Tema Rubik
Il tema Rubik è rimasto attuale fino al momento delle elezioni,
quando Berlusconi cercò di sfruttarlo a fini elettorali, lasciando intendere che
in caso di vittoria avrebbe abolito l’IMU e restituito ai cittadini quanto già
pagato sulla prima casa. A chi gli obiettava che non c’erano i soldi per farlo
rispondeva che li avrebbe trovati in Svizzera concludendo a tempo a di record l’accordo
Rubik già in fase di trattativa avanzata. A gelare tanto ottimismo era
intervenuta la stessa ministra delle finanze Widmer-Schlumpf, affermando che non
ci sarebbe stato alcun accordo pronto per la ratifica prima del 2015!
Da settimane ormai non se ne parla più, anche perché
Berlusconi non ha vinto e per gli altri antagonisti, che pure non hanno vinto,
il tema non figura nell'agenda delle priorità per l’Italia, anche se l’invito a
riprendere i negoziati con la Svizzera è stato avanzato dai «Saggi» nella
relazione finale consegnata al Presidente Napolitano. In assenza di un governo
con cui dialogare e giungere a una conclusione, gli incontri bilaterali
sull’argomento sembrano interrotti e il ritardo che si sta accumulando lascia intravedere
un finale con un nulla di fatto, nel senso che all’Italia resterà ben poco da
rivendicare.
La Svizzera si sta infatti avvicinando a grandi passi, sotto
la pressione degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, all’abbandono del segreto
bancario e all'accettazione di una forma di scambio automatico dei dati in
materia fiscale, per cui ben presto non risulteranno più in Svizzera né depositi
illegali né evasori fiscali stranieri.
Chi sa di rischiare multe salate avrà tutto il tempo per
trasferire dalla Svizzera in altri paradisi fiscali i capitali depositati in
nero. Eppure un accordo e la possibilità di recuperare parecchi miliardi erano
a portata di mano dell’Italia già dai tempi in cui dirigeva le finanze il
ministro Tremonti.
Tema frontalieri
Il tema dei frontalieri italiani (ossia coloro che per molti
ticinesi «portano via il lavoro agli svizzeri») non è più anch’esso di
attualità, non solo perché la Svizzera in questo momento non ha più un
interlocutore sicuro, ma anche perché nell’ultimo trimestre dell’anno scorso il
loro numero è diminuito sia pure di poche centinaia. Alla fine del 2012 il loro
numero aveva comunque raggiunto quota 55.554, ossia 3086 in più dell’anno
precedente.
La polemica sui frontalieri italiani sta rientrando anche
perché gli stessi ticinesi si stanno accorgendo che semmai la contestazione non
andrebbe fatta nei loro confronti, ma degli imprenditori svizzeri che li
assumono. Inoltre è risaputo che i frontalieri occupano generalmente posti che i
ticinesi hanno abbandonato e non intendono riprendere.
Molti osservatori si rendono anche conto che finché i
frontalieri aumentano vuol dire che il lavoro (e quindi il benessere) non diminuisce,
anche se l’occupazione può subire delle variazioni da un ramo all’altro e da un
trimestre all’altro. In Ticino, ad esempio, mentre l’edilizia continua a creare
occupazione, il settore manifatturiero ne perde e il terziario è abbastanza
stabile.
Altri temi
Ovviamente per i media svizzeri i rapporti italo-svizzeri
non sono limitati ai due temi sopracitati. Basti pensare ai trasporti, alla
collaborazione transfrontaliera, all’avvicinarsi dell’Expo 2015, agli scambi
commerciali, ecc. Ma oggi è soprattutto la situazione generale italiana che
interessa, ben sapendo che uno sbocco della crisi in un senso o in un altro non
potrà essere considerato indifferente da un Paese confinante che con l’Italia
ha un fitto sistema di relazioni fondamentali. Di fatto alla crisi italiana la
stampa svizzera dedica pagine intere e ne segue costantemente e con qualche
apprensione gli sviluppi.
Al di là della legittima curiosità di vedere come e quando
le forze politiche italiane decideranno di dar vita al prossimo governo, gli svizzeri
sono interessati a capire soprattutto se sarà un governo transitorio o stabile,
in grado di affrontare tutti i temi bilaterali sul tappeto. Purtroppo i vari
commentatori sono molto scettici al riguardo e mettono in conto la probabilità
che l’Italia torni presto a votare.
Ci sono tuttavia anche osservatori meno pessimisti e sono
convinti, alla luce di una lunga tradizione che vede l’Italia «cavarsela» anche
in situazioni peggiori, che anche stavolta saprà ritirarsi in tempo dal
precipizio e agganciare, magari con un po’ di ritardo, la ripresa europea che
si preannuncia prossima.
