Non voglio aggiungere un ennesimo commento all'incontro di avantieri
tra i capi delle due superpotenze Stati Uniti e Russia né tentare di indovinare
eventuali decisioni prese ieri all'incontro fra Trump e una delegazione europea,
ma desidero contribuire al dibattito che si è aperto sul futuro dell’Ucraina con
un paio di considerazioni, un auspicio e un rincrescimento. La prima considerazione è che l’incontro
Trump-Putin favorisce senz'altro la fine di una guerra che, secondo loro, non
avrebbe dovuto nemmeno iniziare. La seconda è che, a mio parere, bisogna
ripensare profondamente l’attuazione del «diritto internazionale» per evitare
il ripetersi anche in altre parti del mondo di quel che sta accadendo in
Europa. Infine un auspicio: che l’Ucraina orientale diventi regione modello di
autogoverno e di collaborazione transfrontaliera. Ritenendo le due
considerazioni inseparabili, comincio dalla seconda, probabilmente la più problematica.
Premesse
 |
Trump e Putin in Alasca ad Anchorage (15.8.2025) |
Da più parti si sperava che l’incontro Trump-Putin producesse
se non la fine del conflitto russo-ucraino con una «pace giusta» almeno un cessate
il fuoco o l’inizio di una tregua, quali condizioni per avviare vere e proprie trattative
di pace. Comprendo la delusione di molti cronisti, ma probabilmente
sottovalutavano che tra gli ostacoli da superare ce ne fosse uno di gran lunga
superiore agli altri, ossia il
nazionalismo di tipo ottocentesco di cui
sono vittime non solo la Russia e l’Ucraina, ma anche gran parte dei Paesi
occidentali, Stati Uniti in primis, schierati a sostegno dell’Ucraina.
La pace definitiva e duratura è ancora lontana perché da una
parte il nazionalismo russo ha dimostrato di essere resistente alle sanzioni imposte
alla Russia da un Occidente a volte spavaldo e sicuro di sé, altre volte
pauroso di essere invaso e deciso a riarmarsi, ma comunque troppo focalizzato
sulla guerra e, dall'altra, il nazionalismo ucraino è sostenuto
finanziariamente, militarmente e politicamente da parte di alcuni Paesi
occidentali, capaci di fornire all'Ucraina ogni tipo di sostegno, sebbene incapaci
di proporre serie alternative a una guerra disastrosa per tutti i belligeranti,
diretti e indiretti (cfr. https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2024/02/russia-ucraina-due-anni-abominevoli.html).
Se la via che porta alla pace è ancora lunga non dipende però solo da Putin e da Trump, ma anche da Zelensky, da alcuni leader dei Paesi
europei e dalle opinioni pubbliche degli stessi Paesi, che sfruttando
l’antinomia aggressore-aggredito s’immaginano una «pace giusta» solo eliminando
l’aggressore (considerato il male assoluto), senza mai tentare di precisare almeno
gli elementi principali che caratterizzerebbero secondo loro tale pace. Eppure uno sforzo di
verità sulle condizioni delle regioni orientali dell’Ucraina dall'anno
dell’indipendenza (1991) al 2014 sarebbe utile per comprendere i molteplici
interessi stranieri (non solo della Russia) su di esse, il sentimento di
frustrazione e di disagio dei russofoni del Donbass, la secessione e la guerra
civile, il progressivo deterioramento dei rapporti tra l’Ucraina e la Russia
alimentato anche da consistenti stimoli esterni e da un crescente sentimento
nazionalistico, l’intervento della Russia nel 2014 e nel 2022 e le condizioni
attuali per una pace possibile.
1. Il «diritto internazionale» va ripensato integralmente
In un precedente articolo di alcuni anni fa avevo cercato di
evidenziare che non basta riferirsi al capoverso 4 dell’articolo 2 dello
Statuto delle Nazioni Unite (ONU) per ricavarne una nozione di «sovranità»
accettabile se non da tutti almeno dalla maggioranza degli Stati membri
dell’ONU (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2022/11/pace-subito-tra-russia-e-ucraina.html).
È vero, infatti, che quel capoverso afferma chiaramente che «i Membri devono
astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della
forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di
qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle
Nazioni Unite», ma lo Statuto dell’ONU va letto e applicato integralmente,
anche nelle parti quasi mai citate, da cui è facile dedurre, per esempio, quali
siano e debbano essere le priorità dell’ONU.

