Lo stato di esigua minoranza su scala nazionale ha pesato
molto sull'integrazione del Ticino nella Confederazione e sul peso
dell’italiano a livello federale. Basti pensare che solo nel 1917 il Consiglio
federale istituisce un segretariato di lingua italiana in seno alla Cancelleria
federale e dall'anno seguente cominciano ad apparire in italiano estratti del Foglio
federale, ossia il bollettino d’informazione ufficiale della
Confederazione.
Fino ad allora, dal 1848, solo le leggi federali venivano
tradotte e raccolte nella Collezione sistematica, oggi Raccolta ufficiale delle
leggi federali. Fu in seguito all'insistenza dei deputati ticinesi che, a
partire dagli anni ’50 del secolo scorso, l’offerta di pubblicazioni in
italiano cominciò ad ampliarsi, fino alla fine degli anni ’80, quando il
Consiglio federale, soprattutto per iniziativa del consigliere federale Flavio
Cotti, decise di rendere l’italiano il più possibile equivalente alle altre due
lingue ufficiali tedesco e francese.
Per difendere l’italiano, aguzzare l’ingegno
Michele Fazioli |
La situazione sommariamente delineata nel settore pubblico è
un po’ lo specchio della situazione nel settore privato. Negli articoli
precedenti si è visto quanto il Ticino stesso, unico Cantone italofono, ha
dovuto lottare per salvaguardare la propria identità linguistica e culturale,
anche quando, dopo l’elezione in Consiglio federale di Giuseppe Motta (dicembre
1911) tutta la stampa locale pensava che quell’evento segnasse la definitiva «riconciliazione
tra il Ticino e la patria svizzera». In realtà, secondo lo storico Silvano
Gilardoni, «placatasi l’esaltazione e smorzatasi l’ebbrezza di retorico e
magniloquente patriottismo, la situazione del Ticino tornò ad essere quella di
prima».
Il disagio era anzi destinato a crescere, almeno fino alle
Rivendicazioni ticinesi degli anni ‘20. Basterebbe leggere quel che scriveva nel
1912 la Tessiner Zeitung, il giornale degli svizzeri tedeschi in Ticino,
di fronte all’accusa di rifiutare di assimilarsi rivolta dai ticinesi ai
confederati che si stabilivano nel loro Cantone. Il giornale respingeva l’accusa
e asseriva che, come i ticinesi hanno il diritto di difendere la propria razza
e la propria lingua «contro la maggioranza del popolo svizzero», così gli
svizzeri tedeschi rivendicano lo stesso diritto nei confronti della maggioranza
linguistica del Ticino. Evidentemente la realtà era ben diversa dalla teoria
dell’uguaglianza delle lingue nazionali proclamata dalla Costituzione.
Il principio di territorialità: è da rivedere!
A parere di molti osservatori, il principio della
territorialità che condiziona qualsiasi politica linguistica in questo Paese, è
purtroppo difficilmente superabile, perché inevitabilmente senza di esso le
lingue minoritarie si sentirebbero minacciate. E, si badi bene, non si tratta
di un principio teorico, ma molto concreto. Poche settimane fa si poteva
leggere su alcuni media la risposta che molti svizzeri tedeschi davano ai
romandi che si lamentano dell’uso esagerato dello Schwyzerdütsch: «i
romandi dovrebbero imparare lo svizzero-tedesco». C’è qualche Comune svizzero che
sottopone gli aspiranti alla naturalizzazione a un test di comprensione del
dialetto locale. E pochi giorni fa, durante la sessione giovanile del
Parlamento, sembra che al momento della valutazione delle proposte per la
comunicazione presentate da ciascun gruppo nella sede della Swisscom, i giovani
svizzero tedeschi non abbiano votato la proposta dei ticinesi perché non l’avevano
capita e non si erano muniti delle cuffiette per la traduzione simultanea (!).
Esempi, che confermano quanto il plurilinguismo sia
contrastato dal principio di territorialità, che di fatto tende a escludere o a
minimizzare, persino nella pratica scolastica abituale, tutte le lingue (o le
lingue più deboli) diverse da quella del territorio. Molti osservatori sono
convinti che l’applicazione (troppo rigida) di questo principio sia da
riesaminare. Non c’è dubbio che di questo principio si è avvalso il Ticino per
frenare la «tedeschizzazione» di alcune aree del Cantone, ma non c’è dubbio
alcuno che su scala nazionale ha nuociuto e continuerà a nuocere, se non
interverranno dei correttivi, alla salvaguardia dell’italiano nella Svizzera
tedesca e nella Svizzera francese.
