L’italianità della Svizzera trova la sua piena legittimazione nel diritto federale fin dalla prima Costituzione del 1848. All'articolo primo, il Ticino figura tra i Cantoni del nuovo Stato federale. Più precisamente, secondo questo articolo, «le popolazioni dei ventidue Cantoni sovrani costituiscono nel loro insieme la Confederazione Svizzera», quindi anche la popolazione di lingua e cultura italiana del Ticino. Più che giustificato, dunque, l’articolo 109, che riconosce l’italiano tra le lingue nazionali della Confederazione.
Dal 1848 l’italianità della Svizzera è stata sempre
confermata e meglio precisata sia a livello costituzionale che legislativo e
amministrativo. Va da sé che non basta un articolo costituzionale o una serie
di leggi e ordinanze per far vivere una lingua e una cultura, ma la base
giuridica è essenziale per qualsiasi intervento dello Stato anche in campo
linguistico e culturale. Ciò premesso, non è stato facile e non lo è nemmeno
adesso realizzare nelle istituzioni e nella vita ordinaria la consapevolezza
dell’italianità come uno dei valori nazionali e identitari della Svizzera
moderna.
Garanzie e pratica dell’italianità
Per quasi un secolo, nemmeno per il Cantone Ticino è stato
facile salvaguardare la propria identità linguistica e culturale italiana, ma
la convinzione e la costanza nelle rivendicazioni alla fine sono state
premiate. Oggi l’italianità dei ticinesi è assolutamente garantita perché l’articolo
primo della Costituzione della Repubblica e Cantone Ticino non lascia dubbi
quando afferma: «il Cantone Ticino è una repubblica democratica di cultura e
lingua italiane».
Con la stessa convinzione e costanza dovrebbe essere
rivendicata una garanzia analoga, certamente non esclusiva, dell’italianità
anche fuori del Cantone Ticino e dei Grigioni italiani. Alcuni principi
costituzionali e leggi federali garantiscono un minimo di presenza
dell’italiano e della cultura italiana nell’amministrazione federale e nei
rapporti degli italofoni con gli organi federali. Negli altri ambiti, anche
pubblici, a livello cantonale e comunale, le garanzie mancano o sono
insufficienti, ad esempio a livello scolastico. La vitalità dell’italiano e
dell’italianità non sono generalmente facilitate e molto è lasciato al libero
apprezzamento delle istituzioni.
Finora la diffusione e la valorizzazione dell’italianità in
tutte le sue forme sono state assicurate fuori dei territori italofoni
principalmente dagli immigrati italiani in Svizzera e dai loro discendenti di
seconda e successive generazioni, comprese le sempre più numerose persone
naturalizzate, ma che hanno conservato legami con la cultura italiana e magari
anche la nazionalità. Al di fuori dell’ambito istituzionale, il contributo dei
ticinesi all’italianità su scala nazionale è stato piuttosto modesto e
proporzionale alla loro consistenza numerica fuori del Cantone, sempre
piuttosto modesta.
Italianità in crescita dopo il 1870
Prima del 1870, quando il territorio dell’italianità era
limitato essenzialmente al Ticino e alle quattro vallate italofone dei Grigioni
con una popolazione complessiva di poco più di 120.000 persone, le
rivendicazioni dell’italianità sono state condotte principalmente dai ticinesi,
anche perché i «regnicoli» erano ancora pochi e ininfluenti. Dall’inizio dei
lavori della galleria ferroviaria del San Gottardo (1872), che ha visto
affluire in Svizzera decine di migliaia di lavoratori italiani, grazie ad essi
l’italianità nelle sue svariate forme ha cominciato ad espandersi in tutto il
Paese. Nel 1900 gli italiani presenti in Svizzera erano oltre 117.000 e
superavano addirittura la popolazione complessiva ticinese di nazionalità
svizzera, compresi i circa 10.000 ticinesi sparsi nei vari Cantoni (Berna,
Grigioni, Zurigo, Friburgo, ecc.).
Da allora, fuori del Ticino, l’italiano e la cultura
italiana sono stati supportati soprattutto dai cittadini italiani, compresi
quelli con la doppia cittadinanza. Da qualche tempo, però, in concomitanza con
l’indebolimento della parte italiana (in seguito ai numerosi rientri,
all’invecchiamento demografico, all’integrazione e alle naturalizzazioni, al
minor impegno finanziario dello Stato italiano, ecc.), la componente ticinese
si dimostra sempre più attiva. In questi ultimi anni è cresciuta soprattutto
l’attenzione delle istituzioni pubbliche ticinesi ai problemi dell’insegnamento
dell’italiano e alla valorizzazione della cultura italiana. E’ certamente di
buon auspicio l’intraprendenza delle autorità cantonali che stanno dimostrando
di prendere molto sul serio l’impegno costituzionale del Cantone Ticino di
essere «fedele al compito storico di interpretare la cultura italiana nella
Confederazione elvetica» (dal Preambolo della Cost. TI del 1997). Ma forse non
basta. La salvaguardia dell’italianità deve passare soprattutto attraverso una
maggiore sensibilizzazione e un maggiore coinvolgimento del mezzo milione e più
di italiani presenti nella Confederazione.
