Ricollegandomi a
quanto detto nell’articolo precedentedel 4.7.2016, la Brexit è stata
vista in Europa quasi unanimemente come un errore e un danno per la Gran
Bretagna (GB), non per l’Unione europea (UE). Eppure, anche ammettendo che le
conseguenze per la GB saranno rilevanti, certamente per l’UE potrebbero essere
ben più gravi. Il condizionale è d’obbligo perché dipende da come reagiranno
non solo i grandi burocrati di Bruxelles ma anche i singoli capi di Stato e di
governo e i Parlamenti dei Paesi membri.
Un avvertimento
Per tutti gli europei,
fino al 23 giugno scorso, la Brexit, ossia l’uscita della GB dall’UE, era nient’altro
che una possibilità, per altro abbastanza remota perché quasi tutti i sondaggi
davano i contrari in maggioranza. Il premier britannico Cameron aveva
avvertito i connazionali che Brexit sarebbe stata una scelta irreversibile e un
voto favorevole avrebbe procurato alla GB molti guai. Il NO era dunque dato
quasi per scontato.
L’esito del voto ha perciò
creato il panico, non solo in mezza GB, ma anche, e forse soprattutto, nel
resto dell’UE. I vertici di Bruxelles hanno reagito con durezza: peggio per
loro, i britannici, ora devono uscire dall’UE alla svelta. Nessuno sembrava rendersi
conto che la Brexit era soprattutto un avvertimento per l’UE: se non cambia, le
spinte antieuropee di molti cittadini provocheranno altri referendum e nessuno
può escludere che altri Paesi potrebbero seguire la Gran Bretagna. I popoli
vogliono essere più protagonisti invece di essere trattati come minorenni
irresponsabili, privati persino della libertà di decidere se restare o uscire
dall’UE. Vogliono soprattutto più attenzione ai loro problemi, a cominciare
dall’insicurezza (aggravata dai frequenti atti di terrorismo e di criminalità),
dall’immigrazione incontrollata, dalla crescente povertà, dalla disoccupazione
giovanile, ecc.
Brexit per Hollande, Renzi e altri
Angela Merkel con Matteo Renzi (s.) e François Hollande (d.) |
Non per nulla, al
vertice di Berlino tra la Merkel, Hollande e Renzi
convocato dalla padrona di casa per individuare una linea comune sul prossimo
negoziato che concretizzerà l’uscita della GB dall’UE, Hollande si è affrettato
a dire che «non possiamo perdere tempo per non creare incertezza» e Renzi ha aggiunto che «questo è un tempo propizio per una nuova pagina dell’UE». Nessuno ha saputo
indicare che cosa conterrà, chi la scriverà e soprattutto se anche i popoli
potranno apportare aggiunte e correzioni o anche solo esprimere richieste.
Referendum quale
espressione della volontà popolare
So bene che ci sono
molti politici, politologi e giornalisti di spicco (tra cui, giusto per fare un
esempio, Beppe Severgnini) i quali reputano il referendum uno strumento pericoloso in mano al popolo,
ritenuto incapace di decidere con un sì o con un no questioni molto complesse. Queste
andrebbero lasciate ai parlamenti, mentre il popolo potrebbe decidere questioni
più semplici.
Non condivido l’opinione di Severgnini e di
altri che la pensano alla stessa maniera, perché sembrano considerare la «democrazia
rappresentativa» (che si esprime attraverso le decisioni parlamentari)
superiore alla «democrazia diretta» (che fa spesso riferimento al referendum). Se
penso, per esempio, alla democrazia rappresentativa italiana non mi sembra
particolarmente brillante, dipendente com’è più dalle segreterie dei partiti
politici che dalla competenza e dal senso di responsabilità e di rappresentanza
dei parlamentari, spesso voltagabbana e irriguardosi della volontà degli
elettori.
Pur ritenendo la «democrazia diretta», com’è
esercitata per esempio in Svizzera, non esente da difetti e certamente non in
condizione di poter sostituire completamente quella rappresentativa, la
considero un ottimo complemento e una forma di espressione diretta della
volontà popolare insostituibile proprio quando si tratta di decidere questioni
fondamentali, come può essere una riforma costituzionale importante o
l’adesione a un organismo internazionale che implica un condizionamento e
persino la limitazione della sovranità popolare.
Informazione indispensabile
Informazione indispensabile
La complessità dell’oggetto in votazione non è
una buona ragione per non sottometterlo a referendum, semmai dovrebbe impegnare
il governo e il servizio pubblico ad informare meglio i cittadini su ciò che
stanno per decidere, chiarendo in modo equilibrato e veritiero le conseguenze
positive e negative del voto favorevole o contrario. Trovo al riguardo
esemplare (quasi sempre) lo sforzo di chiarezza e di equilibrio compiuto in
Svizzera ad ogni referendum da parte del Governo, persino quando la sua
posizione riguardo all’oggetto in votazione è arcinota. Non ritengo poi un male
obbligare ogni tanto i cittadini ad informarsi meglio su ciò che stanno per
votare, facendo soprattutto attenzione alle conseguenze del voto in un senso o
nell'altro.
Sono convinto che il popolo finirebbe per
avvicinarsi maggiormente alle istituzioni e incarnare quel sentimento che Calamandrei
ricordava agli italiani del dopoguerra: «lo Stato siamo noi», perché «solo con la partecipazione collettiva
e solidale alla vita politica un popolo può tornare padrone di sé». Anche la
costruzione dell’Europa dovrebbe presupporre le stesse basi.
Giovanni
Longu
Berna, 20.7.2016
Berna, 20.7.2016
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