Evoluzione dell’italiano in Svizzera
Qualche accenno all’evoluzione dell’italiano su scala
nazionale può essere illuminante per capirne la sua importanza. Rispetto alla
situazione iniziale al momento della costituzione dello Stato federale (1848),
l’italiano non ha subito grandi variazioni fino al 1880, ossia fino a quando ai
ticinesi si sono aggiunti gli immigrati italiani. Da allora (1880: 5,7% sulla
popolazione residente) l’italiano come lingua principale è progredita
incessantemente (salvo una leggera flessione nel 1888: 5,3%) fino al 1910 (8,1%).
Nel periodo tra le due guerre la percentuale di italofoni è diminuita a causa
delle partenze e dei minori arrivi di italiani (1920: 6,2%, 1930: 6,0%, 1941:
5,2%). Nel secondo dopoguerra ha ripreso la crescita, incessante, fino al picco
registrato nel 1970 (11,9%), per poi ridimensionarsi gradualmente fino al
livello del 2000 (6,5%).
L’evoluzione altalenante dell’italiano in Svizzera
rispecchia non solo i vari periodi dell’immigrazione italiana, ma anche la sua
diffusione. Tanto è vero che il picco raggiunto agli inizi degli anni ’70
corrisponde al punto massimo raggiunto dalla collettività italiana e anche alla
sua massima diffusione sul territorio. Praticamente in tutti i Cantoni, dal
dopoguerra in poi, si costituirono comunità in cui la lingua usata abitualmente
era l’italiano. Per almeno un trentennio, fino al censimento del 2000, in quasi tutte le
grandi città la seconda lingua parlata era l’italiano, tanto nella Svizzera
tedesca che nella Svizzera francese. Dagli anni Sessanta in moltissimi Comuni
svizzeri vengono ancora organizzati corsi di lingua e cultura italiane per migliaia
di allievi della scuola obbligatoria, finanziati dallo Stato italiano. Nelle
città, la scuola secondaria superiore ha inserito molto spesso l’italiano nei corsi di maturità ed è senz'altro preoccupante che questa offerta si stia sempre più riducendo. Le università, fino a pochi anni fa, potevano contare su un cospicuo numero di allievi italofoni. In breve, l’italiano era non solo una lingua parlata o almeno ben conosciuta da circa un milione di persone, ma costituiva una sorta di «lingua franca» per molti lavoratori non italiani e, soprattutto, si alimentava sui banchi di scuola di ogni ordine e grado, grazie soprattutto al sostegno del governo italiano.
città, la scuola secondaria superiore ha inserito molto spesso l’italiano nei corsi di maturità ed è senz'altro preoccupante che questa offerta si stia sempre più riducendo. Le università, fino a pochi anni fa, potevano contare su un cospicuo numero di allievi italofoni. In breve, l’italiano era non solo una lingua parlata o almeno ben conosciuta da circa un milione di persone, ma costituiva una sorta di «lingua franca» per molti lavoratori non italiani e, soprattutto, si alimentava sui banchi di scuola di ogni ordine e grado, grazie soprattutto al sostegno del governo italiano.
Attenzione: l’italianità non coincide con l’italofonia
A ben guardare, la diffusione massiccia dell’italiano negli
anni ’70 e ’80, non era però dovuta solo alla presenza di lavoratori italiani
in tutte le attività economiche, ma anche alla diffusione su vasta scala di
attività legate all’italianità in senso largo (comprendente, oltre
alla lingua, riferimenti specifici all’arte, al cinema, alla moda, alla
gastronomia, allo sport, al senso della famiglia, al bel canto, a un sistema di
valori e comportamenti tipici di una lunga tradizione italiana). Per oltre un ventennio, l’italianità ha
sicuramente contribuito a diffondere l’italiano, ma una maggior conoscenza
dell’italiano ha sicuramente contribuito alla diffusione e al consolidamento
dell’italianità in tutta la Svizzera. Si è cioè verificato un fenomeno che
meriterebbe grande attenzione: mentre l’italofonia, per le ragioni ben note, è
sicuramente in crisi (rispetto ai tempi di massima diffusione), l’italianità
non lo è affatto, perché è divenuta una componete fondamentale dell’esistenza
di questo Paese.
Achille Casanova |
Giovanni
Longu
Berna, 28.11.2012
Berna, 28.11.2012
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