La parte citata, infatti, non può costituire la base né
unica né essenziale del «diritto internazionale» e l’«integrità territoriale» non
può essere considerata il principale valore compatibile con i fini delle
Nazioni Unite, che restano «salvare le future generazioni dal flagello della
guerra» (Preambolo, lettera a) e «mantenere la pace…, sviluppare tra le nazioni
relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei
diritti e dell’autodecisione dei popoli, e prendere altre misure atte a
rafforzare la pace universale» (art. 1, cpv. 1 e 2). Al primo posto va visto dunque
il bene comune delle persone e dei popoli, non la tranquillità degli Stati.
Del resto, anche l’ONU per il suo Statuto s’ispira al
«diritto naturale» e in diversi articoli chiede ai suoi Membri di rispettare e
sviluppare i «diritti fondamentali dell’uomo», quali la dignità e il valore
della persona umana, l’«eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e
delle nazioni grande e piccole» (Preambolo), «il rispetto dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di
lingua o di religione» (art. 1, cpv. 3; art. 13, cpv. 2 lettera b, art. 55
lettera c), il diritto all’«autotutela individuale o collettiva» (art. 51), il
principio secondo cui gli interessi degli abitanti dei territori sono
preminenti (art. 55), l’obbligo degli Stati a «sviluppare l’autogoverno delle
popolazioni, di prendere in debita considerazione le aspirazioni politiche e di
assisterle nel progressivo sviluppo delle loro libere istituzioni politiche, in
armonia con le circostanze particolari di ogni territorio e delle sue
popolazioni, e del loro diverso grado di sviluppo» (art. 73 lettera b).
A questo punto appare evidente e urgente che l’ONU debba ripensare
integralmente il cosiddetto «diritto internazionale» o almeno ne fornisca
un’interpretazione autentica. La Costituzione italiana offre in
questo campo un buon esempio perché fa capire fin dal primo articolo cosa debba
intendersi per Stato «democratico» e «sovrano», quando afferma che l’Italia è una
Repubblica «democratica», il cui vero sovrano è il «popolo» (demos), perché
«la sovranità appartiene al
popolo», che
la esercita, ovviamente, non in modo arbitrario, ma conformemente alla
Costituzione. Senza una convergenza internazionale sul principio che la
sovranità appartiene primariamente al Popolo e
non allo Stato non credo che sia possibile trovare un’intesa tra Russia
e Ucraina sulla questione del Donbass.
2. Ripartire dagli accordi di Minsk
Tornando al caso specifico, ritengo lecito interrogarsi se
almeno nell'opinione pubblica internazionale i diritti delle persone (quelle
dei territori contesi) siano ritenuti dai vari Governi prioritari rispetto agli interessi degli
Stati e se sia lecito, almeno moralmente, sacrificare i primi per affermare i
secondi, specialmente quando questi sono viziati dal pregiudizio nazionalistico.
Nessuno dovrebbe ignorare che la guerra è sempre una «inutile strage» perché produce
innumerevoli morti e distruzioni e crea odio per diverse generazioni. E ognuno
dovrebbe interrogarsi se sia lecito chiedere ancora ai cittadini di uno Stato
di «morire per la patria», anche quando è sentita piuttosto come matrigna e
quando è possibile risolvere pacificamente le controversie internazionali.

Tra Russi e Ucraini le controversie non riguardavano gli
Stati ma le persone dell’Ucraina orientale. Esistevano da tempo, ma non si è
voluto risolverle pacificamente, lasciando che il malessere prendesse il
sopravvento e spingesse alcune popolazioni a proclamarsi indipendenti e
sovrane. Gli Accordi di Minsk erano un tentativo per risolvere le controversie
maggiori, ma non vennero mai rispettati, rendendo i problemi sempre più
complessi e di difficile soluzione.
