L’11 settembre 2013, il senatore eletto nella circoscrizione Estero Aldo Di Biagio (Gruppo per l’Italia) aveva presentato un disegno di legge contenente «Disposizioni per la promozione della conoscenza dell'emigrazione italiana nel quadro delle migrazioni contemporanee». Lo scorso 21 marzo è stato assegnato per l’esame preliminare alla Commissione «Istruzione pubblica, beni culturali», ma il testo sarà anche sottoposto ai pareri delle commissioni «Affari costituzionali», «Affari esteri», «Bilancio» e «Questioni regionali».
Il fatto che il disegno di legge sia già stato assegnato a
una Commissione fa ben sperare sull’intero iter parlamentare. Se infatti verrà
discusso, eventualmente migliorato e approvato in quella sede, ci sono molte
probabilità che sarà portato in discussione al Senato e poi alla Camera dei
deputati e trasformato in legge.
Portata del fenomeno migratorio
Sen. Aldo Di Biagio |
Che cosa chiede con la sua iniziativa il senatore Di Biagio?
Chiede, a mio parere, una cosa ovvia, ma che evidentemente tanto ovvia non è. Chiede
che lo Stato provveda a promuovere nelle scuole di ogni ordine e grado la
conoscenza della storia dell’emigrazione italiana, evidentemente ora trascurata
o lacunosa, eppure così importante per i cittadini di oggi e di domani.
Presentando il disegno di legge, Di Biagio ha tenuto a
ricordare anzitutto la portata del fenomeno migratorio: «L'emigrazione italiana, a partire dalla seconda metà
dell'Ottocento e fino ai nostri giorni, è stata indiscutibilmente il fattore di
più profondo cambiamento della società italiana e l'esperienza di più intensa e
diffusa internazionalizzazione che gli italiani abbiano conosciuto (…) si
calcola che siano almeno venticinque milioni gli italiani espatriati nelle più
diverse aree del mondo a seguito della prima e della seconda ondata
emigratoria, e tra i cinquantacinque e i sessanta milioni le persone di origine
italiana che vivono attualmente nel globo. I cittadini italiani che risiedono
all'estero e si sono iscritti all'Anagrafe italiani residenti all’estero (AIRE)
sono circa 4,3 milioni. Una cifra non lontana da quella degli stranieri che si
sono insediati in Italia…».
Basterebbe questo riferimento
per suscitare nell’opinione pubblica e specialmente nel mondo della scuola una
gran voglia di approfondire la conoscenza dell’emigrazione italiana, che
ha interessato praticamente l’intera storia italiana, dall’Unità ad oggi. Il rischio
che la formazione delle nuove generazioni sia sotto questo aspetto gravemente
lacunosa andrebbe preso sul serio, se non si vuole indebolire ulteriormente la
già fragile memoria collettiva, soprattutto in un momento così delicato come
quello attuale.
Conservare la memoria
storica
Di Biagio vede soprattutto nelle
giovani generazioni l’anello debole della trasmissione di questa memoria
storica. Esse, infatti, «non trovando adeguati riferimenti nei canali di
informazione e di comunicazione da loro abitualmente usati, sono portate a
rimuovere completamente questo patrimonio storico, umano ed etico, recidendo in
tal modo il filo di continuità della loro stessa memoria familiare».
La pertinenza e forse l’urgenza delle misure proposte deriva
secondo Di Biagio anche dalla delicatezza del processo di transizione che la
società italiana sta attraversando ormai da qualche decennio: «L'Italia, come è
ormai noto, da Paese di storica emigrazione si sta trasformando in luogo di
approdo e di insediamento di milioni di stranieri che arrivano nel nostro
territorio sulla base di motivazioni analoghe a quelle che nel corso del tempo
hanno indotto tanti nostri connazionali a partire e che tuttora, come si è
visto, non sono ancora sopite».
Progetto di ricerca sull’emigrazione italiana
Concretamente, il senatore Di
Biagio propone che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della
ricerca si faccia carico di un «progetto nazionale di ricerca e di
approfondimento» sull’emigrazione italiana da inserire nella programmazione
scolastica ordinaria. Lo stesso Ministero dovrebbe prendere le opportune
iniziative per far conoscere il progetto e sensibilizzare e formare i docenti
ai fini dell'acquisizione delle conoscenze e delle competenze necessarie.
Spetterebbe poi ancora al Ministero provvedere con opportune
linee guida a motivare le varie scuole ed istituti ad adottare il progetto
nazionale, adattandolo ai diversi gradi d’istruzione, tenendo conto anche delle specificità territoriali. Infine, lo stesso
Ministero dovrebbe intervenire con modalità appropriate per la verifica,
ogni due anni, dei risultati raggiunti.
Per incoraggiare l’attuazione del «programma nazionale», Di
Biagio popone un Premio nazionale «Migranti come noi», «da assegnare
annualmente a classi e a istituti scolastici che si sono particolarmente
distinti per l'originalità e per il rigore della ricerca, nonché per
l'efficacia del percorso formativo sulle tematiche delle migrazioni».
Mentre mi auguro che il disegno di legge di Di Biagio
diventi presto legge dello Stato, vorrei evidenziare un aspetto che in questo
tipo di discussione giuridica rischia di non essere sottolineato abbastanza:
l’aspetto emotivo (e formativo) che accompagna la conoscenza. Chiunque si trovi
ad affrontare, per qualsiasi ragione, la storia dell’emigrazione italiana finisce
infatti per sentirsi coinvolto non solo intellettualmente, ma anche
emotivamente.
