11 giugno 2024

20. Pio XII e l’Europa (terza parte)

Succedendo a Pio XI (2 marzo 1939), Pio XII sentì che la tempesta della guerra stava per abbattersi sull'Europa e cercò invano di impedirla. Ne intuiva infatti la pericolosità non solo per la decisa volontà di Hitler di conquistare per i tedeschi dell’Europa centrale e orientale uno «spazio vitale» (Lebensraum), ma anche a causa della debolezza morale (da quando si cominciò a negare e a rifiutare una «regola di moralità universale, sia della vita individuale sia della vita sociale e delle relazioni internazionali») e politica dell’Europa (vittima dei tre mali micidiali: nazionalismo, nazismo e comunismo). Se dai predecessori Benedetto XV e Pio XI aveva ereditato una buona dose di pessimismo, per carattere e per convinzione non si arrese mai alla cattiva sorte, si spese fino all'ultimo per la pace, per alleviare i danni della guerra e scongiurare i pericoli di una nuova guerra (anche se non combattuta con le armi) e non perse mai la speranza in un mondo migliore.

Pio XII, «Padre comune»

Purtroppo, Pio XII non riuscì ad impedire né la seconda
guerra mondiale né la successiva «guerra fredda». 
Ottimo conoscitore dell’Europa e delle complesse vertenze internazionali (specialmente tra Germania e Francia, Germania e Polonia, Francia e Italia, Germania e Unione Sovietica) mise in campo tutte le sue possibilità (la fitta rete diplomatica vaticana e la sua autorità morale) per salvare il salvabile, ma non riuscì né a impedire la guerra (e nemmeno l’entrata in guerra dell’Italia) né a far cessare le ostilità con i suoi numerosi appelli alla pace.

Supponendo, forse, di avere ancora una certa superiorità morale e sentendosi in ogni modo «Padre comune» delle nazioni e dei popoli, Pio XII non smise mai di interpellare i potenti della terra richiamandoli alle loro responsabilità e cercò comunque con tutte le sue forze di «alleviare le tristi conseguenze della guerra» (cfr. articolo precedente) e di richiamare alcuni principi fondamentali della pace e i diritti «alla vita e all'indipendenza di tutte le nazioni, grandi e piccole, potenti e deboli». 

Occuparsi e preoccuparsi dell’Europa per Pio XII non era un’opzione facoltativa, benché il suo compito principale consistesse nel guidare la Chiesa nel mare tempestoso dell’Europa e del mondo in guerra. Soprattutto nel primo anno di guerra Pio XII era tuttavia convinto che si potesse ritornare alla pace, eliminando alla radice l’origine dei mali presenti (cfr. enciclica Summi pontificatus del 20 ottobre 1939). I suoi appelli, anche se ascoltati, non vennero seguiti e alla fine della guerra l’Europa, oltre ai morti e alle rovine, dovette fare i conti anche con una divisione che appariva grave e duratura, quella di due blocchi contrapposti: uno occidentale liberale e capitalistico a guida statunitense e un blocco orientale comunista totalitario e ateo diretto dall'Unione Sovietica.

Pio XII e l’Europa postbellica

Finita la guerra, Pio XII si adoperò in tutte le sedi per una pace giusta e sull'Europa non aveva dubbi: doveva non solo riprendersi economicamente, ma anche unirsi (superando i nazionalismi) e rendersi autonoma. Quest’impresa dev'essergli apparsa gigantesca perché i due blocchi apparivano entrambi solidi e incompatibili, era già iniziata la «guerra fredda», il mondo cattolico era diviso e l’eurocentrismo era da considerarsi finito.

Pio XII ha lasciato ai sucessori una grande eredità da valorizzare! 
Per la ricostruzione dei Paesi del blocco occidentale il Vaticano fu favorevole al Piano Marshall (giugno 1947) e agli accordi tra gli Stati interessati. Sulla prospettiva di un’Europa unita e autonoma la posizione del Vaticano fu invece meno lineare. Inizialmente, infatti, Pio XII optò per il blocco occidentale, considerato più vicino alla visione cristiana della storia, mentre il regime sovietico gli sembrava minacciare la civiltà cristiana. Tale scelta, però, non fu condivisa da tutti in Vaticano e Pio XII finì per convincersi che per la Santa Sede fosse preferibile non precludersi la possibilità di dialogo col mondo comunista, tanto più che non si doveva confondere il popolo russo e la Russia con l’ateismo marxista e il comunismo.

D'altra parte, Pio XII era molto preoccupato della situazione nell'est europeo perché il regime comunista praticava una sistematica persecuzione della Chiesa cattolica in tutti i Paesi sotto la sua influenza. La tensione diminuì solo dopo la morte di Stalin (1953), quando il suo successore Nikita Chruscev cominciò a parlare di «coesistenza pacifica», ma soprattutto dopo l'avvio dell'integrazione europea che Pio XII appoggiò decisamente (come si vedrà nel prossimo articolo).

Un'eredità da valorizzare

La decisione di Pio XII di tenere aperti i contatti con i comunisti fu saggia, fra l’altro, perché in alcuni Paesi occidentali erano numerosi i comunisti e la Chiesa non poteva non cercare anche con loro un dialogo religioso. «Quanto desidererebbe la Chiesa di concorrere a spianare la via a questo contatto tra i popoli! Per lei Oriente e Occidente non rappresentano opposti principi, ma partecipano ad un comune retaggio… !» (Pio XII, 23 dicembre 1950).

Pio XII ci provò (anche attraverso emissari prestigiosi come il cardinale di Genova Giuseppe Siri) perché era intimamente convinto che le radici cristiane dell’Unione Sovietica prima o poi avrebbero rivitalizzato il tessuto sociale del Paese, ma non ottenne il risultato sperato. L’auspicio comunque è stato tenuto vivo da tutti i successori di Pio XII e tale resta ancora.

In generale, tuttavia, si riconosce a Pio XII di aver svolto un’azione intelligente e positiva per la ricostruzione di un’Europa democratica e cristiana e di aver lasciato ai suoi successori una eredità solida da valorizzare.

Giovanni Longu
Berna 12.06.2024 

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