Periodicamente c’è
sulla stampa svizzera in lingua italiana un forte richiamo alla problematica
della lingua italiana. Se ne parla generalmente in un contesto ampio
(plurilinguismo) e rivolto a un pubblico di un certo livello
politico-istituzionale e se ne parla talvolta in un ambito più specifico e
rivolto a un pubblico prettamente italiano. Se da una parte trovo utile e
importante che il tema non venga abbandonato, mi dispiace che ancora una volta
i due livelli e i due pubblici di riferimento siano tenuti distinti.
Italiano in Svizzera: problema complicato e confuso
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi5LHB3TfYX7D_LEswZ1exCIIMIFLNiZKk3dqgz1_Hqi1CFszoHm2YGikToQ9H9cy_C-ovWV8nbcQFXHKJMZ59s_Z-Fv2CLCzUNgjlM6wgfKOplSuRIguSZD4wxgEVhUkKF5oKHAOf9eSk/s1600/Italiano_1.jpg)
Dal punto di vista
ticinese ho l’impressione che interessi soprattutto una maggiore attenzione di
Berna ai problemi ticinesi, per cui, ad esempio, si plaude alla nomina a
vicecancelliere di Jörg De Bernardi perché «avrà un occhio attento al
Ticino». Dal punto di vista italiano, invece, gli interessi mi sembrano altri,
in particolare la sopravvivenza dei corsi di lingua e cultura e la garanzia
dell’impiego per gli insegnanti.
Mi pare difficile
individuare un terreno comune su cui costruire una piattaforma per concordare
rivendicazioni, proposte, iniziative. Intanto manca, a mia conoscenza, un
coordinamento tra le varie organizzazioni, per altro molto eterogenee, attive
nella promozione dell’italiano. C’è soprattutto una dicotomia che trovo
preoccupante tra organizzazioni più o meno istituzionali svizzere (Forum
Helveticum, Forum per l’italiano in Svizzera, Intergruppo parlamentare
Italianità, Coscienza Svizzera, Associazione svizzera dei professori d’italiano,
ecc.) e altre operanti prevalentemente tra il pubblico italiano sul base volontaria
(Coordinamento degli enti gestori in Svizzera, Associazione svizzera della
lingua italiana, Comitati genitori locali e regionali, UNITRE, ecc.).
Non è nemmeno facile
dire cosa hanno in comune tutte queste organizzazioni se non un generico
auspicio di veder crescere l’italiano in Svizzera, un riferimento altrettanto
generico al fatto che la lingua italiana va difesa perché di rango
costituzionale (senza per altro trarne mai conseguenze pratiche vincolanti), un
certo interesse comune a non veder sacrificato l’italiano nell’insegnamento
primario e secondario, oltre evidentemente al riferimento esplicito alla lingua
e alla cultura italiana.
Che cosa ancora? Beh,
spesso hanno in comune il genere d’intervento, la rivendicazione (specialmente
finanziaria), anche se lo stile è parecchio diverso. Il primo gruppo ricorre
spesso a interventi parlamentari, convegni, pubblicazioni (suppongo con
finanziamento pubblico!); il secondo gruppo deve purtroppo accontentarsi di
comunicati stampa, passa parola, Facebook, petizioni rivolte per lo più
all’Ambasciata d’Italia.
Data questa disparità,
a mio parere si può sperare in una qualche forma di collaborazione tra i due
gruppi, ma diventa difficile raggiungere intese operative, a meno che si riesca
ad individuare da una parte o dall’altra un qualche tema d’interesse comune.
Anni fa avevo suggerito di esaminare insieme il tema dei corsi di lingua e
cultura perché d’importanza fondamentale sia per la conservazione delle
radici culturali originarie tra i discendenti degli immigrati italiani e sia
perché solo i bambini delle scuole dell’obbligo possono dare una prospettiva
abbastanza sicura all’insegnamento dell’italiano nelle scuole secondarie.
La
«cantonalizzazione» dei corsi
Allora sostenevo che
senza un qualche ragionevole compromesso non sarebbe stato possibile conservare
a lungo tali corsi (per i quali quest’anno è stata lanciata l’ennesima
petizione, perché minacciati di ridimensionamento) e suggerivo la loro «cantonalizzazione»,
ossia la loro integrazione nell’offerta ordinaria della scuola pubblica,
eventualmente con parziale finanziamento da parte dello Stato italiano. Non è
detto, soprattutto con l’aria che tira riguardo all’insegnamento delle lingue
nella scuola primaria (e in parte secondaria), che i Cantoni siano disponibili
a questa integrazione, ma si tratterebbe quantomeno di fare il tentativo.
«Non
capisco perché da parte italiana ‑ e intendo Ambasciata, Consolati, Enti
gestori, ecc. ‑ si continui a considerare la questione di competenza
esclusivamente italiana e non anche svizzera. E’ infatti anche nell’interesse
della Svizzera sostenere ovunque la lingua italiana perché è una della quattro
lingue nazionali e ufficiali ed è funzionale alla coesione interna del Paese».
Così scrivevo quattro anni fa in un articolo. Ritenevo anche che la «cantonalizzazione» dei corsi fosse una via da esplorare.
Non so se sia stato fatto nel frattempo qualche tentativo, ma, vista la
situazione, mi pare quantomeno utile ritentare, con un impegno diretto dell’Ambasciata,
in quanto responsabile dell’organizzazione e del finanziamento dei corsi
attuali.
Sarebbe tuttavia troppo ottimistico ritenere
che basti la valorizzazione dei corsi di lingua e cultura per considerare salva
la lingua italiana in Svizzera. La salvezza verrà infatti soprattutto dal
numero delle persone che intenderanno continuare a servirsene (nel Ticino e nel
resto della Svizzera), dagli stimoli che esse riceveranno circa la sua utilità
provata, ma anche dal sostegno finanziario che le iniziative fuori dal Ticino
riusciranno ad attirare.
Giovanni Longu
Berna, 15.6.2016
Berna, 15.6.2016
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