Euroscetticismo italiano
La Svizzera è anche interessata a sapere quanto davvero
l’Italia stia diventando euroscettica, visto che la principale forza politica
europeista guidata da Mario Monti non è stata premiata dagli elettori. E non è
affatto chiaro quanto o quale europeismo sia (rimasto) nelle altre forze
rappresentate in parlamento, a cominciare dal Movimento 5 Stelle, visto che la
politica di austerità imposta dall’Europa non sembra andar bene a nessuno.
Non c’è dubbio che alla Svizzera interessi la stabilità
dell’euro e che l’Eurozona non segua la voglia di svalutazione presente negli
Stati Uniti e nel Giappone. E’ risaputo che uno dei motori principali
dell’economia svizzera è l’esportazione e un euro debole non la favorirebbe. Ma
alla Svizzera interessa anche poter contare su Paesi amici nei rapporti non
sempre facili con l’Unione Europea.
Oltre alle conseguenze della crisi italiana già accennate,
meritano attenzione alcune ripercussioni dirette sul Ticino.
Emigrazione di imprese…
E’ noto (perché i media italiani lo ricordano in
continuazione) che le piccole e medie imprese rischiano di morire da un giorno
all’altro per mancanza di liquidità e soprattutto per il drastico calo della
domanda interna. Riescono a sopravvivere, talvolta bene, quelle imprese
orientate all’esportazione dei loro prodotti (il made in Italy è ancora forte)
e quelle che dislocano nei Paesi vicini, tra i quali la Svizzera.
Poco più di un mese fa, un quotidiano ticinese descriveva la
situazione in questi termini: «un’economia [quella ticinese] presa d’assalto
(…). Il Ticino continua ad essere terra di conquista per le ditte che
provengono da oltre confine. Seguita infatti ad espandersi il numero dei
lavoratori distaccati e degli indipendenti: da 11.295 nel 2011 si è passati a
15.653 lavoratori distaccati nel 2012, pari ad un aumento del 38,6%. Crescono
ancora di più i cosiddetti padroncini, con un incremento del 52,9% (da 4.888
nel 2011 a
7.472 nel 2012). Il trend è al rialzo anche quest’anno» (Corriere del Ticino).
E’ di qualche giorno fa la notizia riportata dal portale
informatico del Ticino che «a seguito della
situazione politica poco chiara dell’Italia e a una politica fiscale piuttosto
dura attuata dal presidente del consiglio uscente Mario Monti, molto aziende
italiane si sono trasferite in Ticino (…). Nel primo trimestre 2013, il nostro
Cantone é stato caratterizzato da un moderato aumento (+2.4%) di iscrizioni al
registro di commercio, attestandosi a quota 773 nuove imprese».
La Lombardia in particolare è
preoccupata di questa emorragia di aziende e della conseguente perdita di posti
di lavoro e di risorse. Anche per contrastare questo fenomeno, recentemente la
Regione ha istituito una commissione speciale per i rapporti con le «aree di
confine».
… e di attività illecite
Purtroppo ad «emigrare» non
sono soltanto persone e imprese, ma anche attività illecite legate alla
prostituzione, al traffico di droga, armi, sigarette e denaro sporco. Da mesi è
in atto un forte contrasto da parte delle forze dell’ordine italiane nell’Alto
Varesotto e lungo il confine. Anche le guardie svizzere sono allertate. Resta
il fatto che, a detta di molti osservatori, la frontiera tra Italia e Ticino è
diventata «bollente».
Un settore che registra un’attività in aumento è anche la
prostituzione. Con l’attuale crisi e la scarsità di «lavoro» in Italia, molte prostitute
rimediano in Ticino, dove la pratica del «mestiere» è più libera che in Italia
e dove si moltiplicano le case a luci rosse, soprattutto lungo la fascia di
confine. Sono in molti a denunciare il fenomeno, sia in Italia che in Ticino, perché
rischia di dilagare. Sembra trattarsi spesso di giovani donne reclutate
nell’Europa orientale (specialmente in Romania), fatte arrivare in Italia con
false promesse e poi fatte «emigrare» in Ticino. All’origine di questa tratta
di esseri umani ci sarebbero organizzazioni criminali albanesi.
Basterebbero questi cenni per comprendere quanto sia
urgente, anche nel segno dell’amicizia italo-svizzera, che l’Italia riprenda
nelle sue mani il proprio destino. Per questo occorre nei suoi dirigenti ma
soprattutto nei cittadini un senso della realtà che li induca ad abbandonare
definitivamente le contrapposizioni partitico-ideologiche che finora hanno solo
generato discordie, odi, mancato sviluppo, e ad imboccare la strada della
collaborazione, delle riforme condivise e dell’unità nazionale nel più ampio
orizzonte europeo.
Giovanni Longu
Berna, 17.04.2013
Berna, 17.04.2013
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