Nel novembre 1912, la «Commissione dei nove» aveva inoltrato al Consiglio federale una «petizione riguardante misure contro l’inforestierimento della Svizzera», proponendo fra l’altro una revisione della legge del 1903 sulla cittadinanza. Chiedeva in sostanza che nell’ambito della revisione si prevedessero nuove disposizioni per l’introduzione dello «jus soli» nella concessione della cittadinanza svizzera a chi nasceva in Svizzera.
Buon senso e opportunità
Alla base della proposta dei nove c’era una considerazione
dettata dal buon senso oltre che dall’opportunità: chi nasce e cresce in
Svizzera è di fatto già «assimilato» o potrebbero esserlo facilmente se solo
gli si concedesse la naturalizzazione fin dalla nascita. In tal modo il numero
di stranieri diminuirebbe e aumenterebbe quello dei cittadini.
Le proposte della Commissione dei nove furono generalmente
benaccolte negli ambienti politici e sulla stampa. Anche il Dipartimento politico,
incaricato del rapporto del Consiglio federale da presentare alle Camere
federali, lo prese in seria considerazione. Il clima generale sembrava
favorevole, nel senso che da più parti si chiedeva una soluzione urgente all'aumento
degli stranieri, eventualmente agevolando le naturalizzazioni.
In Ticino, dove il problema dei «forestieri» era particolarmente
acuto, il quotidiano Gazzetta Ticinese chiedeva una «soluzione radicale»
sull'esempio di quanto avevano fatto i Paesi vicini, in particolare la Germania:
«Mentre in Isvizzera si scrivono degli articoli di giornale, si
costituiscono dei comitali parlamentari od extra-parlamentari o delle
commissioni speciali per esaminare la scottante quistione della
naturalizzazione dei forestieri, ed intanto il tempo passa e la piaga sociale
svizzera che mina insensibilmente la nostra esistenza nazionale indipendente da
ogni e qualsiasi corrente esotica la sproporzione cioè fra gli attinenti ed i
forestieri minaccia dì divenire cancrenosa, negli Stati che ci circondano la
cosa è già risolta in modo radicale, o sta per esserlo. E che anche da noi urgano
provvedimenti energici, non fa più l'ombra del dubbio».
Dibattito aperto tra assimilazione e naturalizzazione
Nell’estate del 1914 il dibattito era particolarmente vivace
nella stampa romanda, ma anche in alcuni quotidiani e periodici della Svizzera
tedesca e della Svizzera italiana.
Molti articoli erano ancora dedicati al «problema degli
stranieri», ma sempre più numerosi erano quelli che affrontavano specificamente
il tema della «naturalizzazione degli stranieri». Nei primi si evidenziavano
soprattutto i pericoli dell’aumento degli stranieri, sia in campo economico che
in campo sociale. Nei secondi si discutevano le varie proposte per ridurre il
numero degli stranieri ed evitare i rischi di «inforestierimento».
Una delle proposte più discusse e viste favorevolmente era
quella di intensificare gli sforzi per «assimilare» il maggior numero possibile
di stranieri e soprattutto «la parte più stabile e più sana della popolazione
straniera». Questa attività doveva essere tuttavia svolta parallelamente a
quella di facilitare la naturalizzazione, adottando «in parte» il principio
dello «jus soli» ad esempio nel caso di stranieri nati in Svizzera, sia
pure a determinate condizioni.
Sempre più spesso si parlava anche della necessità di
introdurre nei confronti dei giovani nati e cresciuti in Svizzera e quindi
«assimilati» una vera e propria «naturalizzazione obbligatoria». Non tutti gli
osservatori, tuttavia, erano d’accordo sull’obbligatorietà e nemmeno sull’introduzione
dello «jus soli».
Dubbi e timori
Gazzetta Ticinese, per esempio, riteneva tale misura
inadeguata, anche se fosse adottata solo per gli stranieri nati nella Svizzera,
«i quali, giunti all'età maggiore, non avrebbero neppure il diritto di
opzione, fra le due patrie (quella d'origine e quella di domicilio) ma
sarebbero dichiarati svizzeri senz'altro». Francamente, continuava il
quotidiano, «questo sistema di fabbricare gli svizzeri ci sembra un rimedio
peggiore del male. Non già che intendiamo opporci alla più larga applicazione
delle leggi sulla naturalizzazione, e neppure alle eventuali nuove leggi che
presentassero facilitazioni maggiori. Ma noi non vediamo nell'atto officiale
della naturalizzazione, se non il battesimo del catecumeno, la ricognizione
cioè della completa assimilazione del nuovo cittadino».
