Dopo l’intervallo estivo ritorno a proporre ai lettori de
L’ECO alcuni anniversari significativi della nostra storia recente. 80 anni fa
terminava la seconda guerra mondiale e molti associano ancora oggi quella fine
soprattutto a tre nomi fissati indelebilmente nei libri di storia e, forse
ancora per poco, nella memoria collettiva: Auschwitz, Hiroshima e
Nagasaki. Il primo richiama i famigerati campi di sterminio nazisti, gli
altri due lo sterminio degli abitanti di due intere città perpetrato dagli
Stati Uniti d’America per far cessare la guerra col Giappone. L’idea stessa che
Auschwitz sia stato concepito come campo di «sterminio» è terrificante, ma non
lo è da meno, almeno per chi scrive, l’idea di far cessare la guerra
sacrificando deliberatamente oltre duecentomila cittadini innocenti. Mi sembra
giusto rievocare questi nomi perché, mentre si auspica da ogni parte che non si
ripetano mai più fatti tragici come quelli della seconda guerra mondiale, le
nostre società sembrano tollerare una terza guerra mondiale «a pezzi» (papa
Francesco nel 2014) e non abbia la forza morale d’imporre la pace in tutte le
situazioni controverse, per salvare vite umane, da preservare ad ogni costo.
Non dimenticare!
Auschwitz richiama inevitabilmente la Shoah, lo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, ma dovrebbe ricordare prima di tutto il comandamento primordiale «non uccidere», che vale in generale, per tutti. Non uccidere è sempre applicabile perché «la vita umana è sacra», «solo Dio è il Signore della vita» e «nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente», nemmeno lo Stato.
Le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki
sono un obbrobrio di cui non solo gli americani ma l’umanità intera dovrebbero
vergognarsi. Ogni «strage di innocenti» è ingiustificabile e non è necessario
essere cristiani per seguire l’indicazione di San Paolo ai Tessalonicesi: «Guardatevi
dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con
tutti» (1 Tessalonicesi 5-15).
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Hiroshima dopo la bomba |
Ma è possibile dimenticare
Auschwitz, Hiroshima, Nagasaki…? Purtroppo sembrerebbe di sì ed è un brutto
segno!
Diritto internazionale e
dignità umana
Quando molti osservatori, intellettuali,
analisti, politici, governi, capi di Stato riducono di fatto il «diritto
internazionale» alla difesa ad oltranza dell’«integrità territoriale» di uno
Stato, anche se comporta la morte di decine di migliaia di persone innocenti,
mi sorprende la facilità con cui sembrano dimenticare una parte importante del
«diritto internazionale» (che ha una fonte vincolante nella Carta costitutiva
delle Nazioni Unite), quella in cui si afferma solennemente che «Noi,
popoli delle Nazioni Unite» dichiariamo di essere decisi a «riaffermare
la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e
nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e
delle donne e delle nazioni grandi e piccole», a «praticare la
tolleranza e a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato»,
a «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul
principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli, e
prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale» (Statuto ONU).
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Nagasaki dopo la bomba. |
Tralascio, per esigenze di spazio,
anche il richiamo del «diritto internazionale umanitario» perché quanto detto
dovrebbe bastare, a mio parere, a farci vergognare come individui e come
società della tolleranza (o ignavia?) con cui vengono visti oggi in una parte
consistente dell’opinione pubblica i crimini di guerra, gli stermini, i
genocidi.
Tralascio anche, per la stessa ragione, come pseudo-giustificazione della nostra scarsa indignazione, la scusante di trovarci di fronte ad autocrati che fanno strame del diritto internazionale, perché nulla vieta che in un Paese libero si levino voci accorate di dissenso e di condanna non solo di chi vuole e pratica la guerra «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», ma anche chi non fa alcuno sforzo pacifico (usando soprattutto la diplomazia) per risolverle, ossia senza spargimento di sangue, magari con compromessi e rinunce dolorose pur di salvare vite umane.
«Nulla è perduto con la pace!»
Anche per questo merita ricordare l’ammonimento del papa Pio
XII allo scoppio della seconda guerra mondiale: «Nulla è perduto con la pace; tutto può essere perduto
con la guerra». Purtroppo non fu ascoltato e il disastro fu immane. Lo
stesso ammonimento fu ripetuto da papa Francesco e anche papa Leone XIV lo
ricorda in continuazione. Tocca a ciascuno di noi farne tesoro, altrimenti chi
ci salverà dalla terza guerra mondiale, non più «a pezzi», ma totale?
Giovanni Longu
Berna 15.09.2025
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