20 aprile 2013

Auguri Presidente!


E solo da poche ore [l’articolo è stato scritto sabato scorso 20 aprile nel tardo pomeriggio, ndr] che Giorgio Napolitano, al termine del sesto scrutinio, è stato rieletto Presidente della Repubblica Italiana. Con la sua brillante rielezione è finito un incubo per l’Italia, ma le ore e i giorni che l’hanno preceduta non si potranno facilmente dimenticare, anche perché l’immediato futuro non sembra molto rassicurante. Basti pensare che all'interno di una consistente forza politica che non ha votato Napolitano si è gridato nientemeno che al «golpe», al «colpo di Stato».

Bisogna dare atto a Napolitano del suo alto senso delle istituzioni e anche del coraggio ad accettare le incognite di un altro settennato, non solo a causa dell’età (quasi 88 anni) ma anche e forse soprattutto a causa della complessa (per usare un eufemismo) situazione parlamentare italiana. Le difficoltà oggettive a formare un nuovo governo e le spaccature registrate nel maggior partito in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica dimostrano quanto l’Italia sia divenuta difficilmente governabile. Solo un Capo dello Stato dell’autorevolezza e del prestigio nazionale e internazionale di Giorgio Napolitano potrà riuscire a imporre un «governo del presidente» in grado di far uscire l’Italia dal pantano. Al neopresidente Napolitano dunque GRAZIE e BUON LAVORO!

L’unità nazionale anzitutto
Sia ben chiaro, il Presidente della Repubblica Italiana non ha gli stessi poteri del capo di una Repubblica presidenziale, ma ne ha sicuramente molti a cominciare dalla nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri. Mi auguro che li eserciti tutti con la consapevolezza che al punto in cui ha portato l’Italia una politica disorientata e miope, ogni sua decisione per far uscire il Paese dalla palude sarà considerata «saggia» e appropriata dagli italiani.
Il Presidente Napolitano, durante il suo primo settennato, fin dal suo giuramento d’insediamento ha dimostrato di essere «super partes» conformemente ai dettami della Costituzione e in particolare dell’articolo 87, il quale afferma che «il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale». Ebbene, proprio alla luce di questa sua funzione, mi auguro che sappia scegliere un capo di governo in grado di svolgere anche lui un’attività di governo assolutamente «super partes», finalizzata a risolvere gli urgenti bisogni del Paese per il bene di tutti.
Il Presidente della Repubblica è anche il «primo cittadino». E’ un titolo che Napolitano ha già ben meritato. Mi auguro che continui ad esserlo nella percezione e nella stima degli italiani, che vogliono vedere in lui un esempio e punto di riferimento sicuro. Mi auguro che lo sia anche per il prossimo governo quando dovrà cercare, almeno stavolta nella buona politica e nel dialogo parlamentare, di superare i conflitti ideologici e partitici di cui hanno dato purtroppo un’ulteriore prova proprio in questa occasione i vecchi e nuovi partiti solo apparentemente rispettosi della volontà popolare, spesso tradendola vistosamente.
La situazione grave in cui si trova oggi l’Italia sotto il profilo politico, economico e sociale dovrebbe interpellare la coscienza di tutti gli eletti affinché le contrapposizioni tradizionali, spesso ostili e dannose, anche tra maggioranza e opposizione, cedano il posto a una disinteressata collaborazione per il bene comune. Questo significa soprattutto approvare misure urgenti per fare uscire il Paese dalla crisi e rilanciare lo sviluppo, ma non solo.
I suggerimenti che lo stesso Napolitano ha richiesto al gruppo dei «Saggi» sono ottime indicazioni che governo e parlamento devono esaminare e tradurre nella pratica. Questo esame deve avvenire seriamente e tempestivamente. E’ auspicabile che lo stesso Presidente vigili e ne chieda conto, pur nel rispetto delle prerogative del governo e del parlamento.

Urgente riforma della politica
Vorrei anche che il Presidente della Repubblica si facesse promotore, usando pienamente i suoi poteri costituzionali, di una riforma dello Stato che ci eviti la prossima volta di assistere ad aborti così dolorosi come quelli a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi e che preveda, magari, l’elezione popolare del Capo dello Stato, in modo da consentire la formazione di governi autorevoli, ampiamente sostenuti e durevoli.
Credo comunque che per raggiungere obiettivi sostenibili e innovativi per l’Italia occorra anche metter mano a una seria e chiara regolamentazione dei partiti politici. Da aggregazioni di visioni e opinioni sono divenuti centrali di potere invasive in tutti i gangli vitali della nazione. Non si tratta di mettere in dubbio il diritto sancito dalla Costituzione secondo cui «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49).
Si tratta di disciplinare l’organizzazione, il finanziamento, la trasparenza e soprattutto il campo d’attività, in modo da evitare in futuro non solo le degenerazioni dei partiti, ma anche quelle dei movimenti ispirati dall'antipolitica. Ma son sicuro che il Presidente Napolitano non abbia bisogno di consigli. Ne ha ricevuti abbastanza, non da ultimo dai «Saggi».
Dunque, buon lavoro, Presidente, e tanti auguri!
Giovanni Longu
Berna, 20.04.2013

17 aprile 2013

Rapporti italo-svizzeri: effetti della crisi italiana in Ticino

I rapporti italo-svizzeri risentono della difficile situazione politica ed economica che sta attraversando l’Italia. Se fino alla vigilia delle elezioni l’attenzione dei media svizzeri era concentrata sul contenzioso fiscale (l’esito delle discussioni sul modello Rubik) e sulle questioni relative ai frontalieri, oggi questi temi non fanno più notizia, come se non esistessero.

