Qualche anno fa (2002) aveva suscitato una
vasta eco un libro di Gian Antonio Stella intitolato «L’orda - quando gli
albanesi eravamo noi». Era apparso a molti lettori e critici come una
rivelazione della «vera» storia dell’emigrazione italiana perché finalmente uno
studioso coraggioso aveva osato ricordare che ci fu un tempo, non lontano, in
cui gli emigrati italiani erano considerati «la feccia del pianeta», una
«maledetta razza di assassini» e altro ancora. Il libro ha ispirato anche uno
spettacolo che ne ha ripreso il titolo con l’integrazione «Storie, Canti e Immagini di migranti».
Quando gli «albanesi»
eravamo noi?
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Quandogli italiani partivano, legalmente, a centinaia di migliaia... |
Già dal titolo e dal
risvolto di copertina (ed. 2002) appare chiaro che non gli interessa una tale
sintesi, ma far conoscere dell’emigrazione italiana quella faccia oscura e
negativa che sarebbe stata volutamente rimossa «per raccontare a noi stessi, in
questi anni di confronto con le “orde” di immigrati in Italia e di montante
xenofobia, che quando eravamo noi gli immigrati degli altri, eravamo “diversi”.
Eravamo più amati. Eravamo “migliori”. Non è esattamente così».
Non so quanti in Italia
abbiano rimosso il lato negativo dell’emigrazione, di certo non la stragrande maggioranza
degli immigrati in Svizzera. Sono però convinto che una raccolta di episodi
tristi, persino disgustosi, non siano significativi e rappresentativi della
lunga storia dell’emigrazione italiana, che ha prodotto, nonostante numerosi ostacoli,
discriminazioni e ingiustizie, circa 60 milioni di oriundi italiani, in
maggioranza, è facile affermarlo, soddisfatti. Raccontare in maniera utile
questa storia significa soprattutto spiegare perché milioni di italiani hanno
preferito restare all’estero piuttosto che tornare in patria.
Confusione e pregiudizi
Credo che alla base del
libro di Stella ci siano una confusione o un pregiudizio. L’autore sembra confondere
i profughi che stanno giungendo a centinaia di migliaia in Italia e in Europa in
questi anni con gli «emigranti» italiani di un tempo. Le «orde» di profughi
fuggono, con qualsiasi mezzo, da dittature, guerre, situazioni pericolose per
la loro sopravvivenza; gli emigranti italiani «emigravano» liberamente, essenzialmente
per motivi di lavoro e con la prospettiva e la possibilità (quasi sempre) di
far ritorno in patria appena raggiunto lo scopo dell’espatrio.
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Controllo alla frontiera |
Il pregiudizio di
Stella, comune ad altri che si sono cimentati con la storia dell’emigrazione
italiana, è che comunque gli italiani sono stati sfruttati, discriminati, maltrattati,
costretti, mi verrebbe da dire, «a viver come bruti», giungendo persino, in
Svizzera, a dover nascondere a causa di leggi «spietate» trentamila bambini
ritenuti «clandestini». Certo, è innegabile che i lati oscuri ci sono stati
anche in Svizzera, ma basterebbe intervistare anche solo un piccolo campione di
immigrati della prima generazione per rendersi conto che gli aspetti positivi
sono di gran lunga prevalenti. Diversamente non si spiegherebbe, fra l’altro,
perché in maggioranza questi immigrati continuino a restare in Svizzera invece
di rientrare in Italia.
Oltre a fornire
dell’emigrazione italiana nel mondo, o anche solo in Svizzera, una immagine complessivamente negativa, la narrazione di Stella è anche
infarcita di affermazioni senza fondamento. Per mancanza di spazio mi limito ad
alcune particolarmente vistose.
Affermazioni senza fondamento
Una riguarda lo stereotipo degli italiani clandestini, quando
«espatriavamo
illegalmente a centinaia di migliaia», anzi «a milioni». Stella non può provare
questi dati e quale legge veniva violata espatriando ed entrando nel Paese di
destinazione, ma dovrebbe sapere che, in generale,
gli italiani non giungevano clandestinamente né in America, né in Europa, ma
espatriavano legalmente e al loro arrivo nel porto di New York o a Chiasso o a Briga
erano controllati, verrebbe da dire, da cima a fondo. Si sapeva chi erano. Altro
che clandestini! Oltretutto, allora, la manodopera italiana era benvenuta,
soprattutto in Svizzera per i grandi lavori infrastrutturali.
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Molti figli e nipoti di immigrati hanno fatto brillanti carriere |
Un’altra affermazione priva di fondamento che
Stella ripete in diverse occasioni concerne i presunti «trentamila figli
nascosti che frequentavano scuole clandestine perché ai papà non era consentito
portarsi dietro la famiglia». Purtroppo non dice mai se il dato si riferisce a un
anno preciso (quale?) o un periodo (20-30 anni?), non si domanda se la cifra
indicata sia plausibile (e non lo è!) e tantomeno si chiede perché nonostante
il divieto alcuni immigrati si portavano appresso clandestinamente familiari e
soprattutto bambini.
Trovo infine arrogante e senza alcuna
possibilità di prova affermare che il verdetto di assoluzione nei confronti dei
presunti responsabili della catastrofe di Mattmark sia stato «uno schifo». So
che anche altri, non solo Stella, sono convinti che si sia trattato di un
verdetto «ingiusto», ma dovrebbero avere almeno il pudore di dire che è una
loro opinione, perché le sentenze le emettono solo i giudici, non i media.
Mi fermo qui, ma potrei continuare, perché molto
di ciò che Stella dice dell’emigrazione italiana in Svizzera è contestabile e
l’immagine complessiva che fornisce è alquanto deformata e meritevole di essere
rettificata.
Giovanni Longu
Berna 22.6.2016
Berna 22.6.2016
Da capo Tindari a Capo Milazzo ogni famglia ha avuto almeno un parente emigrante in Svizzera come lavaoratore edile per almeno una stagione. Parliamo degli anni '60.Ne parlano tutti bene, comprese le baracche in cui alloggiavano. Parlano spesso male della professionalità dei capimastri svizzeri ritenuti ottusi e con il paraocchi e dei muratori svizzeri che non erano granchè.Per i clandestini c'è ne sono stati parecchi, ma parliamo di clandestini della prima notte o del primo mese in attesa del primo stipendio, clandestini nei confronti del padrone di casa che sapeva di un affittuario ed un ospite temporaneo ignorando che all'imbrunire nella stanza,,,beh...erano di più!Mai sentito racconti di molgie o figli nascosti negli armadi.
RispondiEliminaCondivido. Aggiungerei che i cosiddetti "clandestini" erano generalmente solo "irregolari" e per poco tempo, in attesa di trovare un datore di lavoro che li mettesse in regola. L'attesa di solito non durava più di qualche mese. Era infatti difficile, negli anni '60 e '70 lavorare in Svizzera senza documenti in regola.
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