24 luglio 2024

25. Il «trio» De Gasperi, Adenauer e Schuman (seconda parte)

I padri dell’«Unione europea» furono molti, ma tre in particolare sono stati sempre ritenuti tali e per questo considerati spesso come un «trio» indissolubile: De Gasperi, Adenauer, Schuman (cfr. articolo precedente). In realtà, poiché erano sei i Paesi firmatari della prima Comunità europea, anche i fondatori dovrebbero essere almeno sei, ai quali ne andrebbero comunque aggiunti altri (per es. il francese Jean Monnet, l’italiano Altiero Spinelli) per il loro apporto straordinario di idee e di stimoli innovativi. Tuttavia, poiché in questi articoli non si tratta della storia dell’Unione europea (UE) ma delle sue «radici cristiane», per stare in tema molti nomi vengono citati solo occasionalmente. Non si può invece fare a meno di soffermarsi ancora sul trio, perché oltre ad essere i rappresentanti degli Stati principali (Italia, Germania, Francia) hanno caratterizzato il processo d’integrazione europea con ideali, valori e metodi.

La «matrice cristiana»

Il Piano Marshall garantì all'Italia: grano, carbone, materie prime per la ricostruzione...
Ad alcuni, oggi, potrebbe suonare strano parlare di «radici cristiane» o «matrice cristiana» dell’UE, ma è inevitabile che se ne parli perché i tre protagonisti erano cattolici praticanti, avevano una visione cristiana della vita e della storia, attingevano i loro valori personali e collettivi dal Vangelo, sognavano probabilmente un’UE diversa da quella di oggi, divenuta troppo dipendente dagli Stati/governi e meno dai Popoli e dagli ideali da perseguire, troppo concentrata sulla difesa e sugli armamenti e meno impegnata a «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli» (Carta ONU), ancora troppo di parte (blocco occidentale) e meno impegnata a «rafforzare la pace universale», come se le decisioni prese a Jalta fossero irremovibili e nella scena mondiale l’Europa dovesse accontentarsi di un ruolo subalterno e non da protagonista.

A scanso di equivoci vorrei precisare che i tre, per le loro convinzioni religiose, non solo non erano indifferenti agli avvenimenti, ma erano talmente immersi nella realtà da pensare di poterla e di doverla trasformare progressivamente. Dagli eventi erano stati temprati sia alla fermezza dei valori (quando di fronte ai regimi totalitari, piuttosto che accettarli, preferirono subire divieti, limitazioni e il carcere) che a un sano realismo delle azioni politiche (quando per risollevare i loro popoli dallo sfacelo della guerra accettarono l’aiuto americano e di fronte alla possibilità di un’aggressione sovietica - come avveniva nei Paesi dell’est europeo - preferirono di farsi difendere dagli USA). Negli eventi drammatici della guerra avevano anche maturato un sano ottimismo: il diritto e la pace finiscono sempre per trionfare!

Tutti e tre erano comunque convinti che l’Europa dovesse riacquistare quanto prima la propria autonomia e superare le divisioni imposte dalle grandi potenze. Adenauer puntava a una piena riconciliazione con la Francia. Schuman sosteneva che non si dovesse continuare a odiare i tedeschi. De Gasperi cercava un buon compromesso con l’Austria. Tutti e tre vedevano nella collaborazione internazionale il superamento dei nazionalismi spinti e una via per realizzare l’integrazione europea. Tutti e tre ritenevano fondamentale che l’Europa si ricostruisse e si sviluppasse non solo su basi democratiche (libertà fondamentali, suffragio universale, uguaglianza dei diritti e dei doveri dei cittadini), ma anche cristiane (spirito di fratellanza, solidarietà, generosità). Per questo sono stati tutti e tre fortemente impegnati in tre partiti di matrice «democristiana», dove la connotazione «cristiana» era ritenuta irrinunciabile.

Piano Marshall e NATO

Fu dettato dal senso della realtà l’adesione dei Paesi occidentali al famoso «Piano Marshall» (dal nome del segretario di Stato George Marshall che lo propose il 5 giugno 1947), voluto dagli Stati Uniti ufficialmente per la «ripresa economica europea» (European Recovery Program) e nella prospettiva di una futura collaborazione tra le due sponde dell'Atlantico, politicamente per impedire l’espansionismo sovietico (in Italia: la partecipazione dei comunisti al governo). In effetti, grazie a questo piano l’Europa occidentale si riprese in pochi anni e avviò una forte espansione economica e la globalizzazione. Al tempo stesso è innegabile che la dipendenza dell’Europa dalla superpotenza statunitense si sia rafforzata e che insieme ai molti benefici siano stati importati anche tanti aspetti negativi (sfruttamento, fordismo, materialismo, comunismo, ecc.).

1949: il presidente USA Truman firma il Trattato Nord Atlantico (NATO).
L'adesione dei Paesi europei fu dettata da realismo e da paura del comunismo.

Anche l’adesione alla NATO (Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord), decisa a Washington il 4 aprile 1949, fu dettata dal realismo di alcuni capi di governo occidentali (in particolare Italia, Francia e Germania). Rispondeva infatti al bisogno di alcuni Paesi opporsi efficacemente all'URSS qualora avesse deciso di aggredirli (come avveniva con i Paesi dell’est europeo).

Che non ci sia stata alcuna esitazione da parte del trio all'adesione alla NATO è verosimile perché allora anche la Santa Sede (Pio XII) era favorevole. L'espansionismo sovietico sembrava inarrestabile e il comunismo faceva paura. Ciò nonostante, come risulterà meglio dal prossimo articolo, è inimmaginabile che soprattutto il trio non pensasse prima o poi ad aprirsi anche al mondo sovietico, proprio sull'esempio della Santa Sede che nonostante l'anticomunismo cercava in ogni modo di tenere aperta la via del dialogo. Dapprima, però, bisognava pensare alla costruzione dell'Europa, la cui prima pietra era stata posta già con la creazione del Consiglio d’Europa lo stesso anno 1949. (Segue)

17 luglio 2024

24. Il «trio»: De Gasperi, Adenauer e Schuman (prima parte)

Dopo la seconda guerra mondiale, il desiderio di non vivere mai più tragedie come quelle vissute era molto diffuso. Numerosi osservatori, intellettuali e uomini politici auspicavano quale rimedio efficace una qualche forma di federalismo, per esempio sul modello svizzero, in grado di garantire l’unione (politica, economica, militare…) e il rispetto delle particolarità di ciascun popolo e di ciascuno Stato, ma senza mai affrontare il tema della sua realizzabilità. Ogni proposta, infatti, si sarebbe scontrata, fra l’altro, con la memoria ancora vivissima degli orrori della guerra, con la distinzione tra chi li aveva causati e chi li aveva subiti, l’indicazione degli scopi, dei costi, dell’organizzazione, senza dimenticare che qualsiasi ipotesi di riduzione della sovranità nazionale avrebbe urtato i forti sentimenti nazionalistici, presenti in tutti gli Stati, per non parlare delle nuove difficoltà dovute alla «guerra fredda» e alla spaccatura dell’Europa contesa dalle due superpotenze USA e URSS. Tre personaggi, il «trio» degli iniziatori dell’Unione europea De Gasperi, Adenauer e Schuman, che non si rassegnavano alla contingenza, optarono per il cambiamento.