Tema Rubik
Il tema Rubik è rimasto attuale fino al momento delle elezioni, quando Berlusconi cercò di sfruttarlo a fini elettorali, lasciando intendere che in caso di vittoria avrebbe abolito l’IMU e restituito ai cittadini quanto già pagato sulla prima casa. A chi gli obiettava che non c’erano i soldi per farlo rispondeva che li avrebbe trovati in Svizzera concludendo a tempo a di record l’accordo Rubik già in fase di trattativa avanzata. A gelare tanto ottimismo era intervenuta la stessa ministra delle finanze Widmer-Schlumpf, affermando che non ci sarebbe stato alcun accordo pronto per la ratifica prima del 2015!
Da settimane ormai non se ne parla più, anche perché Berlusconi non ha vinto e per gli altri antagonisti, che pure non hanno vinto, il tema non figura nell'agenda delle priorità per l’Italia, anche se l’invito a riprendere i negoziati con la Svizzera è stato avanzato dai «Saggi» nella relazione finale consegnata al Presidente Napolitano. In assenza di un governo con cui dialogare e giungere a una conclusione, gli incontri bilaterali sull’argomento sembrano interrotti e il ritardo che si sta accumulando lascia intravedere un finale con un nulla di fatto, nel senso che all’Italia resterà ben poco da rivendicare.
La Svizzera si sta infatti avvicinando a grandi passi, sotto la pressione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, all’abbandono del segreto bancario e all'accettazione di una forma di scambio automatico dei dati in materia fiscale, per cui ben presto non risulteranno più in Svizzera né depositi illegali né evasori fiscali stranieri.
Chi sa di rischiare multe salate avrà tutto il tempo per trasferire dalla Svizzera in altri paradisi fiscali i capitali depositati in nero. Eppure un accordo e la possibilità di recuperare parecchi miliardi erano a portata di mano dell’Italia già dai tempi in cui dirigeva le finanze il ministro Tremonti.

Tema frontalieri
Il tema dei frontalieri italiani (ossia coloro che per molti ticinesi «portano via il lavoro agli svizzeri») non è più anch’esso di attualità, non solo perché la Svizzera in questo momento non ha più un interlocutore sicuro, ma anche perché nell’ultimo trimestre dell’anno scorso il loro numero è diminuito sia pure di poche centinaia. Alla fine del 2012 il loro numero aveva comunque raggiunto quota 55.554, ossia 3086 in più dell’anno precedente.
La polemica sui frontalieri italiani sta rientrando anche perché gli stessi ticinesi si stanno accorgendo che semmai la contestazione non andrebbe fatta nei loro confronti, ma degli imprenditori svizzeri che li assumono. Inoltre è risaputo che i frontalieri occupano generalmente posti che i ticinesi hanno abbandonato e non intendono riprendere.
Molti osservatori si rendono anche conto che finché i frontalieri aumentano vuol dire che il lavoro (e quindi il benessere) non diminuisce, anche se l’occupazione può subire delle variazioni da un ramo all’altro e da un trimestre all’altro. In Ticino, ad esempio, mentre l’edilizia continua a creare occupazione, il settore manifatturiero ne perde e il terziario è abbastanza stabile.

Altri temi
Ovviamente per i media svizzeri i rapporti italo-svizzeri non sono limitati ai due temi sopracitati. Basti pensare ai trasporti, alla collaborazione transfrontaliera, all’avvicinarsi dell’Expo 2015, agli scambi commerciali, ecc. Ma oggi è soprattutto la situazione generale italiana che interessa, ben sapendo che uno sbocco della crisi in un senso o in un altro non potrà essere considerato indifferente da un Paese confinante che con l’Italia ha un fitto sistema di relazioni fondamentali. Di fatto alla crisi italiana la stampa svizzera dedica pagine intere e ne segue costantemente e con qualche apprensione gli sviluppi.
Al di là della legittima curiosità di vedere come e quando le forze politiche italiane decideranno di dar vita al prossimo governo, gli svizzeri sono interessati a capire soprattutto se sarà un governo transitorio o stabile, in grado di affrontare tutti i temi bilaterali sul tappeto. Purtroppo i vari commentatori sono molto scettici al riguardo e mettono in conto la probabilità che l’Italia torni presto a votare.
Ci sono tuttavia anche osservatori meno pessimisti e sono convinti, alla luce di una lunga tradizione che vede l’Italia «cavarsela» anche in situazioni peggiori, che anche stavolta saprà ritirarsi in tempo dal precipizio e agganciare, magari con un po’ di ritardo, la ripresa europea che si preannuncia prossima.