Era tuttavia unanime l’opinione che si dovesse intervenire
con misure risolute « imperocché la questione si pone coi criteri della gravità
e della urgenza per effetto delle intense correnti emigratorie e immigratorie».
Alle difficoltà di natura non solo giuridica, Gazzetta
Ticinese faceva anche notare qualche difficoltà di ordine amministrativo e
pratico all’introduzione della naturalizzazione «obbligatoria» o «d’ufficio» a
causa del diverso grado di competenza e di interesse in materia dei Comuni, dei
Cantoni e della Confederazione. I Comuni, ad esempio, nel concedere o rifiutare
la naturalizzazione «non sono guidati da considerazione di alta politica
nazionale, ma più spesso da considerazioni fiscali, e ciò è naturale,
inquantoché i Comuni cercano nelle loro naturalizzazioni di evitare di far
entrare nei ranghi dei loro cittadini degli individui che un giorno potrebbero
cadere a carico dell’assistenza comunale».
L’osservazione non era senza fondamento. Un giornale
satirico aveva pubblicato nella primavera del 1914 una vignetta in cui era
raffigurata la signora «Helvetia» intenta a selezionare i richiedenti la
naturalizzazione non certo in maniera imparziale: preferiva gli stranieri ben dotati
economicamente e lasciava andare a mani vuote i propri cittadini bisognosi.
Il numero di naturalizzazioni è stato per un secolo piuttosto basso, salvo in alcuni anni, ad es. nel 1917-18, nel 1953 e nel 1978, per circostanze particolari |
Inforestierimento e naturalizzazione
Per capire l’approccio del problema della naturalizzazione
cento anni fa, basta ricordare che il rapporto del 30 maggio 1914 del Consiglio
federale non riguardava espressamente il problema delle naturalizzazioni, ma le
«misure da prendere contro l’inforestierimento», anzi «contro l’invasione della
Svizzera da parte degli stranieri».
Emerge chiaramente che non era tanto prevalente l’interesse
dei giovani stranieri alla naturalizzazione, quanto l’interesse dello Stato e
dell’opinione pubblica a ridurre il numero degli stranieri e il rischio
dell'inforestierimento. Questo spiega, forse, perché il tema della cittadinanza
è ancora oggi (più precisamente la settimana scorsa) molto contrastato e non si
ha il coraggio di dare una soluzione al problema di tanti giovani «stranieri»
per passaporto, ma «svizzeri» per nascita, formazione e integrazione.
Lo scoppio della prima guerra mondiale interruppe
momentaneamente la discussione parlamentare sugli stranieri e sulla naturalizzazione,
ma il tema dell’«inforestierimento» non venne mai abbandonato e gli furono
dedicati studi universitari, discussioni di giuristi, conferenze, giornate di
studio.
La discussione continua
Come accennato, la discussione è ancora in corso. Se dura da
cent’anni può proseguire per qualche tempo ancora, purché ci si renda conto
della necessità e dell’urgenza di trovare una soluzione giusta. Lo meritano i
numerosi stranieri naturalizzabili, integrati o integrabili, ma anche la
Svizzera come Paese proiettato in un sistema d’integrazione europea ormai
irrinunciabile e consapevole della propria storia e del proprio futuro.
Trovo pienamente condivisibile l’osservazione di un politico
luganese che, durante un dibattito pubblico a Lugano, invitava a riflettere che
«la crescita della nostra Patria, lo sviluppo della nostra Nazione, il costante
miglioramento del nostro tenore di vita, il benessere, il progresso e la
prosperità, ha potuto aver luogo non solo, ma anche grazie al contributo di
stranieri diventati successivamente nostri concittadini».
Giovanni Longu
Berna, 11.6.2014
Berna, 11.6.2014
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