restare nell’Unione. Nemmeno la Costituzione federale svizzera,
nel 1848, fu approvata da tutti i Cantoni, ma tutti vi si sottomisero pur di restare
nella Confederazione e in questo modo la Svizzera ha assicurato la propria
sopravvivenza.
Il timore che la Brexit
contagi altri Stati è pernicioso e destinato a indebolire ulteriormente l’UE. Bisogna
superarlo e cogliere questa opportunità dando prova di una decisa volontà
comune di cambiare ciò che non funziona secondo lo spirito dei Trattati di
Roma (1957). Non si dovrebbe tuttavia aver paura dei referendum, persino
sulla permanenza di uno Stato nell’Unione, quando essi sono espressione dei
diritti popolari (che vanno regolati, ma non negati o eccessivamente limitati,
come invece avviene in diversi Paesi europei, Italia compresa!).
Attenti ai
referendum «impropri»!
I referendum da
guardare con sospetto sono quelli voluti o condizionati per fini impropri,
generalmente da un capo di governo, ad esempio per ottenere una sorta di
consacrazione popolare del suo progetto politico, per l’adozione di un
determinato modello di Stato o di governo e persino per stroncare
l’opposizione. In questo modo non si aiuta la democrazia a crescere né
all’interno di uno Stato né all’interno dell’Unione. L’esempio della Brexit (voluto
da David Cameron per avere una conferma popolare della sua politica nei
confronti dell’UE) dovrebbe far riflettere.
A tali condizioni,
credo che l’uscita della Gran Bretagna dall’UE possa rappresentare un’opportunità
da non perdere per riflettere sul destino stesso dell’UE e per
incamminarsi decisamente, sia pure a tappe, verso la trasformazione dell’Unione
in una Federazione di Stati. In
Europa esistono diversi modelli di federazione, compresa la Confederazione
Svizzera, tanto varrebbe studiarli attentamente, adottarne uno come base e adattarlo
alle finalità e alle condizioni particolari del nuovo Stato federale.
L’importante è
cominciare subito, altrimenti gli egoismi nazionali prenderanno definitivamente
il sopravvento e condanneranno gli europei all’abbandono del sogno degli «Stati
Uniti d’Europa» che fu già di Victor Hugo nel 1849 e poi ripreso in varie forme dai grandi
europeisti del secolo scorso Altiero Spinelli, Winston Churcill, Konrad
Adenauer, Alcide De Gasperi, Jean Monnet, Robert Schuman. Questo abbandono,
che non può essere voluto da alcun referendum di emanazione popolare,
rappresenterebbe la vera disfatta dell’Europa e di milioni di europei.
Giovanni Longu
Berna, 4.7.2016
Berna, 4.7.2016
Beppe Severgnini, nota firma del Corriere della Sera, affermava un concetto per me convincente, a grandi linee: un referednum va bene per temi semplici e riconducibili ad un si o ad uno ma non va bene per temi complessi, per questo esistono i parlamenti e le pressioni che i cittadini dovrebbero esercitare su di esso.Per il resto condivido il suo auspicio e le porgo una domanda: la Svizzerea può essere presa come punto di riferimento per una Federazione di Stati Europea?
RispondiEliminaNon condivido l’opinione di Severgnini, perché lui sembra preferire la democrazia rappresentativa, mentre io preferisco la democrazia diretta, a condizione che sia ben regolata. Per di più ritengo la democrazia rappresentativa italiana malata perché le segreterie dei partiti politici hanno un potere esagerato a scapito della rappresentanza dei parlamentari. Questi dovrebbero fare sempre riferimento agli elettori, mentre invece fanno sempre riferimento ai partiti e talvolta, quando cambiano partito, tradiscono addirittura il mandato di rappresentanza ricevuto. Del resto la distanza tra eletti ed elettori in Italia è macroscopica.
RispondiEliminaQuanto all’obiezione riguardante la complessità dell’oggetto in votazione, ritengo che sia superabile formulando chiaramente la domanda sottoposta agli elettori e illustrando in maniera oggettiva (come avviene generalmente qui in Svizzera) le posizioni pro o contro l’oggetto in votazione. Non ritengo poi un male obbligare ogni tanto i cittadini ad informarsi meglio su ciò che stanno per votare, facendo soprattutto attenzione alle conseguenze del voto in un senso o nell'altro.
Alla domanda finale rispondo semplicemente sì perché la Costituzione federale svizzera riesce (magari non alla perfezione) a conciliare due esigenze fondamentali di uno Stato federale: la sovranità popolare e la sovranità degli Stati membri. Del resto, tutti quelli che hanno parlato degli Stati Uniti d’Europa, da Viktor Hugo in poi, hanno sempre tenuto presente non solo il modello americano ma anche (e forse soprattutto) quello svizzero.