Realismo e ottimismo

Quando sembrava inevitabile subire la realtà ritenendo di non poterla modificare, i tre personaggi appena menzionati decisero di cercare comunque una soluzione sostenibile per dare seguito ai forti desideri dei popoli europei di vivere durevolmente in pace e in libertà. Non si trattava di un azzardo o di una sfida titanica alla storia che pareva condannare l’Europa alla precarietà e a una divisione perpetua come punizione della superbia (la hybris degli antichi Greci) di alcuni Stati nazionalisti, ma di una conoscenza approfondita della situazione (vagliando attentamente realtà e possibilità)[1], di ragionamenti sostenibili, di una speranza che trovava il suo fondamento nella considerazione ottimistica delle enormi potenzialità dell’essere umano, ma anche nella profonda spiritualità che animava la vita e l’azione di De Gasperi, Adenauer e Schuman.

Alle espressioni Stati Uniti d’Europa, Federazione, Federalismo, suggerite da Churchill e dai Federalisti (cfr. articolo precedente), vennero preferite parole ritenute verosimilmente più significative e praticabili: «Solidarietà», «Comunità», «Unione». Non conosco le ragioni di queste scelte, ma corrispondono pienamente al pensiero del «trio» e forse anche alla loro sensibilità religiosa, non indifferente al racconto biblico delle prime comunità cristiane in cui «fra loro tutto era comune» (At 4,32).

Politica dei piccoli passi

La corrispondenza al pensiero dei tre fondatori è facilmente documentabile perché nessuno dei tre propose mai esplicitamente l’istituzione di uno Stato federale o degli Stati Uniti d’Europa, ritenendola almeno prematura. La politica da loro seguita fu quella dei piccoli passi, concreti e ispirati alla sostenibilità e alla condivisione, come dimostrano, per esempio, le proposte del 1950 dell’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman (1886-1963).

Anzitutto, affermava, «l'Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L'unione delle nazioni esige l'eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania». Il richiamo alla riconciliazione tra Francia e Germania era pienamente condiviso da Konrad Adenauer (1876-1967), allora cancelliere della Repubblica Federale di Germania e leader dell'Unione Cristiano-Democratica (CDU). Entrambi, infatti, consideravano importante in generale la riconciliazione tra vincitori e vinti, per una pacifica convivenza specialmente tra popoli vicini. Ma anche Alcide De Gasperi (1881-1954) ne era convinto e per questo cercò di risolvere pacificamente nel 1946 col ministro degli esteri austriaco Karl Gruber (1909-1995) i problemi riguardanti la minoranza tedesca nell'Alto Adige.

Firma a Parigi del Trattato CECA il 18 aprile 1951.
Affrontare i problemi e cercare di risolverli in maniera efficace diventerà nelle istituzioni europee una pratica costante dopo l’avvio promettente dell’istituzione della prima Comunità europea. Nello stesso intervento citato del ministro Schuman si riferiva che «il governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei».

Grazie alla grande intesa tra Schuman e Adenauer e al sostegno di De Gasperi e altri, l’anno seguente (1951) fu istituita con il trattato di Parigi la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) a cui aderirono sei Stati: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi. Era la prima Comunità europea, un esempio da seguire, reso possibile dall'intraprendenza, dal coraggio, ma anche dallo spirito profondamente cristiano di tre protagonisti di cui si parlerà anche nel prossimo articolo.

Con questa Comunità, importante per il contenuto e per il metodo, s'intendeva stabilire non solo la gestione in comune di due settori strategici, sottraendoli  dalle mani di un solo Stato e stabilendo una amministrazione comune, ma anche per il metodo da seguire in futuro. Infatti essa era già caratterizzata da una forte impronta sovranazionale. (Segue)

Giovanni Longu
Berna 17.07.2024



[1]     In questa osservazione attenta della realtà rientrava anche l’anticomunismo di tutti e tre, la presa d’atto dell’impossibilità di un accordo con l’Unione Sovietica, l’adesione alla NATO (istituita nel 1949) e la scelta di appartenere al blocco occidentale, nella speranza, tuttavia, che prima o poi si superasse la logica dei blocchi. Un tentativo in questo senso fu la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, svoltasi a Helsinki nel luglio-agosto 1975. Essa tuttavia non eliminò l’esistenza dei due blocchi contrapposti.

10 luglio 2024

23. Grandi «utopisti» degli Stati Uniti d'Europa

Sul finire della seconda guerra mondiale cominciò a farsi strada, soprattutto in alcuni ambienti politici e intellettuali, l’idea che occorresse trovare una soluzione efficace per evitare altre guerre e garantire stabilmente la pace in Europa. La preoccupazione era grande (perché già apparivano all'orizzonte chiari segnali che il fronte dei vincitori si sarebbe presto spaccato), le idee ancora poco chiare. Nel dibattito che ne seguì si scontarono soprattutto due posizioni, quella ideale ma generica, utopistica, che auspicava gli Stati Uniti d’Europa e quella più sostenibile che mirava a un’integrazione graduale dei Popoli europei, cominciando dalle nazioni europee del blocco occidentale. In questo articolo si tratterà della prima, nel prossimo della seconda.

Nascita dell’utopia degli Stati Uniti d’Europa

Strepitosa accoglienza di Churchill a Zurigo il 19 settembre 1946
Lo sfacelo dell’Europa provocato dalla seconda guerra mondiale suscitava in molti politici e intellettuali la sensazione che, se non si fossero eliminate alla radice le cause delle ultime due guerre mondiali, il dopoguerra sarebbe servito nuovamente alla preparazione di una nuova guerra, che sarebbe stata però certamente più deleteria, per la disponibilità delle armi nucleari. Le opinioni su come eliminare le cause principali (riconducibili fondamentalmente a forme esasperate di nazionalismo) e con esse la guerra in Europa erano tuttavia alquanto divergenti, riducibili nell'essenziale a due, definibili rispettivamente «utopistica» e «realistica».

Tra gli «utopisti» vengono annoverati solitamente Winston Churchill e i Federalisti, ma anche Pio XII, sebbene quest’ultimo abbia tenuto a battesimo, per così dire, il gruppo dei «realisti» che avvieranno concretamente il processo d’integrazione europea (e di cui si tratterà nel prossimo articolo).

Winston Churchill

In un celebre discorso tenuto a Zurigo il 19 settembre 1946, Winston Churchill (1874-1965) sostenne che per evitare una nuova guerra gli Stati europei dovevano ricreare la «famiglia dei popoli europei» unendosi in una sorta di Stati Uniti d’Europa. Il suo ragionamento era semplice: poiché l’Europa non può sopravvivere covando per anni odi e spirito di vendetta, per salvarsi ha bisogno non solo che Francia e Germania si riconcilino, ma anche di «una forma di Stati Uniti d’Europa», che renderebbero meno importante la forza dei singoli Stati. Tale soluzione, egli sosteneva, se fosse adottata liberamente dalla maggioranza dei popoli europei, «trasformerebbe come per miracolo l'intera scena e in pochi anni renderebbe tutta l'Europa, o la gran parte di essa, libera e felice com'è oggi la Svizzera».

