In Svizzera le reazioni negative all'esito della votazione del 9 febbraio 2014, che ha approvato la limitazione dell’immigrazione di massa, lentamente si stemperano. Nessuno crede più che si sia trattato di una disfatta per la Svizzera e che non ci siano vie d’uscita. Persino in Europa nessuno fa più la voce grossa, anzi si levano voci autorevoli, a cominciare dalla Merkel, che lasciano intravedere possibili soluzioni. Certo, anche i vincitori della votazione si rendono conto che i rapporti con l’Unione Europea (UE) non saranno più gli stessi, ma si dimostrano nonostante tutto ottimisti.
I più ottimisti sono ovviamente i vincitori della
consultazione popolare, l’Unione democratica di centro (UDC) e la Lega dei
Ticinesi. Entrambe le organizzazioni si rendono conto che i prossimi negoziati
con l’Europa e con l’Italia saranno tutt’altro che facili, ma sanno di potersi
battere col sostegno del voto popolare, risicato a livello nazionale, molto
ampio in Ticino.
Svizzeri decisi e ottimisti
L’UDC, per bocca soprattutto dello storico tribuno Christopf
Blocher, pur ritenendo che la partita con l’UE sarà difficile, ritiene
persino che alla fine la Svizzera potrebbe ritrovarsi più forte come accadde
nel 1992, quando venne respinto l’accordo sullo Spazio economico europeo. Con
la votazione del 9 febbraio, ritiene Blocher, la Svizzera si è riappropriata
della propria sovranità, sottraendosi a quel «rapporto di tipo coloniale
con l’UE», che subiva da tempo anche per la debolezza della classe politica
svizzera al riguardo. Bruxelles deve ora prenderne atto e riprendere i
negoziati.
E’ opinione diffusa che tra la Svizzera e l’Europa, appena
saranno archiviate le reazioni a caldo (e soprattutto dopo le elezioni
europee di maggio), riprenderà il dialogo perché tanti sono gli interessi
comuni: oltre alla libera circolazione, la ricerca, il programma di scambi
universitari Erasmus, il mercato dell’energia, il sistema dei trasporti
transalpini, ecc. D’altra parte nessuno dà per scontato che la via degli
accordi bilaterali sia esaurita.
Difficoltà con l’Italia
Anche con l’Italia, il dialogo dovrebbe riprendere quanto
prima, ma non sarà facile trovare nuovi accordi accettabili da entrambe le
parti, almeno in tempi brevi, come forse s’illudevano il ministro Saccomanni
e lo stesso capo del governo Enrico Letta pochi mesi fa.
La speranza di un accordo con Berna «entro maggio», appare
irrealistico. A meno che il nuovo governo italiano non imprima alla trattativa
una forte accelerazione e si riesca a concludere almeno l’accordo sulla
fiscalità entro maggio, quando è prevista la visita di Stato in Svizzera del
presidente Giorgio Napolitano.
L’accordo sulla fiscalità, in effetti, sembra essere
ormai a portata di mano, perché la Svizzera è disposta ad abbandonare il
modello Rubik e ad accettare lo scambio automatico delle informazioni. Restano
tuttavia numerosi dettagli, alcuni non di poco conto, che devono essere ancora
regolati. La Svizzera chiede, ad esempio, di essere cancellata dalle «liste
nere» italiane, dove figurano i Paesi ritenuti «canaglia» in ambito fiscale (i
cosiddetti «paradisi fiscali») e la garanzia di poter partecipare al mercato
finanziario italiano. Inoltre, non è ancora ben chiaro se il trattamento
fiscale delle persone e delle imprese italiane con conti in Svizzera sarà o
meno discriminatorio rispetto a persone e imprese con capitali nei Paesi
dell’UE.
Il problema dei frontalieri
Le difficoltà maggiori nella trattativa con l’Italia non
riguardano tanto il negoziato sulla fiscalità, quanto gli altri accordi in
discussione, soprattutto quello sui frontalieri. La Lega dei Ticinesi, forte
del consenso ottenuto in Ticino dal fronte dei sì all'iniziativa sulle
limitazioni dell’immigrazione di massa (quasi il 70%), insiste perché si metta mano
in tempi brevi alla trattativa, per chiudere definitivamente il contenzioso.
E’ probabile che questa volta l’attivismo dei ticinesi la
spunti sul presunto immobilismo di Berna, che probabilmente ha sottovalutato la
questione dei frontalieri. Oltretutto oggi la classe politica ticinese è
compatta nel chiedere a Berna d’intervenire su Roma e di disdire l’accordo
sui frontalieri del 1974 (anche se proprio ieri il Consiglio federale, per bocca della ministra delle finanze Widmer-Schlumpf, ha fatto sapere che intende migliorarlo ma non disdirlo). Si è parlato persino di bloccare i ristorni fiscali
dei frontalieri all’Italia (ma il Consiglio federale si è detto contrario), di aumentare le imposte dei frontalieri, di intervenire
subito sugli autonomi italiani, i cosiddetti «padroncini», di controllare
meglio i flussi dei frontalieri, almeno fino a quando la crisi occupazionale
italiana non si affievolirà, ecc.
A questo punto è difficile prevedere la conclusione dei vari
negoziati, ma una cosa è certa: gli scambi tra l’Italia e la Svizzera (specialmente
il Ticino) non cesseranno mai, anzi sono destinati a crescere. Basti pensare all’interscambio
tra i due Paesi, ai trasporti, ai rapporti culturali, all’Expo 2015 di Milano,
alla forte presenza italiana in Svizzera. Tanto varrebbe che il dialogo riprendesse immediatamente perché la soluzione
dei problemi appare indispensabile e urgente.
Giovanni Longu
Berna, 26.02.2014
Berna, 26.02.2014
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