Una storia straordinaria e importante
Va da sé che la semplice conoscenza di un fenomeno così
vasto e profondo della storia italiana come l’emigrazione arricchisce lo
spirito e aggiunge peso al bagaglio culturale di chiunque si cimenta in questa
ricerca. Ma è un fatto facilmente documentabile: man mano che questo tipo di conoscenza
cresce, aumenta anche il coinvolgimento emotivo del ricercatore. Ogni
italiano alle prese con la storia dell’emigrazione finisce di fatto per
compiere anche una ricerca se non della propria storia personale almeno della
storia del proprio comune o della propria regione, ossia del tessuto sociale in
cui affondano le proprie radici. L’emigrazione ha infatti segnato profondamente
ogni regione italiana tanto del Mezzogiorno quanto del Centro e del Nord.
Lo studio dell’emigrazione italiana è una ricerca
coinvolgente perché sono moltissimi, ancora oggi, gli italiani interessati
direttamente dalla problematica emigratoria per via di familiari, amici,
compagni di scuola, vicini di casa con un vissuto da emigrati o persino tuttora
emigrati. Senza contare che è ormai sotto gli occhi di tutti la condizione degli
immigrati in Italia, per molti versi simile a quella vissuta dagli emigrati
italiani.
Oltre che utile, lo studio dell’emigrazione italiana è stimolante
e persino appassionante, soprattutto se visto dalla prospettiva degli
interessati, appunto gli emigrati. Per essere efficace, tuttavia, un simile
studio dovrebbe uscire dalla vaghezza dei luoghi comuni sull’emigrazione (la
tristezza della partenza, la nostalgia, la sofferenza, la discriminazione degli
emigrati, il sogno del rientro, ecc.) e concentrarsi sull’evoluzione
dell’emigrazione italiana in un solo Paese, per esempio gli Stati Uniti o la
Francia o la Germania o un’altra nazione.
L’emigrazione italiana in Svizzera
Personalmente trovo molto interessante l’emigrazione
italiana in Svizzera, tra l’altro una delle più antiche, perché i primi
migranti nei due sensi, tra l’Italia e la Svizzera, precedettero la stessa
costituzione della moderna Confederazione e dell’Unità d’Italia. Allora si
trattava di passaggi di frontiera «ordinari», per esigenze od opportunità di
lavoro, senza complicazioni burocratiche. In seguito, già nel 1868, il fenomeno
venne regolamentato perché stava assumendo una forte consistenza con
implicazioni «straordinarie» nella vita sociale e politica soprattutto della
Svizzera, ma anche dell’Italia.
Per quasi 150 anni la storia dell’emigrazione italiana in
Svizzera si è svolta con un andamento altalenante tra grandi afflussi di nuovi
immigrati e forti rientri, periodi di relativa tranquillità e periodi di
tensioni alle stelle, gravi episodi di xenofobia e attestati di pubblica
benemerenza, forme di autodifesa e forti spinte all’integrazione.
Parallelamente alle vicende degli emigrati/immigrati si è
svolta una storia di relazioni ufficiali tra i due Stati non sempre coincidenti
con gli interessi dei primi. Basti pensare che l’unica rottura dei rapporti diplomatici
tra i due Paesi si verificò nel 1902
a causa dell’arroganza del rappresentante d’Italia in
Svizzera, tale Silvestrelli. Altre volte le tensioni furono provocate da
interventi inappropriati di ministri, sottosegretari, ambasciatori della
Repubblica. A parte il primo Trattato di amicizia tra l’Italia e la Svizzera
del 1868, nessun altro accordo sull'emigrazione è stato firmato con la piena
soddisfazione di entrambe le parti. Nemmeno quello sui frontalieri del 1974, di
cui si parla tanto attualmente.
Eppure la collettività italiana in Svizzera è andata
costantemente crescendo per numero e qualità, per attestarsi in questi ultimi
anni attorno al mezzo milione e più di persone, generalmente ben integrate, ben
formate e portatrici di nuove caratteristiche e valori.
Storia di drammi e di successi
Andare a conoscere, in profondità, la storia di questa
collettività è un’impresa interessante ed emozionante, soprattutto quando si
cerca di scoprire la forza d’animo di generazioni d’immigrati capaci di ogni
sopportazione sul lavoro e nella società, perché sentivano più forte che mai il
dovere di provvedere ai bisogni delle loro famiglie. O quando si cerca di capire
le varie forme di solidarietà che gli emigrati si sono inventate per sostenersi
reciprocamente nelle difficoltà o nella lotta per i loro diritti. O quando ci
s’interroga sulle ragioni profonde del successo di una popolazione un tempo sfruttata,
disprezzata e marginalizzata e oggi considerata parte integrante della società
svizzera.
Ci sono poi aspetti di questa storia dell’emigrazione
italiana in Svizzera che meriterebbero di essere assolutamente conosciuti nelle
scuole e nell’opinione pubblica. Penso alle varie forme di associazionismo che
si sono sviluppate soprattutto nel secolo scorso, agli impulsi dati al
superamento delle difficoltà tipiche della prima generazione d’immigrati, alla
promozione diretta e indiretta dei prodotti italiani, alle modalità di diffusione
di uno stile di vita «italiano», della lingua, dell’arte e della cultura italiane,
ecc.
Ben venga, dunque, una legge che approfondisca le singole
tematiche dell’emigrazione italiana e le sappia valorizzare nelle scuole e
nell’opinione pubblica. Una tale conoscenza sarà anche utile per rendere più
agevole il compito che hanno ora gli italiani di accogliere e integrare i tanti
immigrati che guardano all’Italia come alla loro futura patria di adozione.
Giovanni Longu
Berna, 02.04.2014
Berna, 02.04.2014
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