L’Accordo di emigrazione tra la Svizzera e l’Italia del 1964 comportava indubbi miglioramenti delle condizioni di lavoro e di vita degli italiani immigrati in Svizzera. Si trattava, tuttavia non di un cedimento alle richieste italiane, come interpretava la destra xenofoba, ma di rimedi ragionevoli a una situazione divenuta intollerabile. Erano anche rimedi vantaggiosi non solo per i diretti interessati, ma anche per la Svizzera nell’ottica di una politica estera aperta all’Europa e nella prospettiva molto realistica di un fabbisogno duraturo di manodopera estera.
La buona politica contro la xenofobia
Il dibattito al Consiglio nazionale della primavera del 1965
sulla ratifica dell’Accordo italo-svizzero era stato preceduto da una campagna
antistranieri molto aggressiva. Nel periodo natalizio del 1964 la città di
Zurigo, roccaforte della destra xenofoba, era stata inondata da opuscoli rossi
e verdi, ingiuriosi nei confronti soprattutto degli italiani. I più scalmanati
pretendevano che «l’infiltrazione straniera» venisse fermata in ogni modo
perché «la loro invasione appare nociva e pericolosa come quella delle
cavallette», «significa tradimento all'avvenire dei nostri figli e all'eredità
spirituale tramandataci dai nostri padri».
Mentre al Consiglio degli Stati la discussione si era svolta
in maniera spedita e oggettiva, tanto è vero che si concluse con l’approvazione
dell’Accordo all’unanimità, al Consiglio nazionale durò a lungo, con sedute
anche notturne, e con una vivacità di toni piuttosto inusuale.
Ben 64 deputati chiesero di intervenire. Più che di un
sereno dibattito sui pro e contro la ratifica dell’Accordo si trattò
soprattutto di vere e proprie arringhe pro o contro la politica del governo in
materia di immigrati. Pesava enormemente l’aria antistranieri e antitaliana che
si respirava fuori dell’aula. Alla fine l’Accordo
fu approvato a larga maggioranza con 117 voti a favore e 26 contrari.
Curare l’amicizia con l’Italia
A guidare la maggioranza c’erano due deputati destinati in
seguito a posti di grande responsabilità nel Consiglio federale, Kurt
Furgler e Nello Celio. Di questa maggioranza faceva parte anche un
altro deputato ticinese, Enrico Franzoni, del Partito popolare
democratico. In un suo appassionato intervento fece valere, contro la
valutazione negativa di una miope xenofobia, le buone ragioni di un’immediata
ratifica: perché conformi «alle nostre
tradizioni in politica estera, alla nostra dignità, ai rapporti di amicizia e
di buon vicinato che abbiamo sempre avuto con l'Italia». Inoltre, ricordò che i
miglioramenti previsti dall’accordo a favore dei «lavoratori che noi abbiamo
voluto avere e che hanno collaborato in misura notevole allo sviluppo
dell'economia svizzera» erano del tutto conformi «alla nostra concezione
giuridica e morale della persona e della famiglia».
Franzoni aggiunse anche
una considerazione che conserva tutta la sua attualità ancor oggi: «Ricordiamo
infine che in quest'Europa, che sotto una forma o l'altra tende all'unificazione,
abbiamo bisogno di amici, e Dio solo sa quanti amici e quanta simpatia abbiamo
perso in questi ultimi anni in Europa». Un concetto evocato anche da altri e soprattutto
dal consigliere federale Hans Schaffner che invitava ad aver cura
della tradizionale amicizia con l’Italia, tenendo conto che «anche nella
nuova Europa avremo bisogno di amici!».
Celio e la politica migratoria
La sede del CISAP di Berna nel 1972 |
Quando l’anno seguente
(1966) Celio venne eletto al Consiglio federale, anche se non gli toccò un
dipartimento direttamente coinvolto con la politica migratoria, partecipò ugualmente
all’elaborazione di una nuova politica migratoria. Si trattava non solo di
arginare il movimento antistranieri dell’Azione Nazionale di James
Schwarzenbach, ma anche di adottare misure idonee per favorire l’«assimilazione»
(non si parlava ancora di «integrazione») e l’eventuale naturalizzazione degli
stranieri.
Celio era infatti convinto non solo che si dovesse contrastare con fermezza
i movimenti xenofobi che minavano i veri valori della Svizzera, ma che occorressero
anche nuove proposte e nuove visioni. A distanza di quasi mezzo secolo,
i recenti dibattiti in materia di politica migratoria, d’integrazione e di
naturalizzazione rivelano quanto Nello Celio fosse non solo un uomo del suo
tempo ma anche un precursore.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera
(novembre 1969) dichiarò, con la franchezza che caratterizzava tutti i suoi
interventi: «Io combatto con tutti i mezzi leciti l’iniziativa di
Schwarzenbach che non si difende né sul piano umano, né tecnico, né politico.