Churchill aveva esordito dicendo: «Vorrei parlare del dramma dell'Europa, questo nobile continente, patria di tutte le grandi stirpi dell’Occidente, fonte della fede e dell'etica cristiana, culla di gran parte delle culture, delle arti, della filosofia e della scienza, dei tempi antichi e moderni». Egli vedeva il superamento del dramma negli «Stati Uniti d’Europa».

La proposta di Churchill, molto suggestiva, non fu esente da critiche perché sembrava non tener conto della realtà e soprattutto degli effetti deleteri della guerra fredda e dell’egemonia dei blocchi, che egli stesso a Jalta (11 febbraio 1945) aveva contribuito a creare. Inoltre, nell'espressione «Stati Uniti d’Europa», non era ben chiaro, se s’intendesse più un accordo tra Stati o l’integrazione dei popoli europei. Ancora, quando parlava di Europa, si riferiva evidentemente solo all'Europa occidentale, dimenticando (?!) il resto, compresa la Germania che in quel momento era divisa e sotto occupazione, anche britannica. Pertanto, la proposta di Churchill, pur suggestiva, non ebbe seguito e fu ascritta all'utopia di un grande personaggio.

Denis de Rougemont

Alla categoria degli utopisti merita di essere associato anche il grande pensatore e scrittore svizzero, che pure aveva al suo attivo l’esperienza di vivere in un Paese che era riuscito a superare diversità e contrasti grazie al federalismo, Denis de Rougemont (1906-1985). Anch'egli infatti propugnava per l’Europa una sorta di federalismo, da realizzare applicando un «metodo educativo e culturale» a lungo termine, che puntasse a salvaguardare la diversità dei popoli europei, «il nostro male e il nostro bene» e comunque la base su cui costruire «la nostra unione, se vogliamo che essa si meriti il nome di Europa».

Per Rougemont, un elemento centrale del federalismo era rappresentato da un nuovo umanesimo cristiano, che ha il suo modello di riferimento fondamentale nella figura del Cristo, riuscendo a integrare l'eredità greca e romana in una nuova nozione dell uomo, in cui convivono solitudine e solidarietà, libertà personale e responsabilità, l’amore per sé e l’amore per il prossimo. 

La persona è per Rougemont «il tesoro dell'Europa», ma è fedele a sé stesso, solo «quando accetta il dialogo, assume il dramma e li supera in creazioni». Questo «personalismo», secondo il pensatore svizzero, non solo sostanzia il federalismo quale metodo di unione nella diversità e di convivenza delle differenze, ma rappresenta anche l'unico rimedio possibile ai nazionalismi che rischiamo di portare l’Europa alla rovina.

Rougemont era anche consapevole del contributo che avrebbero potuto fornire le Chiese praticando un sincero dialogo interconfessionale, pur nel riconoscimento delle loro diversità. La sua visione politica complessiva fondata sul personalismo, il federalismo e l'ecumenismo non fu tuttavia seguita perché la sua implementazione avrebbe richiesto tempi lunghi, non garantiva il superamento di molti pregiudizi e soprattutto non teneva conto del radicamento in numerosi Stati del nazionalismo.

Pio XII

Può essere considerata quella meno utopistica la posizione assunta da Pio XII quando dalla fine della guerra augurava all'Europa l’unità e l’autonomia e sosteneva i movimenti federalistici (in cui apprezzava particolarmente il richiamo alla «comune eredità di civiltà cristiana»), sebbene si rendesse conto che «il ristabilimento di una Unione europea presenti serie difficoltà» (Radiomessaggio dell'11 novembre 1946  in occasione del II congresso internazionale per dar vita all'Unione federale europea), ma anch'egli verosimilmente non si rendeva conto degli impedimenti insormontabili costituiti dai due blocchi e dalla guerra fredda.

E' possibile, tuttavia, che ne fosse ben consapevole quando, nel radiomessaggio citato, invitava «le grandi nazioni del continente, dalla lunga storia piena di ricordi di gloria e di potenza», ma in grado di «causare l’insuccesso della formazione di una Unione europea», «a misurare se stesse alla scala del loro passato piuttosto che a quella delle realtà del presente e delle previsioni dell’avvenire. È giusto esigere da esse che sappiano fare astrazione dalla loro grandezza di altri tempi, per allinearsi su una unità politica ed economica superiore». 

In un altro radiomessaggio natalizio (24.12.1953) ai popoli di tutto il mondo, la preoccupazione di Pio XII è ancor più esplicita, perché «al Nostro sguardo, costantemente ansioso di scoprire all'orizzonte segni di stabile schiarita (...), si offre invece la grigia visione di un’Europa tuttora inquieta [...]». Le apprensioni di Pio XII riguardo all'Europa, aggiungeva, erano motivate «dalle incessanti delusioni in cui vanno a naufragare, ormai da anni, i sinceri desideri di pace e di distensione accarezzati da questi popoli, anche per colpa della impostazione materialistica del problema della pace...».  

Per questo, Pio XII richiamò l’esigenza e l’urgenza di produrre in Europa «quella unione continentale tra i suoi popoli, differenti bensì, ma geograficamente e storicamente l’uno all'altro legati». Il suo appello, come si vedrà prossimamente, fu accolto e seguito soprattutto dal trio democristiano De Gasperi, Adenauer e Schuman.

Giovanni Longu
Berna 10.7.2024

26 giugno 2024

22. «Profeti» dell’unità europea

L’Europa è un cantiere aperto di idee, di decisioni e di azioni. In questa serie di articoli, iniziata il 3 gennaio 2024, s’intende ripercorrere molto sommariamente le tappe principali di questo progetto straordinario, complesso, difficile da realizzare e incerto nell’esito finale. Il filo conduttore è costituito dalla ricerca delle sue radici cristiane. La scelta è dovuta non a motivi ideologici, ma alla storia. Infatti, l’Europa è in costruzione da quando il Cristianesimo si è radicato nel continente e le grandi istituzioni ecclesiali occidentali e orientali hanno cercato di darle un contenuto, una forma, un’anima, un’unità e un futuro. Lo scopo è semplice e ambizioso allo stesso tempo: contribuire alla riscoperta di quelle radici nella convinzione che siano ancora in grado di indicare agli europei la giusta direzione verso l’unità e la prosperità.