Bisogna assolutamente evitare che il patrimonio linguistico
e culturale accumulato dagli italiani in centocinquant'anni di presenza in
Svizzera s’impoverisca eccessivamente, senza nemmeno tentare di salvarlo e
consegnarlo alle prossime generazioni. Alcuni dati e fatti potrebbero aiutare a
farsi un’idea del contributo italiano all'accumulo di questa ricchezza entrata
a far parte di diritto, grazie anche al sostegno dei ticinesi, del patrimonio
culturale e ideale della Svizzera.
Italiani i protagonisti principali
Tutto è iniziato, ufficialmente, con l’accordo del 1868 tra
la Svizzera e il Regno d’Italia, che in pratica sanciva la libera circolazione
degli italiani e degli svizzeri nei due Stati firmatari, ma è praticamente solo
a partire dai grandi lavori ferroviari della seconda metà dell’Ottocento che
gli italiani arrivano in massa nella Confederazione. Se la prima immigrazione
si fermava soprattutto nel Ticino e nei Grigioni, dal 1872 si stabilisce
soprattutto oltre Gottardo.
Monumento di V. Vela in ricordo ricordo delle vittime della Galleria del San Gottardo |
La loro crescita, impressionante, ricomincia subito dopo la
guerra. L’immigrazione italiana è facilitata e sollecitata, forse per la prima
volta nella storia contemporanea, dalle autorità svizzere dietro richiesta
degli ambienti imprenditoriali e col consenso delle organizzazioni sindacali.
Già nel 1946 sono messi a disposizione degli italiani decine di migliaia di
permessi di lavoro e di soggiorno. Nel 1947 i permessi sono portati a oltre
126.000, un numero considerevole che l’Italia non riesce a utilizzare
completamente: solo 105.112 furono effettivamente i permessi rilasciati a causa
della lenta e farraginosa burocrazia italiana del dopoguerra.
Nel 1960 la collettività italiana residente stabilmente in
Svizzera è di 346.223 persone, nel 1970 raggiunge quota 583.850 prima di toccare
il massimo storico tre anni più tardi, nel 1973, con 584.299 persone (fonte
italiana). Da quel momento i flussi immigratori dall’Italia si attenuano sempre
più e il saldo tra arrivi e partenze diviene sempre più negativo.
Non solo braccia, ma anche cervello e cuore
Pierre Aubert |
L’aspetto linguistico, che sarà esaminato separatamente, è
un buon rilevatore non solo della presenza degli italofoni (in massima parte
italiani), ma anche della diffusione della cultura italiana. E’ difficile
quantificare quanto di questa cultura sia entrato a far parte del patrimonio
culturale svizzero e del vissuto svizzero, ma dev’essere stato tanto e non mi
pare esagerato affermare che ha contribuito a trasformare la società svizzera
in molti aspetti fondamentali (comportamenti, filosofia di vita, fede religiosa
fino a capovolgere le proporzioni tra protestanti e cattolici, nutrizione, modi
di vestire, ecc.). «La Svizzera non sarebbe quella che è senza il contributo
degli italiani» diceva nel 1978 il consigliere federale degli esteri svizzero Pierre
Aubert. L’affermazione può essere sottoscritta, credo, ancora oggi.
Allievi di elettronica in una scuola per stranieri (CISAP) |
Vorrei ricordare, giusto per dare un’idea, di questo vasto e
ricco contributo, che al censimento federale della popolazione del 2000
risultavano in Svizzera tra i cittadini italiani: 22.500 dirigenti nel solo settore
terziario, oltre 600 giornalisti e redattori, 100 traduttori, 1200 artisti dei
vari settori, oltre 1600 insegnanti di cui 276 professori o assistenti
universitari, circa 4000 tra medici, assistenti e personale sanitario, ecc.
ecc.
Oggi, italiani e ticinesi sono presenti praticamente in ogni
attività pubblica e privata e ad ogni livello. Manca solo un italofono nel
massimo organo esecutivo dello Stato ed è una grossa ferita per l’italianità di
questo Paese, da sanare il più presto possibile. (Continua).
Giovanni Longu
Berna, 21.11.2012
Berna, 21.11.2012
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