Nel precedente articolo su «Italia-Svizzera: integrazione e cittadinanza» (prima parte) del 15.5.20139 sostenevo che l’integrazione è la «principale condizione per la naturalizzazione», ossia per l’acquisizione della cittadinanza anche degli stranieri di seconda generazione. Per questo auspicavo per l’Italia un’efficace politica migratoria incentrata sull'integrazione. Mi suggeriscono queste considerazioni l’attuale dibattito sullo «jus soli», ma soprattutto la storia migratoria svizzera.
Per una politica d'integrazione efficace
La Svizzera è stata un Paese
d’emigrazione ben prima dell’Italia. Fino al 1888 il suo saldo migratorio era
negativo, ma anche nei decenni successivi si è continuato ad emigrare. Dalla
fine dell’Ottocento, tuttavia, la Svizzera è divenuta un Paese d’immigrazione e
ha dovuto confrontarsi col problema di un’alta percentuale di stranieri (attualmente
23,3%) sul suo territorio. Per cercare di risolverlo, da alcuni decenni ha
adottato con successo una politica d’integrazione che sta dando i suoi frutti
già nella seconda generazione di stranieri ma soprattutto in quelle successive.
L’Italia è stata molto più a
lungo, per oltre un secolo, un Paese d’emigrazione di massa e solo da pochi
decenni conosce il fenomeno inverso dell’immigrazione. Pur avendo (ancora) una bassa
percentuale di stranieri, non c’è dubbio che anche in Italia gli immigrati
(compresi i clandestini) costituiscono un serio problema che va ben gestito,
con una efficace politica migratoria incentrata sull'integrazione. Quella tradizionale
basata specialmente su misure di ordine pubblico e sul controllo delle
frontiere dovrebbe essere quantomeno integrata e sostanziata con misure
finalizzate all’integrazione degli stranieri presenti sul territorio.
Politica migratoria
italiana
La politica migratoria
italiana si basa essenzialmente sul «Testo
unico sull’immigrazione» del 1998 e successive modifiche e integrazioni. In
esso sono contenute le principali disposizioni «sull'ingresso, il soggiorno e
l'allontanamento dal territorio dello Stato», sul riconoscimento dei «diritti e
doveri dello straniero» e sulle finalità della politica d’integrazione
degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.
Nella parte riguardante l’immigrazione si tratta per
lo più di disposizioni amministrative e penali introdotte
specialmente dalla famosa legge Bossi-Fini del 1999 e dal decreto legge sulla
sicurezza del 2008. Esse regolano in particolare il controllo delle frontiere, l’ingresso
nel territorio nazionale («consentito allo straniero in possesso di
passaporto valido o documento equipollente e del visto d'ingresso…»), la
gestione delle «quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello
Stato», il contrasto delle «immigrazioni
clandestine», l’espulsione («per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza
nazionale», ma anche per ragioni amministrative), ecc.
Politica d’integrazione
Nella parte riferibile a una vera e propria politica
d’integrazione, il Testo unico contiene alcune affermazioni di principio, che se
attuate risulterebbero anche molto efficaci. Si parla ad esempio di un «accordo
di integrazione» che lo straniero deve sottoscrivere al momento della presentazione
della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per il conseguimento di «specifici
obiettivi di integrazione» nel periodo di validità del permesso di soggiorno.
Nonostante venga precisato che in questo contesto «si
intende con integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza
dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti
dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita
economica, sociale e culturale della società», non è dato capire quali siano o
possano essere concretamente gli «obiettivi specifici» dell’accordo e quali
siano in definitiva gli obiettivi finali dell’integrazione.
Ci sono tuttavia nel Testo unico altre espressioni che contribuiscono
a dare un’idea più precisa di questi obiettivi. Ad esempio là dove si parla di «interventi pubblici volti a favorire le relazioni
familiari, l'inserimento sociale e l'integrazione culturale degli stranieri
residenti in Italia, nel rispetto delle diversità e delle identità culturali
delle persone, purché non confliggenti con l'ordinamento giuridico» (art. 3,
comma 3).
Ancor più esplicito è l’articolo
42, in
cui si precisano alcune «misure di integrazione sociale» quali: «la diffusione di
ogni informazione utile al positivo inserimento degli stranieri nella società
italiana in particolare riguardante i loro diritti e i loro doveri, le diverse
opportunità di integrazione e crescita personale e comunitaria offerte dalle
amministrazioni pubbliche e dall'associazionismo…» e ancora: «l'organizzazione
di corsi di formazione, ispirati a criteri di convivenza in una società multiculturale e di prevenzione di comportamenti discriminatori,
xenofobi o razzisti, destinati agli operatori degli organi e uffici pubblici e
degli enti privati che hanno rapporti abituali con stranieri o che esercitano
competenze rilevanti in materia di immigrazione».
