L'integrazione è misurabile?
Nel precedente articolo «Per una politica d’integrazione efficace» del 22.5.2013 ho accennato a un sistema di «indicatori dell'integrazione della popolazione con passato migratorio», elaborato dall’Ufficio federale di statistica (UST). Mi pare opportuno tornare sull'argomento nel tentativo di aggiungere qualche elemento di concretezza in più all'attuale discussione (in Italia particolarmente viva ma anche fortemente ideologica) sulla cittadinanza e sull'integrazione dei giovani stranieri.
Da
quanto si apprende dai media, ad esempio, per i fautori della cittadinanza automatica
«jus soli» sembra data per scontata l’integrazione dei figli di stranieri nati
in Italia. Ma questa presunzione è suffragata da costatazioni documentate? E’stato
fatto uno studio approfondito sul grado d’integrazione degli stranieri regolarmente
soggiornanti in Italia e dei loro figli?
L'esempio della Svizzera
Poiché i problemi sia della cittadinanza e sia
dell’integrazione degli stranieri sono stati discussi e vissuti in Svizzera prima
che in Italia, può essere quantomeno interessante accennare al sistema di verifica
e di misurazione dell’integrazione applicato in Svizzera seguendo una serie di indicatori
specifici. Evidentemente l’integrazione è considerata misurabile.
Prima di parlare di tali indicatori, è bene precisare che in
Svizzera, da oltre un secolo Paese d’immigrazione, oggi si parla praticamente
solo di «integrazione» e non più, come avveniva fino pochi decenni fa, di «assimilazione»
degli stranieri residenti stabilmente. Non si tratta solo di un cambiamento
terminologico, ma di un vero e proprio cambiamento di mentalità, sancito ormai
dalla Legge federale del 2005 sugli stranieri (LStr) e dall’Ordinanza del 2007 sull’integrazione
degli stranieri (OintS).
Obiettivi e strumenti d’integrazione
L’integrazione non è più concepita come un processo
unidirezionale dello straniero che deve assorbire i valori e persino i
comportamenti tipici della società ospite, giungendo nei casi estremi ma non
rari fino alla perdita totale della propria cultura d’origine e all’assunzione
della cultura del gruppo d’inserimento. Oggi l’integrazione è vista come un processo
dinamico bidirezionale che, se esige dagli stranieri la volontà di integrarsi nella società, presuppone da parte
della popolazione svizzera un atteggiamento di apertura nei confronti degli
stranieri. Se è vero che gli stranieri devono familiarizzarsi con la
realtà sociale e con le condizioni di vita in
Svizzera e a questo fine devono imparare una lingua nazionale, entrambe le
parti hanno il dovere «del rispetto reciproco e della tolleranza» (cfr.
LStr. articolo 4).
Anche gli obiettivi
dell’integrazione sono diversi rispetto alla vecchia concezione. A beneficiare
del processo integrativo non è più solo la società ospite, ma sono anche gli
stessi stranieri, che raggiungono così il pieno riconoscimento della loro «possibilità
di partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società», ossia
la garanzia delle «pari opportunità di partecipazione alla società svizzera»
(cfr. LStr. articolo 4, capoverso 2 e OintS
articolo 2, capoverso 1).
Compito dello Stato
Ma qual è il compito dello
Stato e in genere delle istituzioni in materia d’integrazione? L’ordinanza
sopraccitata è precisa. «L’integrazione è un compito trasversale svolto
dalle autorità federali, cantonali e comunali assieme alle organizzazioni non
governative, comprese le parti sociali e le associazioni degli stranieri».
(OintS, art. 2, capoverso 2). Tale compito viene svolto soprattutto favorendo l’integrazione
degli stranieri «in primo luogo mediante le strutture ordinarie quali
segnatamente la scuola, la formazione professionale, il mondo del lavoro e le
strutture della sicurezza sociale e della sanità pubblica», tenendo conto delle
«esigenze speciali di donne, bambini e giovani» e adottando eventualmente, ma
«solo a titolo di sostegno complementare», «misure specifiche per stranieri»
(OintS, art. 2, capoverso 3).
Qualcuno potrebbe obiettare che fin qui si tratta solo di
principi, di indicazioni più o meno vincolanti, forse di buone intenzioni. Ma
il sistema d’integrazione svizzero funziona per davvero? La risposta a questa
domanda fondamentale non può essere un semplice sì o no, ma dev'essere
necessariamente articolata, sul presupposto che gli obiettivi dell’integrazione
siano verificabili. Ebbene, grazie al sistema di 67 «indicatori dell'integrazione della popolazione con passato
migratorio», elaborato dall'UST su mandato del Consiglio federale è
possibile rispondere al quesito in modo puntuale e mirato.