«Profeti» antichi…

L'Europa «medievale» verso il 1450
Nell'articolo precedente sono stati citati i tre fondatori dell’Unione europea: De Gasperi, Adenauer e Schuman. Dopo la seconda guerra mondiale, non erano gli unici ad avere idee chiare sul futuro dell’Europa, ma sono stati i primi a presentare un progetto sostenibile di unità europea e ad avviarne la realizzazione. Per questo meritano senz'altro di passare alla storia come «Padri fondatori» e di essere meglio conosciuti (come si cercherà di fare in un prossimo articolo). Non furono tuttavia i primi a ragionare sull'Europa, perché già molto tempo prima ci sono stati visionari o, come vengono talvolta chiamati, «profeti», che prefigurarono una qualche forma di unità del continente. A titolo esemplificato ne vengono ricordati di seguito alcuni, che avevano fra l’altro quasi tutti anche un riferimento diretto o indiretto al Cristianesimo.

In questo tipo di ricerca alcuni studiosi sono andati molto indietro nel tempo e hanno trovato persino nel grande poeta romano PublioVirgilio Marone (70-19 a.C.) un «profeta» non solo dell’Europa, ma anche di Cristo. Per questo, forse, Dante lo ha scelto per fargli da guida nel viaggio allegorico attraverso l’Inferno e il Purgatorio della Divina Commedia.

E’ però nel Medioevo che l’idea di Europa si fa strada, specialmente in campo letterario e religioso. Dante, Petrarca e Boccaccio, per esempio, sono considerati a giusta ragione «europei» perché hanno influito notevolmente sulla letteratura e la cultura europea dell’epoca. Ma furono soprattutto le Chiese cristiane (cattolica, protestante e ortodossa), attraverso il monachesimo (cfr. l’articolo: 3. Il monachesimo medievale e la nascita dell’Europa del 24 gennaio 2024)  e una serie di grandi santi (cfr. 6. Islam, crociate e la nascita della coscienza «europea» del 14 febbraio 2024), a realizzare la prima forma di unità dell’Europa, tanto che per diversi secoli essa è stata identificata come «il continente dove si trovano i Cristiani».

… e moderni

A Erasmo da Rotterdam, uno dei grandi «profeti» della
unità dell'Europa, è intitolato un programma di scambi
culturali tra studenti europei, il 
Programma Erasmus.
L’identificazione dell’Europa con la «Cristianità» si rafforzò durante l’Umanesimo e il Rinascimento, grazie anche alle riflessioni dell’umanista italiano Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), divenuto poi papa Pio II (cfr. l’articolo 8. Europa, un’«idea» problematica del 6 marzo 2024). Con le scoperte geografiche, l’idea di Europa cominciò a diffondersi nel mondo al seguito dei grandi navigatori Enrico il Navigatore (1394-1460), Cristoforo Colombo (1451-1506), Amerigo Vespucci (1454-1512), Vasco da Gama (1469-1524), ecc.

Fu tuttavia nel Vecchio Continente che l’idea di Europa si diffuse rapidamente:
(a) negli ambienti universitari (dove gli scambi erano già allora molto frequenti) grazie a intellettuali come il grande umanista olandese Erasmo da Rotterdam (1469-1536), l’umanista spagnolo Juan Luis Vives (1492-1540) e naturalmente molti altri;
(b) negli ambienti politici, sull'esempio di Tommaso Moro (1478-1535), del filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), fra l’altro frequentatore della corte dello zar Pietro il Grande a San Pietroburgo e propugnatore dell’unità delle Chiese, ecc.;
(c) negli ambienti prettamente religiosi, per esempio con il riformatore svizzero Giovanni Calvino (1509-1564), il teologo protestante ungherese Jan Amos Komensky, detto Comenius (1592-1670), il quacchero anglo-americano Thomas Paine (1737-1809), sostenitore del federalismo e della cittadinanza universale, ecc.;

(d) negli ambienti politico-sociali, per esempio con il filosofo francese Henri de Saint-Simon (1760-1825), sostenitore di un’Europa unita in grado di soddisfare l’interesse generale prima degli interessi nazionali e basata su un Nuovo cristianesimo, il politico cecoslovacco Tomáš Garrigue Masaryk (1850-1937), sostenitore di una «Nuova Europa» che tenesse presente il punto di vista slavo e fondata su una solida moralità, perché «senza religione tutto affonda».

La lista dei precursori o «profeti» dell’Europa unita potrebbe essere ben più lunga, ma non indicherebbe ancora il passaggio dalle idee alla fase realizzativa. Questa sarà illustrata nel prossimo articolo.

Giovanni Longu
Berna, 26.6.2024

19 giugno 2024

21. L’Europa verso l’unità col sostegno di Pio XII

Pio XII favorì la ricerca dell’unità europea perché vedeva in essa l’espressione della volontà di Dio di «condurre all'unione degli spiriti e dei cuori in una stessa fede e in uno stesso amore» tutti i popoli europei. Nel 1947 volle dare all'Europa un patrono, San Benedetto da Norcia, per ricordare al Vecchio Continente la sua vocazione cristiana, lasciando intendere che i confini dell’Europa erano almeno quelli del monachesimo, che andavano ben oltre i confini segnati dai blocchi della «guerra fredda». Dotato di grande senso pratico, Pio XII riteneva che all'unità dell’Europa si sarebbe arrivati solo a tappe, perché così era stato tentato in passato con Carlo Magno, col Sacro Romano Impero, col monachesimo e con le crociate. Pio XII ha anche sperato invano di vedere il superamento dei blocchi, la riconciliazione delle Chiese d’Occidente e d’Oriente e l’unione dell’Europa. Gli è riuscito di vedere solo l’avvio di quest’ultima e dev'essere stata comunque per lui un grande consolazione.

Le condizioni di una pace durevole

Con la fine della seconda guerra mondiale (5 maggio 1945), l’aspirazione di tutti, vincitori e vinti, soprattutto in Europa, era quella di una pace vera, giusta e durevole. Era pienamente condivisa anche dalla Santa Sede, ma doveva fondarsi «sul timore filiale di Dio, sulla fedeltà ai suoi santi comandamenti, sul rispetto della dignità umana, sul principio sacro della uguaglianza dei diritti per tutti i popoli e tutti gli Stati, grandi e piccoli, deboli e forti». E poiché «la guerra ha suscitato dappertutto discordia, diffidenza e odio, […] se il mondo vuol ricuperare la pace occorre che spariscano la menzogna e il rancore e in luogo loro dominino sovrane la verità e la carità». Pio XII si è speso moltissimo per la pace.

Sosteneva anche l’idea di intellettuali, personalità politiche e attenti osservatori, molti dei quali appartenenti al mondo cattolico, che per evitare in futuro disastri come quelli vissuti auspicavano per l’Europa non solo una riconciliazione dei popoli che si erano combattuti, ma anche un processo d’integrazione per «associare gradualmente […] vincitori e vinti in un’opera di ricostruzione» e per assicurare una pace durevole.

Pio XII credeva sinceramente all'idea di un’Europa unita, da raggiungere con gradualità, com'era stato tentato nel passato con Carlo Magno e il Sacro Romano Impero, unendo «la romanità e il Vangelo», e mettendo insieme «i popoli d’Europa sotto il vessillo e l’autorità di Cristo». Tale processo non sarebbe stato possibile né accelerarlo né frenarlo, ma bisognava agevolarlo. Pio XII ha cercato di farlo in tutti i modi possibili e non fu sempre facile. «Forse non vi è campo della vita pubblica i cui si sia tanto impegnato come quello dell’Europa unita» (Le Monde, 10 ottobre 1958).