Come si vede, il Testo unico
sull’immigrazione può essere considerato una buona base di partenza per
realizzare sul terreno gli obiettivi dell’integrazione. Si tratta di mettere in
pratica tutte le misure indicate, coinvolgendo non solo gli enti pubblici (oggi
in particolare il Ministero dell’integrazione), ma anche le associazioni
professionali, istituzioni ecclesiastiche, associazioni ed enti privati attivi
nell'assistenza e nell'integrazione degli immigrati.
Politica migratoria
svizzera
Come detto, la Svizzera ha
una lunga storia, fra l’altro interessantissima, di emigrazione e immigrazione.
Per molti decenni ha sofferto per la partenza di molti suoi figli come
mercenari e come lavoratori emigranti, fra l’altro anche in Italia, poi verso
la fine dell’Ottocento è divenuta un Paese di immigrazione. Per lungo tempo la
sua politica migratoria è consistita quasi esclusivamente nel controllo delle
frontiere e nella gestione dei flussi immigratori attraverso accordi
internazionali e leggi specifiche sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri.
Solo dagli anni Settanta del secolo scorso ha intrapreso la strada di una
sempre più mirata politica d’integrazione.
I due testi fondamentali della nuova politica migratoria
svizzera sono la legge federale del 2005 sugli
stranieri e l’ordinanza del 2007 sull’integrazione degli stranieri.
Alcuni articoli in particolare meritano di essere espressamente menzionati.
Anzitutto l’articolo 4 della legge, intitolato «Integrazione»:
«1. L’integrazione mira alla convivenza della popolazione
residente indigena e di quella straniera, sulla base dei valori sanciti dalla
Costituzione federale, nonché sulla base del rispetto reciproco e della
tolleranza.
2. L’integrazione è volta a garantire agli stranieri che risiedono legalmente e a lungo termine in Svizzera la possibilità di partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società.
3. L’integrazione presuppone la volontà degli stranieri di integrarsi nella società e un atteggiamento di apertura da parte della popolazione svizzera.
4. Occorre che gli stranieri si familiarizzino con la realtà sociale e le condizioni di vita in Svizzera, segnatamente imparando una lingua nazionale».
2. L’integrazione è volta a garantire agli stranieri che risiedono legalmente e a lungo termine in Svizzera la possibilità di partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società.
3. L’integrazione presuppone la volontà degli stranieri di integrarsi nella società e un atteggiamento di apertura da parte della popolazione svizzera.
4. Occorre che gli stranieri si familiarizzino con la realtà sociale e le condizioni di vita in Svizzera, segnatamente imparando una lingua nazionale».
L’ordinanza è ancora più
esplicita e all’articolo 2 precisa:
1. L’obiettivo dell’integrazione è di garantire agli stranieri pari opportunità di partecipazione alla società svizzera.
2. L’integrazione è un compito trasversale svolto dalle autorità federali, cantonali e comunali assieme alle organizzazioni non governative, comprese le parti sociali e le associazioni degli stranieri.
3. L’integrazione avviene in primo luogo mediante le strutture ordinarie quali segnatamente la scuola, la formazione professionale, il mondo del lavoro e le strutture della sicurezza sociale e della sanità pubblica. È tenuto conto delle esigenze speciali di donne, bambini e giovani. Misure specifiche per stranieri sono adottate solo a titolo di sostegno complementare».
1. L’obiettivo dell’integrazione è di garantire agli stranieri pari opportunità di partecipazione alla società svizzera.
2. L’integrazione è un compito trasversale svolto dalle autorità federali, cantonali e comunali assieme alle organizzazioni non governative, comprese le parti sociali e le associazioni degli stranieri.
3. L’integrazione avviene in primo luogo mediante le strutture ordinarie quali segnatamente la scuola, la formazione professionale, il mondo del lavoro e le strutture della sicurezza sociale e della sanità pubblica. È tenuto conto delle esigenze speciali di donne, bambini e giovani. Misure specifiche per stranieri sono adottate solo a titolo di sostegno complementare».
Sistema di indicatori e di verifiche
Come si può osservare, gli
articoli citati definiscono in modo chiaro non solo gli obiettivi
dell’integrazione, ma anche gli strumenti e le modalità di realizzazione. Ma
quali sono i risultati? La chiarezza delle leggi e l’indicazione degli
strumenti di applicazione non bastano infatti a definire una buona politica. Per
questo è indispensabile una verifica ed è interessante osservare che, proprio
in riferimento all’efficacia della politica migratoria svizzera, l’Ufficio
federale di statistica ha elaborato e attuato un sistema di «indicatori
dell’integrazione».
In un prossimo articolo
presenterò alcuni risultati interessanti sicuramente per una valutazione della
politica d’integrazione svizzera e forse per un confronto con la situazione
italiana, anche se le popolazioni straniere nei due Paesi sono assai diverse.
Giovanni Longu
Berna, 22.05.2013
Berna, 22.05.2013
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