Indicatori dell’integrazione
Gli indicatori sono stati infatti elaborati tenendo conto di
molteplici variabili iniziali (nazionalità, luogo di nascita, età, formazione, ecc.),
degli obiettivi che la politica federale si propone di raggiungere mediante il processo
integrativo e della condizione reale della popolazione con un passato
migratorio (ossia immigrati di prima generazione, sia stranieri che svizzeri, e
loro discendenti diretti o seconda generazione). Questi indicatori concernono i
vari ambiti dell'integrazione: l'aiuto sociale e la povertà, la criminalità, la
sicurezza, il razzismo e la discriminazione, la cultura, la religione e i
media, l'educazione e la formazione, la famiglia e la demografia, la lingua,
l'abitazione, il mercato del lavoro, la politica, la salute e lo sport.
Si tratta, ben’inteso di elementi che non rivestono tutti la
stessa importanza, ma sono sicuramente utili per descrivere la situazione e
stabilire il grado d’integrazione di singole categorie di persone, specialmente
i giovani di seconda generazione, anche se le generalizzazioni sono sempre
problematiche. Si pensi, ad esempio, alle conoscenze linguistiche. Esse
rappresentano un fattore essenziale per una buona riuscita del processo
d'integrazione nella società, nella formazione, nel mercato del lavoro, nella
carriera professionale, ecc. Un altro indicatore, la partecipazione al mercato
del lavoro, rappresenta anch’esso «una condizione essenziale – secondo l’UST - per
l'integrazione nella società poiché permette di soddisfare autonomamente i
bisogni primari e di partecipare ad altri ambiti della vita».
Concretezza e affidabilità
In concreto, per determinare il «grado d’integrazione» si
mettono a confronto le differenze (e le similitudini) tra le situazioni dei
vari sottogruppi che compongono la società, in particolare tra la popolazione
senza passato migratorio (ossia svizzeri e stranieri di terza generazione) e i
due sottogruppi costituiti dalle persone con passato migratorio di prima generazione
e da quelle di seconda generazione.
Data la concretezza e l’affidabilità dei risultati ottenuti con
metodo statistico dall'UST, questi indicatori costituiscono una base solida non
solo per rispondere a domande generali sull'integrazione degli stranieri, ma
anche per la definizione delle politiche d’integrazione da parte delle autorità
competenti, per lavori di ricerca scientifica e per azioni mirate nel campo
dell'integrazione.
Giusto per fare
qualche esempio e senza entrare nei dettagli, desidero accennare ad alcuni
risultati raggiunti dall'UST osservando la popolazione «con passato
migratorio».
Alcuni esempi
Nel campo della formazione di grado universitario, in
base ai dati più recenti risulta che gli stranieri della seconda generazione occupano
una posizione nettamente inferiore (16,9%) sia rispetto a quella degli svizzeri
nati in Svizzera (26,6%) o all'estero (28,8%) e sia rispetto agli stranieri
nati all'estero (31,3%). Questi ultimi esprimono la tendenza più recente della
politica svizzera d’immigrazione a preferire immigrati altamente qualificati.
Anche rispetto alle lingue parlate le differenze tra
i gruppi di popolazione sono rilevanti. Nel 2010, l 'uso di 2 o 3 lingue
nazionali era da due a tre volte maggiore presso la popolazione con passato
migratorio di seconda generazione (28,7%) rispetto a quello della
popolazione senza passato migratorio (12,0%). Il 70,0% della popolazione con
passato migratorio di prima generazione ricorre invece a una sola
lingua nazionale come lingua principale.
Anche riguardo alle condizioni di vita materiale e alla
povertà sono state osservate differenze significative tra le persone nate in
Svizzera e quelle nate all'estero. Le persone nate all'estero dispongono
generalmente di redditi inferiori alle persone nate in Svizzera. La difficoltà
ad arrivare a fine mese è molto più elevata anche per gli stranieri nati in
Svizzera che per gli svizzeri. Inoltre, per le persone nate all'estero è più
alto il rischio di povertà.
Nel settore della «partecipazione al mercato del lavoro»,
malgrado una partecipazione pressoché analoga per le persone con e senza
passato migratorio, l'UST ha costatato differenze significative per quanto
concerne ad esempio il livello gerarchico: per la popolazione senza passato
migratorio si contava il 35,5% di salariati con funzione dirigenziale, per la
popolazione con passato migratorio il 30,5%.
In conclusione, gli esempi citati lasciano facilmente
intendere che qualsiasi politica finalizzata all'integrazione non può
prescindere dall'osservazione precisa della situazione e dalla messa in campo di
strumenti e risorse adeguate a eliminare le differenze e garantire effettivamente
anche agli stranieri pari opportunità di accesso e di partecipazione nei vari
ambiti della società (fine).
Giovanni Longu
Berna, 29.05.2013
Berna, 29.05.2013
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