Dovette, infatti, accettare suo malgrado gli impedimenti provenienti dai Paesi dell’est europeo, dominato dal comunismo vessatorio e senza Dio, ma dovette anche non cedere all'anticomunismo ossessivo e miope statunitense, per tenere aperta la porta del dialogo col mondo comunista qualora la diplomazia vaticana, quella ufficiale e quella informale, gli avesse indicato qualche possibilità.

Pio XII e l’unità dell’Europa

Ci credeva ed era convinto che fosse realizzabile, anche se le condizioni che suggeriva potevano apparire a molti irrealizzabili. Laicismo e secolarizzazione erano infatti in crescita. Nondimeno Pio XII era fiducioso e nel 1946 indicò nella Svizzera un modello di organizzazione politica per l’Europa, non solo perché «in piccolo è ciò che molti desiderano che l'Europa sia in grande», ma anche perché gli sembrava un esempio di come l’unità, «difficile da creare artificialmente», può essere raggiunta se lasciata libera di crescere organicamente, come la vita nascente, animata da una fede incrollabile in Dio e ancorata alla storia e alla cultura.

(Da sinistra) Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, e Robert Schuman:
tre statisti che fecero compiere all'Europa i primi passi verso l'unità.
A lungo termine il processo d’integrazione europea avrebbe potuto coinvolgere anche i Paesi dell’est. L’ottimismo di Pio XII non si spense con la sua morte (1958), perché la preparazione della sua Ostpolitik (politica verso l’Oriente) risulterà preziosa per i suoi successori.

Pio XII riuscì comunque a vedere l’avvio promettente di quel processo (1951: fondazione della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, 1957: Trattato di Roma che istituiva la Comunità economia europea (CEE) e la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom), anche se limitate inizialmente ad alcuni Paesi dell’Europa occidentale. 

E dev'essere stato per lui una grande soddisfazione osservare che a sostenere quel processo fossero soprattutto la Francia, la Germania e l’Italia, ossia le tre nazioni che avevano costituito la struttura portante dell’Impero di Carlo Magno e poi del Sacro Romano Impero, che avevano contribuito non poco all'evangelizzazione del resto del Vecchio Continente, «dal Mar Baltico al Mediterraneo», dall'Oceano Atlantico alle pianure della Polonia» attraverso «legioni di benedettini» e che, di recente, avevano superato la divisione tra vincitori e vinti. 

A ciò si aggiungeva la circostanza straordinaria che in quel momento alla guida delle tre più grandi nazioni c’erano tre ferventi cattolici: Robert Schumann, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi. Di essi si continuerà a parlare nel prossimo articolo.

Giovanni Longu
Berna 19.06.2024


11 giugno 2024

20. Pio XII e l’Europa (terza parte)

Succedendo a Pio XI (2 marzo 1939), Pio XII sentì che la tempesta della guerra stava per abbattersi sull'Europa e cercò invano di impedirla. Ne intuiva infatti la pericolosità non solo per la decisa volontà di Hitler di conquistare per i tedeschi dell’Europa centrale e orientale uno «spazio vitale» (Lebensraum), ma anche a causa della debolezza morale (da quando si cominciò a negare e a rifiutare una «regola di moralità universale, sia della vita individuale sia della vita sociale e delle relazioni internazionali») e politica dell’Europa (vittima dei tre mali micidiali: nazionalismo, nazismo e comunismo). Se dai predecessori Benedetto XV e Pio XI aveva ereditato una buona dose di pessimismo, per carattere e per convinzione non si arrese mai alla cattiva sorte, si spese fino all'ultimo per la pace, per alleviare i danni della guerra e scongiurare i pericoli di una nuova guerra (anche se non combattuta con le armi) e non perse mai la speranza in un mondo migliore.

Pio XII, «Padre comune»

Purtroppo, Pio XII non riuscì ad impedire né la seconda
guerra mondiale né la successiva «guerra fredda». 
Ottimo conoscitore dell’Europa e delle complesse vertenze internazionali (specialmente tra Germania e Francia, Germania e Polonia, Francia e Italia, Germania e Unione Sovietica) mise in campo tutte le sue possibilità (la fitta rete diplomatica vaticana e la sua autorità morale) per salvare il salvabile, ma non riuscì né a impedire la guerra (e nemmeno l’entrata in guerra dell’Italia) né a far cessare le ostilità con i suoi numerosi appelli alla pace.

Supponendo, forse, di avere ancora una certa superiorità morale e sentendosi in ogni modo «Padre comune» delle nazioni e dei popoli, Pio XII non smise mai di interpellare i potenti della terra richiamandoli alle loro responsabilità e cercò comunque con tutte le sue forze di «alleviare le tristi conseguenze della guerra» (cfr. articolo precedente) e di richiamare alcuni principi fondamentali della pace e i diritti «alla vita e all'indipendenza di tutte le nazioni, grandi e piccole, potenti e deboli». 

Occuparsi e preoccuparsi dell’Europa per Pio XII non era un’opzione facoltativa, benché il suo compito principale consistesse nel guidare la Chiesa nel mare tempestoso dell’Europa e del mondo in guerra. Soprattutto nel primo anno di guerra Pio XII era tuttavia convinto che si potesse ritornare alla pace, eliminando alla radice l’origine dei mali presenti (cfr. enciclica Summi pontificatus del 20 ottobre 1939). I suoi appelli, anche se ascoltati, non vennero seguiti e alla fine della guerra l’Europa, oltre ai morti e alle rovine, dovette fare i conti anche con una divisione che appariva grave e duratura, quella di due blocchi contrapposti: uno occidentale liberale e capitalistico a guida statunitense e un blocco orientale comunista totalitario e ateo diretto dall'Unione Sovietica.

Pio XII e l’Europa postbellica

Finita la guerra, Pio XII si adoperò in tutte le sedi per una pace giusta e sull'Europa non aveva dubbi: doveva non solo riprendersi economicamente, ma anche unirsi (superando i nazionalismi) e rendersi autonoma. Quest’impresa dev'essergli apparsa gigantesca perché i due blocchi apparivano entrambi solidi e incompatibili, era già iniziata la «guerra fredda», il mondo cattolico era diviso e l’eurocentrismo era da considerarsi finito.

Pio XII ha lasciato ai sucessori una grande eredità da valorizzare! 
Per la ricostruzione dei Paesi del blocco occidentale il Vaticano fu favorevole al Piano Marshall (giugno 1947) e agli accordi tra gli Stati interessati. Sulla prospettiva di un’Europa unita e autonoma la posizione del Vaticano fu invece meno lineare. Inizialmente, infatti, Pio XII optò per il blocco occidentale, considerato più vicino alla visione cristiana della storia, mentre il regime sovietico gli sembrava minacciare la civiltà cristiana. Tale scelta, però, non fu condivisa da tutti in Vaticano e Pio XII finì per convincersi che per la Santa Sede fosse preferibile non precludersi la possibilità di dialogo col mondo comunista, tanto più che non si doveva confondere il popolo russo e la Russia con l’ateismo marxista e il comunismo.

