A pochi mesi dalla decisione della Banca nazionale svizzera (BNS)
di non più difendere a oltranza il tasso di cambio di 1,20 franchi per 1 euro,
politici, economisti e soprattutto industriali s’interrogano sul futuro
dell’economia svizzera se il franco dovesse ulteriormente rafforzarsi
sull'euro. Già la quasi parità attuale (1 euro vale 1,05 franchi) preoccupa non
poche aziende. E cosa accadrebbe, si chiedono in tanti, se il franco dovesse
superare la parità? Eppure numerosi segnali inducono a un moderato ottimismo.
Cresce la fiducia
Per molti imprenditori il cambio più facilmente sopportabile
sarebbe di 1,10 franchi per 1 euro, ma nessuno si fa illusioni, soprattutto
dopo la decisione della BNS, ribadita ancora nei giorni scorsi, di non più
sostenere artificialmente la moneta svizzera.
Quando fu dato l’annuncio, il 15 gennaio scorso, che la BNS
avrebbe posto fine alla difesa del franco con massicci acquisti di euro, molte
imprese furono prese dal panico. Si evocò persino lo tsunami prospettando una
catastrofe economica, l’aumento della disoccupazione, la recessione, la
diminuzione del PIL, ecc.
Oggi, nonostante si abbiano ancora pochi dati a disposizione,
si comincia a ragionare con più serenità e sono molti gli analisti fiduciosi
sulla capacità dell’economia svizzera di superare le difficoltà che
indubbiamente il superfranco pone, ma anche sul miglioramento della situazione
internazionale e specialmente dei grandi partner commerciali della Svizzera come
la Germania e gli Stati Uniti.
Secondo la BNS e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO)
nel 2015 non dovrebbe esserci recessione e il prodotto interno lordo
(PIL) continuerà a crescere, anche se a un ritmo nettamente inferiore rispetto
alle stime precedenti. La BNS prevede una crescita dell’1%, la SECO dello 0,9%.
Essa dovrebbe essere garantita sia dalla ripresa del consumo interno (ancora
sottotono nel quarto trimestre 2014) e sia dalle esportazioni.
Motivi di ottimismo
Questo ottimismo, per quanto prudente, lascia ben sperare in
un miglioramento del mercato del lavoro , che dovrebbe essere in grado
nel corso dell’anno di riassorbire una parte dei disoccupati degli anni
passati. Si spera che la tendenza alla crescita dell’occupazione, già osservata
nel quarto trimestre del 2014 prosegua o quantomeno non rallenti nel corso di
quest’anno.
Quanto alla disoccupazione, che non ha mai raggiunto
punti critici nemmeno nel periodo più acuto della crisi tra il 2008 e il 2010,
alcuni segnali la danno in diminuzione. Nel febbraio di quest’anno è
leggermente diminuita sia la disoccupazione generale (attestandosi attorno al
3,5%, con 136.764 disoccupati) che quella giovanile con poco più di 19.000
disoccupati (7,7%, ben al di sotto della media europea e persino al di sotto di
quella della Germania).
Si spera evidentemente che anche le esportazioni,
fondamentali per l’economia svizzera, tengano, pur senza illudersi che
possano raggiungere il record del 2014, quando il loro valore superò 208,3
miliardi di franchi e che la bilancia commerciale (differenza tra esportazioni
e importazioni) possa registrare nuovamente un surplus di oltre 30 miliardi di
franchi. Al riguardo non va nemmeno dimenticato che da tempo l’industria
svizzera punta sempre più sull’esportazione di prodotti ad alto valore aggiunto
e questi, si sa, risentono generalmente meno delle fluttuazioni dei cambi
valutari.
Tra le principali ragioni del moderato ottimismo c’è anche una
fiducia diffusa sulla solidità dell’economia svizzera e delle sue imprese.
Negli anni scorsi, infatti, approfittando delle agevolazioni del cambio euro-franco
bloccato, sapendo che il sostegno della BNS sarebbe stato limitato al massimo a
tre anni, ossia fino all’inizio di quest’anno, molte imprese hanno approfittato
dei tassi d’interesse straordinariamente bassi per ristrutturarsi e consolidarsi,
in attesa di tempi migliori.
Alcuni osservatori fanno notare che l’ottimismo è più
evidente nelle imprese che nel frattempo si sono ristrutturate e preparate al
dopo crisi rispetto a quelle che non ne hanno approfittato per migliorare la
propria struttura interna (riorganizzazione e riduzione dei costi aziendali, aggiornamento
professionale del personale), adeguare l’offerta, rinnovare i prodotti. Queste
ultime, evidentemente, saranno le imprese maggiormente a rischio.
Il ruolo dello Stato
L’ottimismo, che si nota con sempre maggiore frequenza nei
media e nei comunicati ufficiali, dipende anche da un alto grado di fiducia degli
imprenditori svizzeri nell'efficienza di uno Stato liberale che si
preoccupa dei bisogni sia dei cittadini che dell’economia, che sa tenere i
conti in ordine, che si adopera per valorizzare le potenzialità del paese
attraverso un sistema di formazione (culturale e professionale) moderno, stimoli
alla ricerca e all'innovazione, il rispetto della democrazia e dei diritti
individuali. La fiducia nello Stato secondo molti imprenditori sarebbe ancora
maggiore se gli adempimenti burocratici fossero meno gravosi.
Viene spontaneo chiedersi a questo punto se anche altri
Paesi, magari confinanti con la Svizzera, con questi ingredienti potrebbero
guardare già al futuro prossimo, non a quello lontano, con altrettanto
ottimismo.
Giovanni Longu
Berna, 25.03.2015
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