14 febbraio 2012

L’italianità in Consiglio federale

(Corriere del Ticino, 14.02.2012)
Da qualche anno si parla sempre più spesso, soprattutto in Ticino, della proposta di portare da 7 a 9 i membri del Consiglio federale. In questo modo si spera che la Svizzera italiana (e il Ticino) vi possa essere più facilmente rappresentata. Se n’è riparlato anche qualche giorno fa tra l’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio e i parlamentari ticinesi a Berna. Un segnale importante della volontà politica dei rappresentanti della Svizzera italiana di insistere fino al raggiungimento dello scopo, più che legittimo.

Vorrei tuttavia fare osservare che per avvalorare tale richiesta non conviene far troppo conto sulla ripartizione territoriale della Svizzera operata dall’Ufficio federale di statistica una dozzina di anni fa. Le Grandi Regioni a cui si è fatto riferimento nella recente discussione (cfr. CdT del 10.2.2012) sono infatti solo sette (e non nove), una delle quali, il Ticino, non copre nemmeno l’intera area della «Svizzera italiana». Inoltre le 7 Grandi Regioni vennero create unicamente a scopi statistici per disporre di territori d’analisi comparabili a quelli delle unità territoriali (NUTS 2) della classificazione europea.
Per riuscire nella sacrosanta rivendicazione sarebbe preferibile, a mio modo di vedere, riferirsi piuttosto al carattere multilingue e multiculturale della Svizzera e alla necessità di conservare e anzi valorizzare la terza radice fondamentale della Svizzera, l’italianità, in nome della quale vennero eletti finora in Consiglio federale tutti gli italofoni da Stefano Franscini a Flavio Cotti. Non è sicuramente nell’interesse della Svizzera che questa componente venga sacrificata e nemmeno trascurata ormai da troppo tempo.

Riportare l’italianità in seno al Consiglio federale dovrebbe essere l’impegno di tutti.

Giovanni Longu
Berna, 10.02.2012

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