30 maggio 2012

Occupazione e formazione professionale



In Italia, e soprattutto nel Mezzogiorno, la disoccupazione giovanile è stata sempre un grande problema, rimasto irrisolto sia sotto i governi di destra che sotto quelli di sinistra. Ora ci riprova Monti promettendo ben otto miliardi di euro.

Ascoltando alcuni interventi in televisione e leggendo vari commenti di osservatori politici di diverso orientamento, mi è parso di notare un certo scetticismo sia sulla cifra (sono davvero disponibili così tanti soldi?) e sia sulle modalità di erogazione. Poiché, come ha detto lo stesso Monti, si tratta di fondi strutturali europei 2007-2013 in attesa di destinazione per la lotta alla disoccupazione giovanile, viene anzitutto da chiedersi perché non sono stati ancora utilizzati. Ma la domanda più importante è come verrebbero spesi, quali progetti sarebbero finanziati e se devono produrre effetti solo immediati o anche a lungo termine.
Non ho informazioni sufficienti per entrare nel merito delle questioni, ma quelle diffuse finora dai media mi inducono ad associarmi di preferenza al gruppo degli scettici. Si è parlato infatti genericamente di «fornire prospettive di lavoro degno e durevole per i giovani» (Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica), di infondere loro fiducia con affermazioni del tipo «voi rappresentate una delle priorità del governo», «avere un sogno in tasca è il più bello e forte degli incentivi», l’atteggiamento dei giovani «deve essere di grande disponibilità al cambiamento» e con la promessa che lo Stato e il Governo staranno dalla loro parte in modo che possano essere finalmente «liberi di scegliere il lavoro che vogliono» (Mario Monti, presidente del Consiglio dei ministri).

La formazione professionale quale antidoto alla disoccupazione
Non ho motivo di dubitare che il governo italiano possa davvero reperire 8 miliardi di euro da destinare alla disoccupazione giovanile. Dubito invece che questi soldi vengano utilizzati in modo da evitare che il problema si ripresenti una volta esaurita questa massa di euro. Nell’immediato sarà certamente possibile che un certo numero dei giovani disoccupati trovi un lavoro e che grazie agli incentivi si trovino imprese disponibili ad assumerli; ma è sul lungo periodo che il problema, soprattutto al Sud, andrebbe affrontato e risolto. E mi dispiace che nemmeno questo governo abbia messo tra le sue priorità la formazione professionale quale antidoto efficace alla preoccupante disoccupazione giovanile.
Intervenendo recentemente in più occasioni di fronte a platee attente di giovani, Monti avrebbe potuto osare di più, mentre non è andato oltre alcune generiche affermazioni come quelle riportate e avrebbe potuto anticipare quali sono le vere intenzioni dello Stato e del Governo invece di appellarsi a una sorta di atto di fede sulla loro volontà di «fare la loro parte». Ma quale parte, verrebbe voglia di dire, se non hanno ancora capito che la soluzione del problema sta nella formazione?
Per rendersene conto non occorrono molti studi. Basta osservare il caso svizzero. Nei giorni scorsi la pubblicazione delle statistiche federali sull’occupazione ha indotto i principali organi di stampa nazionali a dare ampio rilievo al livello di «occupazione da record» registrato in Svizzera nel 2011 (82,8%), di gran lunga superiore alla media europea (71,2%), e ancora in crescita nel primo trimestre di quest’anno .

L’esempio svizzero
Qualcuno potrebbe obiettare che la Svizzera è un piccolo Paese e che comunque rappresenta un’eccezione e perciò non fa testo. Per la prima parte dell’obiezione sarebbe facile rispondere che in Europa ci sono Paesi più piccoli o poco più grandi che stanno peggio; per la seconda parte si potrebbe concedere che il caso svizzero è sicuramente speciale e forse, sotto certi aspetti, inimitabile, ma non è una buona ragione per evitare di analizzarlo. Ne risulterebbe, ad esempio, che uno dei pilastri del successo svizzero sta proprio nel suo sistema di formazione generale e professionale.
Secondo l’Ufficio federale di statistica, la partecipazione al mercato del lavoro dipende sensibilmente dal livello di formazione. Tra i 25-64enni, solo il 74,4% delle persone senza formazione post-obbligatoria è attivo, mentre lo è l'85,5% di quelle che hanno portato a termine una formazione di grado secondario superiore (maturità, apprendistato completo) e il 91,2% di quelle con una formazione di grado terziario (università, politecnico federale, scuola universitaria professionale o equivalenti).
So che il problema dell’occupazione giovanile soprattutto nel Meridione è assai complesso, ma non se ne verrà mai a capo se non si affronterà in maniera decisa la questione prioritaria della formazione professionale. Per essere efficace, questa dovrà essere seria, radicata nel territorio, ben strutturata, orientata alle esigenze del mercato e sostenuta non solo dallo Stato ma anche dalla rete delle imprese.

Giovanni Longu
Berna, 30.05.2012



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