D'altra parte, Pio XII era molto preoccupato della situazione nell'est europeo perché il regime comunista praticava una sistematica persecuzione della Chiesa cattolica in tutti i Paesi sotto la sua influenza. La tensione diminuì solo dopo la morte di Stalin (1953), quando il suo successore Nikita Chruscev cominciò a parlare di «coesistenza pacifica», ma soprattutto dopo l'avvio dell'integrazione europea che Pio XII appoggiò decisamente (come si vedrà nel prossimo articolo).

Un'eredità da valorizzare

La decisione di Pio XII di tenere aperti i contatti con i comunisti fu saggia, fra l’altro, perché in alcuni Paesi occidentali erano numerosi i comunisti e la Chiesa non poteva non cercare anche con loro un dialogo religioso. «Quanto desidererebbe la Chiesa di concorrere a spianare la via a questo contatto tra i popoli! Per lei Oriente e Occidente non rappresentano opposti principi, ma partecipano ad un comune retaggio… !» (Pio XII, 23 dicembre 1950).

Pio XII ci provò (anche attraverso emissari prestigiosi come il cardinale di Genova Giuseppe Siri) perché era intimamente convinto che le radici cristiane dell’Unione Sovietica prima o poi avrebbero rivitalizzato il tessuto sociale del Paese, ma non ottenne il risultato sperato. L’auspicio comunque è stato tenuto vivo da tutti i successori di Pio XII e tale resta ancora.

In generale, tuttavia, si riconosce a Pio XII di aver svolto un’azione intelligente e positiva per la ricostruzione di un’Europa democratica e cristiana e di aver lasciato ai suoi successori una eredità solida da valorizzare.

Giovanni Longu
Berna 12.06.2024 

05 giugno 2024

19. Pio XII e l’Europa (seconda parte)

Pio XII, attento osservatore della scena pubblica e dell’attività diplomatica (quella manifesta e quella sotterranea), ha fatto di tutto per evitare la seconda guerra mondiale, impedire la tragedia che stava per abbattersi nuovamente sull'Europa e salvare il maggior numero possibile di vite umane. Negarlo o ignorarlo sarebbe negare l’evidenza. Eppure, si continua ad insinuare dubbi e sospetti sui presunti silenzi di Pio XII e sulla sua presunta inattività a danno specialmente degli ebrei. Malafede? Scarsa conoscenza dei fatti? Difficile rispondere, ma a chiunque dovrebbe risultare chiara l’assoluta buona fede di Pio XII, il suo impegno costante in favore della pace e della vita umana, la sua sollecitudine per il bene della Chiesa, della Cristianità e dell’Europa in un mondo diviso e sempre più distante da una visione cristiana della storia.

I «silenzi» di Pio XII

Pio XII nel quartiere romano di San Lorenzo
dopo un bombardamento degli Alleati nel 1943
Ha fatto scalpore in alcuni media italiani la recente scoperta negli archivi vaticani di una lettera di un gesuita tedesco inviata in Vaticano alla fine del 1942 in cui s’informava il segretario del Papa dell’esistenza in Polonia di alcuni forni crematori e dell’uccisione di migliaia di persone specialmente polacchi ed ebrei. L’autore dello «scoop», il giornalista Massimo Franco, forse ha creduto davvero di aver fatto una scoperta clamorosa, ma in realtà quella lettera non faceva che confermare che Pio XII alla fine del 1942 sapeva dell’esistenza dei campi di sterminio e della Shoah.

Pio XII era generalmente ben informato di quel che accadeva nell'Europa in guerra e dunque anche nei Lager menzionati in quella lettera. Ma Pio XII sapeva pure quanto antisemitismo c’era in quei Paesi e quanta violenza veniva usata anche da cattolici polacchi, ucraini e lituani nei confronti di ebrei prima ancora dei tedeschi. Del resto la circolazione anomala di numerosi treni piombati era notoria, l’odore acre nauseabondo che rilasciavano i forni crematori era percepibile a distanza, molti sapevano del non ritorno di quanti entravano nei Lager tedeschi.

Dunque Pio XII sapeva. Ma perché solo a lui si rimproverano presunti silenzi? Churchill non sapeva niente? Roosevelt non sapeva niente? Stalin non sapeva niente? Probabilmente fino al dicembre 1942 tutti sapevano poco, mancavano prove evidenti e nessuno osava intervenire … perché Hitler faceva paura! A superarla per primo fu proprio il papa che il 24 dicembre 1942 denunciò il massacro di «centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o a un progressivo deperimento». Non mi sembra serio quanto ha affermato Massimo Franco: «Pio XII preferì tacere o al massimo esprimere in termini generici la sua pena».

Interventi mirati

Pio XII dunque certamente sapeva, conosceva la situazione ed è giusto domandarsi che cosa avrebbe potuto fare per impedirla o cambiarla. Invece di immaginarsi risposte senza fondamento non sarebbe più corretto osservare i fatti e rileggersi i testi dei radiomessaggi natalizi? Si scoprirebbe, per esempio, che pochi mesi dopo la sua elezione, rivolgendosi ai «governanti e ai popoli nell'imminente pericolo della guerra», con tono severo, li invitò a prendere sagge decisioni perché «nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra […] Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo […] Ci ascoltino i potenti, se vogliono che la loro potenza sia non distruzione, ma sostegno per i popoli e tutela a tranquillità nell'ordine e nel lavoro»» (Radiomessaggio 24 agosto 1939).

I fatti qualche anno fa furono riassunti in questi termini dal quotidiano italiano La Stampa: «il Pontefice si è mosso, in sintonia con la Croce Rossa Internazionale e con la DELASEM (associazione sorta a difesa degli ebrei), per evitare lo scoppio della guerra, per evitare l'entrata dell'Italia in guerra, per favorire una conferenza di pace durante il periodo bellico, per far nascondere i perseguitati, per aver notizie degli oppressi, per far liberare degli internati, per non far bombardare delle città italiane, per far cessare il rastrellamento degli ebrei il 16 ottobre del 1943, per far distribuire cibo e medicine nei campi di concentramento, per far arrivare aiuti economici, per sostenere quanti erano attivi in operazioni "a rischio" (fabbricazione di passaporti falsi, certificati di battesimo falsi...), per strappare dal carcere di via Tasso alcuni prigionieri e altro ancora».

Pio XII stesso aveva indicato le priorità della sua azione nel radiomessaggio natalizio del 1943: «La prima è che Noi [plurale maiestatico come si usava allora] abbiamo fatto e faremo sempre quanto è nelle Nostre forze materiali e spirituali per alleviare le tristi conseguenze della guerra, per i prigionieri, per i feriti, per i dispersi, per i randagi, per i bisognosi. per tutti i sofferenti e i travagliati, di ogni lingua e nazione. La seconda è che in questo volgere del tristo tempo di guerra Noi vogliamo che soprattutto ricordiate il gran de conforto che ci ispira la fede…». Promesse mantenute!