Evidentemente una guerra d’invasione è una palese violazione
del diritto internazionale e non può avere giustificazioni; ma si può ben
comprendere che quando una popolazione si sente privata di diritti fondamentali
e si rende conto che non può avvalersi di principi validi per tutti, il senso
di discriminazione e di frustrazione può diventare intollerabile. Purtroppo lo
Statuto ONU non prevede sanzioni e nemmeno possibilità di sanzioni per chi
viola i diritti fondamentali dell’uomo e dei popoli all'interno dello Stato
Membro, ma per questo esistono gli accordi internazionali. Gli Accordi di Minsk
tendevano a garantire i diritti fondamentali della minoranza russofona nel
Donbass e per dare loro forza erano stati previsti anche Stati garanti della
loro applicazione (fra cui Francia e Germania), che non sono stati però
all'altezza del loro compito e per questo andrebbero denunciati nell'opinione
pubblica internazionale.
Purtroppo non è possibile riavvolgere il filo della storia, ma gli
Accordi di Minsk del 2014 e 2015 (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2022/11/pace-subito-tra-russia-e-ucraina.html)
possono ancora costituire un buon punto di partenza (come in un ideale Monopoli) per la ricerca di una
soluzione durevole e condivisa dei problemi umani e istituzionali dell’Ucraina
orientale. Alcuni punti potrebbero essere addirittura validi anche oggi, per
esempio, la creazione di una «zona di sicurezza» sotto la sorveglianza
dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) o di
altro organismo internazionale, libere elezioni nel Donbass, una profonda
riforma costituzionale in Ucraina con la decentralizzazione dei poteri, uno
statuto speciale per le regioni di Donetsk e Lugansk, il diritto
all’autodeterminazione linguistica, ecc.
E’ giusto che dopo il trattato di pace l’Ucraina pretenda
garanzie di sicurezza per i suoi confini, ma è altrettanto giusto che le stesse
garanzie siano offerte alla Russia, impedendo, per esempio, una ulteriore
estensione della NATO. A tutte le parti coinvolte in questo conflitto
bisognerebbe anche dire con forza e convinzione che è un errore, anzi una
deriva pericolosa investire ancora in armi sempre più sofisticate e micidiali,
perché sottraggono risorse allo sviluppo, alle buone relazioni tra le persone e
tra i popoli, alla protezione del pianeta, al miglioramento delle condizioni di
vita anche nei Paesi più prosperi e fanno aumentare l’insicurezza, l’odio, le
rivalità, le divisioni, la ripresa della «guerra fredda», magari con altri
protagonisti (la Cina non sta certo a guardare).
3. Un auspicio e un rincrescimento
Sono convinto che, grazie soprattutto alla stanchezza che la guerra ha
provocato in tutti i Paesi direttamente o indirettamente coinvolti, la pace tra
Russia e Ucraina si avvicini e comporterà specialmente in Ucraina un nuovo
assetto territoriale. Sarà inevitabile. Spero, tuttavia, che si tratti di una
situazione provvisoria, perché le regioni oggi contese potrebbero diventare un
simbolo non solo di rinascita economica (perché ricche di materie prime,
d’industrie e di terreni fertili), ma anche di pacificazione sostanziale tra
popolazioni prima ostili eppure fraterne, di tolleranza, di collaborazione, tra
persone e popoli, capaci di affrontare e superare insieme le difficoltà.
 |
Leader europei alla Casa Bianca (18.8.2025) |
Auspico davvero che l’intesa nel Donbass si realizzi presto, in una qualunque forma, e dia l’esempio di una collaborazione transfrontaliera possibile e utile, anche per far capire al mondo intero che la guerra è un arnese anacronistico da abolire, mentre è sempre possibile risolvere i problemi attraverso il dialogo, la conoscenza reciproca, la messa in comune delle risorse.
Se questo è il mio auspicio per le regioni del Donbass, il mio rincrescimento è che non vedo all'orizzonte nessun Adenauer, Schuman o De Gasperi in grado di prospettare e preparare un mondo, un continente, senza guerre, coeso e prospero. Dove sono i seguaci dei fondatori dell’Unione Europea? Mi rattrista la pochezza di tanti minuscoli governanti che pensano solo alla guerra camuffata da difesa armata, come se il nemico fosse lì pronto ad aggredirli come «Annibale alle porte» (Hannibal ante portas). Per salvarsi da un’ombra trovano e spendono miliardi, mentre non trovano nemmeno centesimi per salvare la pace e il pianeta sofferente. Non hanno idee! Che tristezza!
Giovanni Longu
Berna 19.8.2025