Euroscetticismo italiano
La Svizzera è anche interessata a sapere quanto davvero l’Italia stia diventando euroscettica, visto che la principale forza politica europeista guidata da Mario Monti non è stata premiata dagli elettori. E non è affatto chiaro quanto o quale europeismo sia (rimasto) nelle altre forze rappresentate in parlamento, a cominciare dal Movimento 5 Stelle, visto che la politica di austerità imposta dall’Europa non sembra andar bene a nessuno.
Non c’è dubbio che alla Svizzera interessi la stabilità dell’euro e che l’Eurozona non segua la voglia di svalutazione presente negli Stati Uniti e nel Giappone. E’ risaputo che uno dei motori principali dell’economia svizzera è l’esportazione e un euro debole non la favorirebbe. Ma alla Svizzera interessa anche poter contare su Paesi amici nei rapporti non sempre facili con l’Unione Europea.
Oltre alle conseguenze della crisi italiana già accennate, meritano attenzione alcune ripercussioni dirette sul Ticino.

Emigrazione di imprese…
E’ noto (perché i media italiani lo ricordano in continuazione) che le piccole e medie imprese rischiano di morire da un giorno all’altro per mancanza di liquidità e soprattutto per il drastico calo della domanda interna. Riescono a sopravvivere, talvolta bene, quelle imprese orientate all’esportazione dei loro prodotti (il made in Italy è ancora forte) e quelle che dislocano nei Paesi vicini, tra i quali la Svizzera.
Poco più di un mese fa, un quotidiano ticinese descriveva la situazione in questi termini: «un’economia [quella ticinese] presa d’assalto (…). Il Ticino continua ad essere terra di conquista per le ditte che provengono da oltre confine. Seguita infatti ad espandersi il numero dei lavoratori distaccati e degli indipendenti: da 11.295 nel 2011 si è passati a 15.653 lavoratori distaccati nel 2012, pari ad un aumento del 38,6%. Crescono ancora di più i cosiddetti padroncini, con un incremento del 52,9% (da 4.888 nel 2011 a 7.472 nel 2012). Il trend è al rialzo anche quest’anno» (Corriere del Ticino).
E’ di qualche giorno fa la notizia riportata dal portale informatico del Ticino che «a seguito della situazione politica poco chiara dell’Italia e a una politica fiscale piuttosto dura attuata dal presidente del consiglio uscente Mario Monti, molto aziende italiane si sono trasferite in Ticino (…). Nel primo trimestre 2013, il nostro Cantone é stato caratterizzato da un moderato aumento (+2.4%) di iscrizioni al registro di commercio, attestandosi a quota 773 nuove imprese».
La Lombardia in particolare è preoccupata di questa emorragia di aziende e della conseguente perdita di posti di lavoro e di risorse. Anche per contrastare questo fenomeno, recentemente la Regione ha istituito una commissione speciale per i rapporti con le «aree di confine».
… e di attività illecite
Purtroppo ad «emigrare» non sono soltanto persone e imprese, ma anche attività illecite legate alla prostituzione, al traffico di droga, armi, sigarette e denaro sporco. Da mesi è in atto un forte contrasto da parte delle forze dell’ordine italiane nell’Alto Varesotto e lungo il confine. Anche le guardie svizzere sono allertate. Resta il fatto che, a detta di molti osservatori, la frontiera tra Italia e Ticino è diventata «bollente».
Un settore che registra un’attività in aumento è anche la prostituzione. Con l’attuale crisi e la scarsità di «lavoro» in Italia, molte prostitute rimediano in Ticino, dove la pratica del «mestiere» è più libera che in Italia e dove si moltiplicano le case a luci rosse, soprattutto lungo la fascia di confine. Sono in molti a denunciare il fenomeno, sia in Italia che in Ticino, perché rischia di dilagare. Sembra trattarsi spesso di giovani donne reclutate nell’Europa orientale (specialmente in Romania), fatte arrivare in Italia con false promesse e poi fatte «emigrare» in Ticino. All’origine di questa tratta di esseri umani ci sarebbero organizzazioni criminali albanesi.
Basterebbero questi cenni per comprendere quanto sia urgente, anche nel segno dell’amicizia italo-svizzera, che l’Italia riprenda nelle sue mani il proprio destino. Per questo occorre nei suoi dirigenti ma soprattutto nei cittadini un senso della realtà che li induca ad abbandonare definitivamente le contrapposizioni partitico-ideologiche che finora hanno solo generato discordie, odi, mancato sviluppo, e ad imboccare la strada della collaborazione, delle riforme condivise e dell’unità nazionale nel più ampio orizzonte europeo.
Giovanni Longu
Berna, 17.04.2013