Resta da riferire sull'atteggiamento di Pio XII nei confronti dell’Europa martoriata, ma il tema è rimandato al prossimo articolo perché concerne il futuro stesso dell’Europa e il contributo che già Pio XII ha dato alla sua unità, autonomia e autorevolezza in un mondo diviso in «blocchi» in cui rischiava di restare schiacciata.

Giovanni Longu
Berna 5.6.2024

03 giugno 2024

Festa della Repubblica e sovranità europea

La festa della Repubblica è passata, le polemiche non ancora. Eppure l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, all'origine dei malumori di alcuni politici sovranisti e antieuropei, mi pare corretto sia dal punto di vista formale che sostanziale e storico.

Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Dal punto di vista formale: Mattarella ha ricordato che prossimamente i cittadini europei, eleggendo a suffragio universale il nuovo Parlamento europeo, consacreranno la «sovranità» europea. Perché meravigliarsi? In tutte le architetture statuali moderne, anche nelle monarchie e persino nella autocrazie, il Parlamento costituisce l’espressione più alta della sovranità popolare. Formalmente anche la prossima elezione del Parlamento europeo dà questa indicazione e non può essere altrimenti.

Dal punto di vista sostanziale: si obietterà che nell'UE il Parlamento non rappresenta la massima istanza, ma questa è un’anomalia dovuta non al popolo elettore ma ai governi che non hanno voluto ratificare la prevista costituzione dell’UE. Quando sarà approvata, il Parlamento europeo eletto a suffragio universale diverrà la massima espressione della sovranità popolare. Ma lo è già adesso, a prescindere dai poteri che i Trattati finora gli riconoscono. Infatti, che abbia o no i poteri tipici dei Parlamenti democratici non dipende da voto popolare.

Da un punto di vista storico, inoltre, ai Paesi europei occidentali apparve chiaro già durante la seconda guerra mondiale che la propria sopravvivenza sarebbe dipesa dalla loro unione in una condizione di pace e di sviluppo stabili. L’Italia fu tra le prime nazioni a inserire nella propria Costituzione, all'articolo 11, l’aspirazione e l’impegno dei popoli europei a ripudiare la guerra e a favorire con ogni mezzo utile la pace, consentendo, «in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni» (art. 11). Il presidente Mattarella l’ha bene interpretato.

Bene farebbero, dunque, i nuovi eletti a conoscere meglio la storia e la Costituzione italiana e, soprattutto, a indirizzare i loro sforzi per mettere al sicuro la pace, attraverso opere di pace (e non di guerra), il dialogo e un impegno su vasta scala per la prosperità comune.

Giovanni Longu
3 giugno 2024

29 maggio 2024

18. Pio XII e l’Europa (prima parte)

Benedetto XV e Pio XI avevano assistito impotenti al disfacimento di un’idea ottimistica dell’Europa (Belle Époque) a seguito della convergenza contemporanea mai verificatasi prima di tre concause micidiali: nazionalismo, nazismo e comunismo. Inutilmente avevano cercato di bloccarne la dinamica distruttrice denunciando e condannando pubblicamente queste tre ideologie che consideravano deleterie per la convivenza pacifica dei popoli europei, ma non si arresero all'idea di un’Europa alla deriva. Alla morte di Pio XI (1939) ne raccolse la pesante eredità il suo Segretario di Stato (dal 1930) Eugenio Pacelli (1876-1958) col nome di Pio XII e anch'egli non si arrese, anche se ancora alcuni lo criticano per non aver fatto di più, spesso dimenticando la complessità della situazione e i mala tempora (tempi cattivi) in cui visse.

La situazione iniziale e la speranza di Pio XII

Pio XII, papa dal 1939 al 1958.
Benedetto XV, Pio XI e Pio XII sono stati tre giganti non solo della Chiesa cattolica, ma anche dell’Europa, e come tali andrebbero considerati. Gli eventi li soverchiarono in gran parte, ma la loro voce e i loro messaggi in favore della dignità della persona umana, della pace e dell’unità, della Chiesa e dell’Europa, non furono vani. Nessuno di essi fu così fortunato da coglierne direttamente i frutti, ma questi ci furono e basterebbe osservare quanto sia diversa la situazione oggi per esprimere anche nei loro confronti sentimenti di rispetto e di riconoscenza.

Quando Pio XII fu eletto papa, la situazione nella Chiesa era molto difficile perché le ideologie allora dominanti (modernismo, nazionalismo, antisemitismo, fascismo, nazismo, marxismo, comunismo, ecc.) non risparmiavano nemmeno i cattolici. Inoltre, in Europa la situazione rischiava di degenerare da un momento all'altro a causa della smania di rivincita della Germania, dell’espansionismo staliniano in Russia-Unione Sovietica e della (quasi) indifferenza dei grandi Paesi occidentali (Gran Bretagna, Francia, Italia…).

La situazione politica europea nel 1939 non lasciava spazio all'ottimismo, perché i due peggiori nazionalismi del Novecento, quello sovietico (comunismo) e quello tedesco (nazismo) imperversavano senza incontrare alcuna resistenza in grado di bloccarli. Inoltre, quello tedesco sembrava deciso a scatenare la guerra per riportare in seno al grande Reich Germanico tutti i tedeschi dovunque si trovassero in Europa (Danzica, Slesia, Austria, Alsazia, ecc.).

Pio XII, pur condannando totalmente come avevano fatto i suoi predecessori le ideologie che in quel momento stavano minando nel profondo la Chiesa e la società, preferì inizialmente l’ottimismo inglese che riteneva possibile la «democratizzazione» della Germania e la speranza di un ravvedimento dei comunisti. Dovette presto ricredersi perché Hitler non sembrava volersi fermare e Stalin non dava alcun segno di ravvedimento.

In difesa della dignità umana e dell’Europa

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale e le notizie che giungevano in Vaticano da ogni parte del mondo, Pio XII dovette affrontare non solo il dilemma se schierarsi o non schierarsi per salvare il destino della Chiesa e dell’Europa, ma anche, eventualmente, come intervenire.

L’esitazione in Pio XII non dipendeva da fattori caratteriali o da mancanza di esperienza, ma dall'incertezza delle conseguenze che avrebbe potuto provocare una sua presa di posizione. Infatti, se un’eventuale vittoria della Germania nazista avrebbe potuto travolgere non solo la Chiesa, ma l’intera Europa, le conseguenze sarebbero state certamente più tragiche, agli occhi di Pio XII, in caso di vittoria dell’Unione Sovietica, perché il comunismo si stava diffondendo pericolosamente in Europa (anche in Italia) ed era inaccettabile per il suo carattere ateo, marxista, materialista, illiberale e disumano.

