Il 9 febbraio di un anno fa, gli svizzeri hanno deciso con
un leggero scarto di voti (col contributo determinante dei ticinesi!) di
introdurre entro tre anni limiti (contingenti) all’immigrazione di massa. Il
Consiglio federale, in ossequio alla decisione popolare e al dettato
costituzionale, ha deciso di preparare una sorta di avamprogetto di legge di
attuazione, ma non è dato sapere con quanta convinzione.
Governo in difficoltà
Sull’avamprogetto del governo è ancora in corso la procedura
di consultazione, ma le valutazioni apparse finora sulla stampa sono oltre che molteplici
assai discordanti. Sarà estremamente difficile, per il governo, fare la sintesi
e proporre al parlamento un disegno di legge in grado di superare le varie opposizioni.
Nessuno si fa illusioni. Si dovrà comunque arrivare a una
legge che quasi
certamente sarà sottoposta a referendum e dunque al vaglio definitivo del
popolo sovrano.
Per anticipare i tempi del verdetto finale, in alcuni
ambienti si sta pensando anche a una o più iniziative popolari per interpellare
nuovamente gli elettori, entro il prossimo anno, in modo che confermino o
smentiscano in maniera chiara e definitiva la decisione presa il 9 febbraio
2014.
Molti dubbi e forti contrasti
Il meno che si possa dire è che l’opinione pubblica è molto
disorientata e riflette i forti contrasti che esistono a livello politico non
solo sulla valutazione della decisione presa un anno fa (scientemente o
inconsapevolmente) ma anche sull'opportunità di richiedere a distanza
ravvicinata un nuovo pronunciamento del popolo sovrano.
Tutte le posizioni sembrano concordare sul fatto che un’applicazione
«rigida» della limitazione dell’immigrazione con l’introduzione di contingenti potrebbe
comportare un irrigidimento dell’Unione europea (UE) nei confronti della
Svizzera e la decadenza di numerosi accordi bilaterali, a danno (per ora incalcolabile)
soprattutto dei rapporti commerciali coi Paesi dell’UE. D’altra parte,
un’applicazione «elastica», tale, per esempio, da salvare il principio della
libera circolazione per i cittadini europei, non corrisponderebbe quanto meno
alla lettera del nuovo articolo costituzionale 121a approvato nella
votazione del 9 febbraio 2014. E allora? Nessuno sembra in grado di proporre
una soluzione che salvi sia gli interessi dell’UE (e dell’economia svizzera) e
sia il rispetto dovuto alle decisioni del popolo sovrano.
Il governo per primo, ma anche l’opinione pubblica, comincia
a rendersi conto che con la decisione dell’anno scorso si è probabilmente imboccata
una strada molto rischiosa e senza via d’uscita.
Tentativi infruttuosi
Fino a questo momento, almeno sotto il profilo dei
risultati, sono stati infruttuosi tutti i tentativi dei vari consiglieri
federali di fare breccia sull’atteggiamento intransigente della Commissione
europea, refrattaria, anzi nettamente contraria a rinegoziare con la Svizzera
l’accordo sulla libera circolazione. E’ da un anno ormai che la posizione
dell’UE non si sposta di un millimetro da quella espressa all’indomani della votazione
del 9 febbraio: sulla libera circolazione non si tratta.
Il famoso bacio di Jean-Claude Juncker a Simonetta Sommaruga |
Nemmeno la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga
è riuscita ad ammorbidire la posizione dell’UE, nonostante la calorosa
accoglienza del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, in
occasione di un incontro ufficiale a Bruxelles nel febbraio scorso. E non
poteva certo essere interpretato come un segnale di avvicinamento delle
posizioni il celebre bacio dell’espansivo Juncker alla presidente Sommaruga.
Infatti, proprio in quell’incontro apparve chiaro quanto le posizioni fossero
distanti e, a detta di Juncker, praticamente senza margini di manovra, anche se
fino all’ultimo la via del dialogo doveva restare aperta. Ma con quale
prospettiva concreta?
La Commissione europea sa bene, infatti, che concedere una
eccezione alla Svizzera significherebbe minare un principio che non è
pacificamente accettato nemmeno da tutti gli Stati dell’UE. Il Regno Unito, ad
esempio, potrebbe approfittarne per rimetterlo in discussione. E quanti altri
Paesi sarebbero tentati di fare altrettanto?
Opinione pubblica disorientata
Anche nell’opinione pubblica svizzera, già divisa al momento
del voto del 9 febbraio 2014, comincia a farsi strada il dubbio che quella
scelta non sia stata saggia. Man mano che il tempo passa, anche se restano
ancora due anni per l’attuazione della norma costituzionale adottata, ci si
interroga se non sia opportuno riconsiderare quanto deciso un anno fa
probabilmente senza valutare i rischi connessi.
