Secondo i dati dell'ONU, oltre 10'000 migranti
e rifugiati sono morti nel Mediterraneo dall'inizio del 2014 nel tentativo di
raggiungere l'Europa. Un
quotidiano ticinese la settimana scorsa ha ripubblicato su quattro diverse pagine
alcune foto di quel bambino siriano, Aylan, trovato morto l’estate
scorsa su una spiaggia mentre insieme alla sua famiglia e ad altri profughi
cercava la sopravvivenza in Europa. Accanto all’ultima foto, in cui il
soccorritore indica il punto della spiaggia dove fu trovato, è riportato il
commento di Mario Calabresi della Stampa del 3 settembre 2015 col
titolo: «La spiaggia su cui muore l’Europa».
L'Europa deve agire
Aylan e la spiaggia su cui anche l'Europa rischia di morire! |
La confusione tra
profughi, richiedenti l’asilo e migranti (nel senso tradizionale del termine in
occidente) non ha certo aiutato ad elaborare una strategia comune di soccorso e
di accoglienza, ma non può essere addotta a giustificazione dell’inefficienza
dell’Unione europea nel cercare soluzioni possibili.
Non credo che la
soluzione migliore contro l’«invasione» (il termine continua ad essere usato
anche se brutto) di stranieri sia la chiusura delle frontiere interne (per
altro contraria ai Trattati) e nemmeno lo spostamento della difesa del fortino
Europa ai suoi confini esterni (che vanno certamente controllati, sapendo
tuttavia che sarà ben difficile controllarli interamente, soprattutto lungo il
fronte marittimo del Mediterraneo). Meno ancora mi convince la soluzione
(oltretutto molto costosa) di delegare il (brutto) compito di arginare la marea
dei profughi a Stati che non hanno l’imbarazzo di una tradizione umanitaria e della
presenza al suo interno di un Papa che non passa giorno in cui non richiami i
doveri dell’accoglienza e dell’umanità.
Occorre una chiara strategia del «dopo»
A mio parere, nei
momenti di emergenza, la domanda non dovrebbe essere quanti profughi possiamo
accogliere, ma come dobbiamo accoglierli. Il dovere della prima accoglienza dovrebbe
essere sacrosanto per tutti, anche senza richiamarsi alle opere della misericordia
cristiana. Evidentemente la prima accoglienza ha un tempo limitato, per cui è
imperativo che l’Unione europea elabori con determinazione una chiara
strategia del «dopo», vincolante per tutti gli Stati membri. Non è
ammissibile che in un sistema che aspira all’Unione dei suoi membri, alcuni
siano più caricati di altri.
Mi rendo conto che tra
il dire e il fare la distanza è piuttosto lunga, ma rappresenterebbe una resa e
la disfatta del progetto europeo se non si riuscisse in tempi ragionevoli a
calcolare la capacità di ospitare per un tempo medio-lungo un certo numero di
stranieri, a valutarne i benefici sia in termini economici che demografici
(possibile che l’invecchiamento della popolazione europea non sollevi qualche
interrogativo?), a organizzare una strategia comune per offrire ai nuovi
arrivati desiderosi di restare forme di apprendimento accelerato della lingua
del posto e corsi di formazione professionale adeguati alle capacità degli
individue e alle esigenze dell’economia.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNzwMoo3niwSUyumKhc5iHEZxdm30CFBsUzc5UOxgPsbXC49vFlwXJCoWFypzYXraSeq9xnGX0SZj2jF7075nH1m_ykwcbQfBtSPLofrfJGy2rYY7BqobqFYcuHBAYNxZmRHearpc1c3s/s320/profughi+in+attesa.jpg)
Anche da un punto di
vista interessato bisognerebbe riflettere che il flusso di chi aspira,
legittimamente, alla libertà e a vivere meglio, non è destinato ad arrestarsi
nel breve periodo; tanto varrebbe sforzarsi (ma non ci vuole tanto) di vedere
nel fenomeno inatteso e incontrastabile qualche aspetto positivo di non poca
importanza. La storia insegna.
Il caso della Svizzera
Il caso della Svizzera
Il caso della
Svizzera (ma non solo) è particolarmente emblematico. E’ risaputo che senza
l’immigrazione questo Paese non sarebbe quello che è, soprattutto nei suoi
aspetti più positivi. Gli immigrati, infatti, non sono «serviti» solo
all’economia (che si sviluppò grazie a loro fino a raggiungere livelli
incredibili per un piccolo Paese senza risorse naturali), ma anche, almeno fino
al 1960, alla ricostruzione di una struttura demografica normale, compensando
il forte deficit di nascite degli anni Venti e Trenta.
L’Europa di oggi non è molto diversa! Ovviamente non vanno trascurate nemmeno le misure previste dal cosiddetto «Migration Compact» o patto sulla migrazione, tra cui investimenti finanziari consistenti nei Paesi di provenienza dei profughi; ma non c’è dubbio, a mio parere, che si debba cominciare senza ulteriori indugi dalle azioni sopra accennate: accoglienza, insegnamento linguistico, formazione professionale.
L’Europa di oggi non è molto diversa! Ovviamente non vanno trascurate nemmeno le misure previste dal cosiddetto «Migration Compact» o patto sulla migrazione, tra cui investimenti finanziari consistenti nei Paesi di provenienza dei profughi; ma non c’è dubbio, a mio parere, che si debba cominciare senza ulteriori indugi dalle azioni sopra accennate: accoglienza, insegnamento linguistico, formazione professionale.
Giovanni Longu
Berna, 13.6.2016
Berna, 13.6.2016
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