E’ un grosso errore. Moralmente è anche un insulto agli svizzeri. Operazioni di
questa natura sono assolutamente inconcepibili. La Svizzera ha sempre avuto
un’alta percentuale di stranieri e non per questo ha mutato il suo carattere. I
naturalizzati del passato sono oggi perfetti cittadini elvetici… Io non avrei
la più piccola esitazione ad inserire la seconda generazione di immigrati nella
compagine svizzera. Certo una politica di assimilazione più vasta dev’essere
fatta».
IL punto di partenza e le conseguenze
Il ragionamento era tutto
sommato semplice, ma non banale. Il punto di partenza, per Celio, era la
convinzione che
l’immigrazione, sia pure regolamentata, fosse una condizione
permanente per la Svizzera, perché «la nostra economia per sopravvivere (…) dovrà
sempre far ricorso a quelle braccia di cui non dispone».
Il Presidente Celio mentre s'informa sulle
attività del CISAP a favore degli immigrati. Gliele illustra Piera Caponio, segretaria del Centro, nel corso di un'intervista (4.5.1972) |
Non si trattava per lui di un impegno generico o di un
dovere formale imposto dalla carica che ricopriva in seno al Consiglio federale,
ma di una profonda convinzione, che nasceva dall’idea stessa dello Stato e del
bene comune. Pur essendo un uomo dell’economia, riconoscerà molti anni dopo il politico
socialista Helmut Hubacher, Celio «dava la precedenza al bene comune e
sapeva indicare la rotta con autorità e chiarezza». Per il bene comune della
Svizzera, secondo Celio, anche una buona politica nei confronti degli stranieri
era importante.
L’amore per il Paese e l’amore per il prossimo
E una buona politica doveva cominciare dal rispetto, anzi
dall’amore per il prossimo, come sottolineò già da semplice deputato a
conclusione del suo intervento al Consiglio nazionale nella primavera del 1965:
«Guardiamoci
dal trattare questo problema [dell’immigrazione] alla luce di un falso
patriottismo, di un egoismo sordo che guarda solo ai facili consensi della
piazza. L'amore per il paese, per le sue particolarità peculiari, per il suo
volto, non deve farci dimenticare l'amore per il prossimo, e neppure ignorare
che anche l'economia, il benessere, il lavoro sono un elemento di conservazione
di taluni ideali che solo una vita socialmente progredita può garantire».
Il Presidente Celio in visita al CISAP (1972) |
Una
visita «non protocollare»
Quanto Celio
fosse attento ai problemi dei lavoratori immigrati e fosse sincero nelle sue
esternazioni al riguardo lo testimoniò anche una sua visita a un centro di
formazione professionale per emigrati, il CISAP di Berna, il 3
novembre 1972. Per l’istituzione, per il personaggio, per la circostanza (l’inaugurazione
di un moderno laboratorio linguistico elettronico), per il messaggio lanciato,
quel giorno segnò una data storica non solo per il CISAP, ma anche per l’immigrazione
italiana in Svizzera. E’ probabile che sia rimasto memorabile anche per Nello
Celio.
Anzitutto
merita ricordare il saluto di benvenuto dell’Ambasciatore d’Italia Adalberto
Figarolo di Gropello, che ringraziò l’illustre ospite perché «molti
problemi dell’emigrazione sono stati risolti grazie al suo personale
intervento».
Dopo aver
visitato i vari reparti del centro sotto la guida del direttore Giorgio
Cenni ed aver inaugurato il laboratorio linguistico, il presidente Celio manifestò
tutta la sua ammirazione per quanto aveva appena visto. «Devo dire che qui
si vedono cose meravigliose e vorrei rendere a tutti coloro che partecipano e
che contribuiscono a queste iniziativa l'omaggio del Consiglio
Federale. Si vedono cose meravigliose perché si vede innanzitutto della gente
che dopo le ore di lavoro si dedica ancora allo studio, alla pratica,
all'apprendimento di un mestiere, perché in ognuno di noi, o almeno in molti di
noi è sempre viva la volontà di salire nella vita, di essere qualcosa di più di
quanto non si è stati, e soprattutto di guardare ad un avvenire migliore...».
Celio prova il nuovo laboratorio linguistico del CISAP |
Anche per queste testimonianze e per la sua coerenza Nello
Celio, a cent’anni dalla nascita, merita di essere ricordato.
Giovanni Longu
Berna, 19.02.2014
Berna, 19.02.2014
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