
La candidatura di Cassis, data per vincente fin dalla sua
presentazione, in queste ultime settimane è stata da più parti contrastata.
Trovo questi contrasti vitali per la democrazia, ma anche per la raffinazione
del prodotto che esce da questo crogiuolo.
Ignazio Cassis era il miglior rappresentante di questa
italianità assente dalla stanza dei bottoni ormai da troppo tempo. Era anche, a
mio parere, il più meritevole, non tanto o non solo per le sue indubbie competenze
politiche, ma perché era quello che in questi ultimi anni, soprattutto dopo la
bocciatura della sua precedente candidatura nel 2010, ha lavorato meglio, a mio
parere, per creare le condizioni per dare all’italianità una giusta
rappresentanza nell’esecutivo federale.
Ignazio Cassis, personalità di grande intelligenza che tutti gli
riconoscono, ha fatto tesoro degli errori commessi in parte da lui stesso ma
soprattutto dai media ticinesi nella precedente candidatura, che finirono per
farlo apparire una candidatura di bandiera e una sorta di «rivendicazione regionale-ticinese».
In buona fede riteneva che fosse chiaro che lui si presentava come esponente
della «Svizzera italiana» e non soltanto del Cantone Ticino. Non fu creduto,
probabilmente non solo per difetto di comunicazione ma anche per ragioni
politiche e culturali.
Qualche mese dopo la sconfitta in un’intervista rilasciatami ammetteva: «Fatichiamo ad essere un Cantone autorevole agli occhi dei Confederati.
Lo sguardo che la Svizzera tedesca e francese posano sul nostro Cantone è
caratterizzato dalla simpatia che si prova per i parenti poveri: esiste un
diffuso e strisciante complesso di superiorità nei nostri confronti, che si
manifesta pienamente quando la posta in gioco si fa seria, quando – per esempio
– sono in gioco i posti di potere dell’economia o della politica svizzera».
Per far superare i complessi da una parte e
dall’altra, Cassis in questi anni ha lavorato molto e bene sia a livello della
comunicazione che della sostanza. Ha introdotto più chiarezza nel linguaggio,
parlando più della Svizzera italiana e dell’italianità che del Ticino (e ne ha
dato molte prove in queste ultime settimane), tenendo sempre presente la
sostanza: il diritto della Svizzera italiana e della comunità italofona e più
in generale della componente culturale italiana della moderna Confederazione ad
essere rappresentata anche nell’esecutivo federale, come del resto prescrive la
stessa Costituzione.
Il lavoro di questi anni è stato premiato. Nel
2011 Cassis dichiarava nell’intervista citata: «Continuerò certamente a lottare
perché la terza Svizzera sia riconosciuta a pieno titolo: sono persuaso che ne
va dell’essenza stessa della Svizzera e della coesione nazionale». Il fatto che
sia stato eletto sta a significare, oltre al riconoscimento personale per le
sue competenze e capacità, che il lavoro tenace di persuasione svolto in questi
anni è penetrato nelle coscienze della maggioranza dei parlamentari e forse
dell’opinione pubblica svizzera che, stando ai sondaggi, era favorevole a
Cassis. E’ questo il massimo risultato che ci si poteva francamente attendere.
Di fronte a questo risultato, credo che anche la
componente strettamente «italiana» dell’italianità della Svizzera possa
ritenersi non solo soddisfatta, ma orgogliosa di avere un suo degno
rappresentante in seno al Consiglio federale. Perché Cassis l’italianità, anche
se non risulta più dal passaporto, ce l’ha nel sangue e nella testa e ne ha
fatto addirittura una bandiera. Congratulazioni e auguri, Ignazio Cassis.
Giovanni Longu
Berna, 20.09.2017
Berna, 20.09.2017
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