15 settembre 2025

1945: Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki, nomi da non dimenticare!

Dopo l’intervallo estivo ritorno a proporre ai lettori de L’ECO alcuni anniversari significativi della nostra storia recente. 80 anni fa terminava la seconda guerra mondiale e molti associano ancora oggi quella fine soprattutto a tre nomi fissati indelebilmente nei libri di storia e, forse ancora per poco, nella memoria collettiva: Auschwitz, Hiroshima e Nagasaki. Il primo richiama i famigerati campi di sterminio nazisti, gli altri due lo sterminio degli abitanti di due intere città perpetrato dagli Stati Uniti d’America per far cessare la guerra col Giappone. L’idea stessa che Auschwitz sia stato concepito come campo di «sterminio» è terrificante, ma non lo è da meno, almeno per chi scrive, l’idea di far cessare la guerra sacrificando deliberatamente oltre duecentomila cittadini innocenti. Mi sembra giusto rievocare questi nomi perché, mentre si auspica da ogni parte che non si ripetano mai più fatti tragici come quelli della seconda guerra mondiale, le nostre società sembrano tollerare una terza guerra mondiale «a pezzi» (papa Francesco nel 2014) e non abbia la forza morale d’imporre la pace in tutte le situazioni controverse, per salvare vite umane, da preservare ad ogni costo.

Non dimenticare!

La guerra, anche quella cosiddetta «giusta» o per legittima difesa (l’unica forma di conflitto armato previsto dal diritto internazionale sancito dall'Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite: «Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite…») è sempre disumana, soprattutto quando viola la pace internazionale, perché contraria alla dignità della persona, che è un «assoluto», cioè non condizionabile. Spesso, invece, quando si pretende di fissare una gerarchia di valori, si mette al primo posto il bene dello Stato o, più modernamente, la sovranità dello Stato e non il bene dei cittadini, il bene comune. In certi inni nazionali si chiede al cittadino adulto persino di essere pronto alla morte, se chiamato a difendere la patria con le armi (anche la Svizzera nel suo vecchio inno nazionale Ci chiami o Patria prevedeva che per difendere la Patria «Ti farem argine / Coi petti intrepidi / Anzi che cedere / Morrem per te». Nell'inno attuale o Salmo svizzero questa disponibilità al sacrificio totale non c’è più).

Auschwitz richiama inevitabilmente la Shoah, lo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, ma dovrebbe ricordare prima di tutto il comandamento primordiale «non uccidere», che vale in generale, per tutti. Non uccidere è sempre applicabile perché «la vita umana è sacra», «solo Dio è il Signore della vita» e «nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente», nemmeno lo Stato.

Le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki sono un obbrobrio di cui non solo gli americani ma l’umanità intera dovrebbero vergognarsi. Ogni «strage di innocenti» è ingiustificabile e non è necessario essere cristiani per seguire l’indicazione di San Paolo ai Tessalonicesi: «Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti» (1 Tessalonicesi 5-15).

Hiroshima dopo la bomba
Eppure, di fronte ai massacri, di cui si ha notizia ogni giorno, l’indignazione generale è tiepida, come se in fondo si riconoscesse come valida ancora oggi, persino quando risulta vistosamente peggiorata (!), la legge del taglione («occhio per occhio, dente per dente») presente nell’antico codice di Hammurabi risalente al XVIII secolo a.C.

Ma è possibile dimenticare Auschwitz, Hiroshima, Nagasaki…? Purtroppo sembrerebbe di sì ed è un brutto segno!

Diritto internazionale e dignità umana

Quando molti osservatori, intellettuali, analisti, politici, governi, capi di Stato riducono di fatto il «diritto internazionale» alla difesa ad oltranza dell’«integrità territoriale» di uno Stato, anche se comporta la morte di decine di migliaia di persone innocenti, mi sorprende la facilità con cui sembrano dimenticare una parte importante del «diritto internazionale» (che ha una fonte vincolante nella Carta costitutiva delle Nazioni Unite), quella in cui si afferma solennemente che «Noi, popoli delle Nazioni Unite» dichiariamo di essere decisi a «riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole», a «praticare la tolleranza e a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato», a «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale» (Statuto ONU).

Nagasaki dopo la bomba.

Tralascio, per esigenze di spazio, anche il richiamo del «diritto internazionale umanitario» perché quanto detto dovrebbe bastare, a mio parere, a farci vergognare come individui e come società della tolleranza (o ignavia?) con cui vengono visti oggi in una parte consistente dell’opinione pubblica i crimini di guerra, gli stermini, i genocidi.

Tralascio anche, per la stessa ragione, come pseudo-giustificazione della nostra scarsa indignazione, la scusante di trovarci di fronte ad autocrati che fanno strame del diritto internazionale, perché nulla vieta che in un Paese libero si levino voci accorate di dissenso e di condanna non solo di chi vuole e pratica la guerra «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», ma anche chi non fa alcuno sforzo pacifico (usando soprattutto la diplomazia) per risolverle, ossia senza spargimento di sangue, magari con compromessi e rinunce dolorose pur di salvare vite umane. 

«Nulla è perduto con la pace!»

La pace, infatti, non va vista come una resa di fronte a un nemico (militarmente) più forte, ma come una forma di «salvezza della vita», di tante vite umane che sarebbe indegno sacrificare sull’altare dell’amor patrio. «La pace è possibile, diceva papa Francesco, se veramente voluta». Se oggi si preferisce, specialmente in Europa, parlare di riarmo piuttosto che attivarsi per «preparare la pace», è un segnale di debolezza di cui tutti gli europei dovrebbero preoccuparsi. Ma forse non se ne ha la consapevolezza!

Anche per questo merita ricordare l’ammonimento del papa Pio XII allo scoppio della seconda guerra mondiale: «Nulla è perduto con la pace; tutto può essere perduto con la guerra». Purtroppo non fu ascoltato e il disastro fu immane. Lo stesso ammonimento fu ripetuto da papa Francesco e anche papa Leone XIV lo ricorda in continuazione. Tocca a ciascuno di noi farne tesoro, altrimenti chi ci salverà dalla terza guerra mondiale, non più «a pezzi», ma totale?
Giovanni Longu
Berna 15.09.2025


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