L'Europa nel 1942 (Limes)

La prospettiva di un mondo senza Dio, antireligioso e irrispettoso della dignità umana dev’essere sembrata a Pio XII inaccettabile a tal punto da sperare che la Germania non capitolasse di fronte all'avanzata sovietica, anzi la ritardasse. Tanto più che le relazioni della Santa Sede con l’Unione Sovietica erano pessime, mentre il Concordato del 1933 con la Germania garantiva «la libertà della professione e del pubblico esercizio della religione cattolica» e alla Santa Sede «piena libertà di comunicare e corrispondere con i Vescovi, col clero e con quanti appartengono alla Chiesa Cattolica in Germania».

Su questo atteggiamento di apparente incertezza di Pio XII si è scritto molto (e se ne accennerà nel prossimo articolo), ma già alla luce delle annotazioni precedenti non dovrebbe apparire strano che il papa esitasse e si preoccupasse di fronte a una situazione complessa, drammatica e dagli esiti imprevedibili per la Chiesa, per l’Europa e per il mondo.

Solo in seguito, quando seppe, delle deportazioni e dello sterminio degli ebrei, Pio XII ruppe gli indugi, parlò e condannò quanto stava succedendo in particolare agli ebrei, ma auspicò anche un decisivo intervento degli Americani, senza il quale non sarebbe stato possibile salvare né l’Italia (e il Vaticano) né gli altri Paesi cattolici d’Europa.

Giovanni Longu
Berna 29.5.2024


22 maggio 2024

17. L'Europa e Pio XI

Dopo l’«inutile strage» della prima guerra mondiale, numerosi analisti cominciarono a studiarne le cause e a ipotizzare soluzioni preventive efficaci. Cominciò a farsi strada anche l’idea di una federazione europea, da taluni ritenuta «l’unica adeguata risposta» ai problemi di fondo all'origine del conflitto. In questa riflessione s’inserì anche il diverso approccio del papa Pio XI (1857-1939), succeduto a Benedetto XV nel 1922. Pur non essendo contrario all'idea di una federazione di Stati europei, egli focalizzò la sua analisi delle cause e dei possibili rimedi soprattutto nella sfera dei rapporti sociali, ritenendo centrali alla luce del Vangelo «il senso della dignità personale e del valore della stessa persona umana» e lo «spirito di vera fraternità».

Pio XI tra guerra e pace

Ritratto di Pio XI di Ph. de László (1924)
A succedere a Benedetto XV (1922) fu chiamato Achille Ratti (1857-1939) col nome di Pio XI. Appena eletto non si sottrasse ai gravosi impegni che lo attendevano: proteggere la Chiesa, minacciata in tanti parti del mondo, e favorire soprattutto in Europa una «pace vera».

Sul primo impegno Pio XI incontrò meno difficoltà che sul secondo. Infatti riuscì a concludere utili Concordati con numerosi Stati, in particolare con l’Italia (Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929) e con la Germania (1933, in difesa dei cattolici, ma anche nell'«interesse capitale al pacifico sviluppo e al benessere del popolo tedesco»). Sul tema della pace, invece, ebbe minor fortuna perché non riuscì a far desistere dai preparativi di guerra la Germania nazista (dopo la presa del potere di Hitler) e la Russia comunista (dopo la presa del potere di Stalin). La Germania era infatti decisa a prendersi una rivincita sui Paesi che l’avevano sconfitta e umiliata nella prima guerra mondiale, e la Russia di Stalin era decisa a eliminare tutti gli oppositori interni del regime bolscevico.

Eppure Pio XI fece di tutto per scongiurare una seconda guerra mondiale. Già nella sua prima enciclica del 1922 Ubi Arcano Dei Consilio («Per gli imperscrutabili disegni di Dio») notava amaramente che, sebbene la «tremenda guerra» fosse finita da qualche anno, «i popoli non hanno ancora ritrovato la vera pace», anzi «si rincrudisce l’angoscia delle genti per la minaccia sempre più forte di nuove guerre le quali non potrebbero essere che più spaventose e desolatrici delle passate» e la «condizione di pace armata […] dissangua le finanze dei popoli, ne sciupa il fiore della gioventù e ne avvelena e intorbida le migliori fonti di vita fisica, intellettuale, religiosa e morale». Le sue parole caddero nel vuoto!

Le cause e i rimedi della guerra

Pio XI tra Vittorio Emanuele III (a s.) e Mussolini 
Nella stessa enciclica, senza entrare nel merito delle responsabilità dirette della guerra, Pio XI indicava quelle che gli sembravano le principali cause indirette dei conflitti, perché, anche se indirettamente, potevano favorire le rivalità internazionali. Citava come esempi la «lotta di classe divenuta ormai il morbo più inveterato e mortale della società», le «lotte dei partiti, non sempre ingaggiate per una serena divergenza di opinioni […], ma per bramosia di prevalere», la disgregazione delle famiglie, lo svilimento della persona umana, la «cupidigia del godere, […] dell’avere, […] del comandare e del sovrastare», ecc.

Pio XI condannò senza alcuna ambiguità
nazionalismo, nazismo e comunismo.
Più che le singole cause, che risentivano evidentemente della personalità di Pio XI e del suo tempo, è interessante notare il legame che lui vedeva tra questi comportamenti (di natura piuttosto privatistica, si direbbe oggi) e le «inimicizie esterne dei popoli» e persino le guerre. Tutto ciò non accadrebbe, secondo Pio XI, se gli uomini seguissero il comandamento di Gesù Cristo: «che vi amiate a vicenda come io vi ho amati»; «sopportate gli uni i pesi degli altri, e così adempirete alla legge di Cristo». Pur potendo dissentire da questo tipo di analisi, è difficile negare che opinioni e comportamenti individuali possono ancora oggi influire su eventi sociali e nazionali importanti, tanto più che Pio XI conosceva bene l’affermazione del marxismo in Russia, del fascismo in Italia e del nazismo in Germania.

Ferma condanna dei totalitarismi

Pio XI, sostenitore assoluto della pace, intravide soprattutto in tre ideologie i mali assoluti del suo tempo: il nazionalismo, il nazismo e il comunismo. Non poteva non condannarli.Nella citata enciclica Ubi arcano Dei Pio XI stigmatizzò l’«immoderato nazionalismo» perché secondo lui un eccessivo amor patrio può far dimenticare che «tutti i popoli sono fratelli nella grande famiglia dell’umanità, che anche le altre nazioni hanno diritto a vivere e prosperare».

In un’altra enciclica del 14 marzo 1937, la Mit brennender Sorge («Con viva ansia»), Pio XI condannò senza mezzi termini il nazismo per «l’illegalità delle misure violente prese finora» e per la presunzione di «parlare di un Dio nazionale, di una religione nazionale…». Già il titolo dell’enciclica esprimeva la forte preoccupazione di Pio XI.

Infine, con l’enciclica del 19 marzo 1937 Divini Redemptoris («Di un divino Redentore»), Pio XI condannò senza riserve il comunismo ateo imperante nella Russia Sovietica, contrario non solo alla religione, ma anche ai principi fondamentali dell’uomo e della civiltà.

Giovanni Longu
Berna, 22.5.2024