Chi s’immaginava al momento del voto l’intransigenza
dell’Unione europea, le difficoltà sorte ad ogni trattativa concernente aspetti
particolari dei rapporti tra l’UE e la Svizzera (in materia di energia, banche,
partecipazione a progetti di ricerca, ecc.) e soprattutto il rischio di far
decadere automaticamente («clausola ghigliottina») un buon numero di accordi
bilaterali se venisse negato il principio della libera circolazione? E chi
s’immaginava tra i ticinesi (molto preoccupati dell’avanzata del numero dei
frontalieri) che un anno dopo quella decisione avrebbe pesato e non poco sull’accordo
fiscale con l’Italia, soprattutto in relazione proprio ai frontalieri?
A ben vedere la prospettiva di un nuovo ricorso alle urne mi
sembra ragionevole e inevitabile. Non vedo alcuna ignominia chiedere ai
cittadini di pronunciarsi nuovamente su un tema noto, alla luce di nuove
informazioni e preoccupazioni fondate. Anzi trovo molto giudizioso che il
popolo abbia la possibilità di rivedere una precedente decisione ritenuta
sbagliata oppure la riconfermi perché ritenuta giusta, anche alla luce di
prospettive per nulla tranquillizzanti.
Verso un voto più consapevole: la Svizzera è in Europa
La prospettiva di un nuovo ricorso al voto, oggi combattuta
dai fautori del sì di un anno fa e auspicata dagli oppositori di allora,
dovrebbe essere sostenuta dagli uni e dagli altri, visto che entrambi i fronti
si ritengono sostenitori e difensori della democrazia diretta. Infatti, che
democrazia sarebbe se al popolo non venisse data l’opportunità di correggere un
precedente errore o confermare a giusta ragione una precedente decisione?
Tra le conoscenze che il popolo svizzero avrebbe ora o
prossimamente a disposizione, se chiamato nuovamente al voto, figurerebbe
senz’altro la considerazione che finora gli accordi bilaterali con l’UE hanno
portato alla Svizzera solo o soprattutto vantaggi, anche grazie alla libera
circolazione delle persone. L’economia ne ha beneficiato potendo sempre
prendersi il meglio e tutto quanto le serviva. Senza la libera circolazione e
con i contingenti, gli imprenditori svizzeri potrebbero reclutare manodopera solo
entro un numero ristretto o comunque limitato di persone.
Il popolo svizzero, inoltre, voterebbe con maggiore
consapevolezza del «peso» della Svizzera in Europa. Infatti è cresciuta e
cresce sempre di più, su scala nazionale la coscienza di appartenere a un
Paese, naturalmente, storicamente e culturalmente in Europa, da cui non può in
alcun modo separarsi. Sa bene quanto poco peserebbe, non solo in termini
economici, se la Svizzera venisse marginalizzata e addirittura esclusa da
numerose libertà e agevolazioni di cui gode proprio grazie agli accordi
bilaterali UE-CH.
Se la presidente della Confederazione può continuare a
sostenere che le relazioni tra la Svizzera e l’UE sono «molto buone», non può
trattarsi di una bella affermazione senza fondamento. E il fondamento è quell’intreccio
complesso e intenso di scambi, d’interessi e di valori che lega
inscindibilmente i destini sia della Svizzera in Europa che dell’Europa con la Svizzera.
Sono nella realtà delle cose, oggi, la libera circolazione delle persone, gli
scambi commerciali, finanziari, culturali, il turismo di massa, le reti di
trasporto transnazionali, la partecipazione della Svizzera ai principali
progetti di ricerca europei.
La Svizzera partecipa finanziariamente all’allargamento
dell’UE e a vari programmi europei. Condivide l’Accordo di Schengen (qualche
giorno fa Simonetta Sommaruga ha partecipato a Bruxelles alla riunione del
Comitato misto Schengen) e intende partecipare alla cooperazione nell’ambito
del trattato di Prüm sul contrasto alla criminalità transfrontaliera, collabora
attivamente alla lotta contro il riciclaggio e all’evasione fiscale, ecc.
In conclusione
Il governo svizzero si sta dimostrando un esecutivo
diligente nella ricerca di una legge di attuazione probabilmente inapplicabile,
ma forse dovrebbe mostrare maggiore iniziativa e inventiva nella formazione
dell’opinione pubblica, soprattutto in un tema vitale per l’integrazione della
Svizzera in Europa. Se è giusto limitare e regolamentare l’immigrazione di
massa, nel contesto europeo attuale e futuro non ha certamente senso ostacolare
velleitariamente la libera circolazione delle persone e, conseguentemente, la partecipazione
della Svizzera al grande progetto degli Stati uniti d’Europa, di cui proprio la
Svizzera è stata ispiratrice e modello. Per questo l’accordo con l’UE è necessario
e vitale.
Giovanni Longu
Berna, 18.3.2015
Berna, 18.3.2015
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