06 giugno 2012

Lingua italiana tra sogni e realtà



Continua, sulla stampa italiana all’estero il lamento per la lenta agonia dei corsi di lingua e cultura a causa essenzialmente dei minori finanziamenti provenienti dall’Italia. Da anni si reclamano dal governo e dal parlamento italiani un maggior sostegno finanziario o quantomeno il ripristino dei fondi se non ai livelli del 2007 (34 milioni di euro) almeno al di sopra degli attuali 6,4 milioni.

La richiesta è corredata con le migliori argomentazioni possibili, soprattutto richiamando l’interesse dell’Italia a sviluppare una politica estera culturale utilissima non solo alla conservazione di stretti legami con i milioni di cittadini e oriundi italiani sparsi nel mondo, ma anche per veicolare valori culturali e artistici che possono facilmente trasformarsi in interessi turistici e diffusione su larga scala del Made in Italy.
Purtroppo, si risponde da Roma, i desideri si scontrano con la realtà, che è sotto gli occhi di tutti: l’Italia ha ormai ben altre priorità e ogni possibile risparmio dev’essere fatto. Peccato, verrebbe da replicare, che si cominci sempre dalla cultura (di cui non è affatto vero che non si possa anche vivere, se solo venisse valorizzata convenientemente!) e dalla fascia più debole dei cittadini italiani, quelli residenti all’estero!
Trovo personalmente sconcertante che anche l’attuale governo dei professori, quindi persone che grazie alla cultura hanno fatto carriera e fortuna, non si rendano sufficientemente conto che solo investendo di più nella cultura (formazione, ricerca, sviluppo, valorizzazione del patrimonio artistico) l’Italia può ripartire e crescere.

La situazione dei corsi in Svizzera
Quanto alla situazione svizzera, i responsabili dei corsi di lingua e cultura parlano ormai di emergenza e ancora non vogliono arrendersi all’idea che da Roma arriveranno per queste attività sempre meno risorse. Un sano principio di realtà a questo punto dovrebbe indurre non solo a razionalizzare l’offerta dei corsi, ma anche a cercare sinergie con le istituzioni svizzere.
So che non ha incontrato molto favore tra gli operatori e sindacalisti italiani l’idea di una parziale rinuncia all’autonomia dell’intera struttura dei corsi e contestualmente il tentativo del loro inserimento nelle istituzioni cantonali. Mi attendevo una qualche apertura e invece si continua a sperare nel miracolo di Roma. E’ bello sperare o, come ha suggerito lo stesso premier Monti, «avere un sogno in tasca», ma non va dimenticato che i sogni raramente si trasformano in realtà e di speranza si può anche morire. E’ invece tempo di agire, proponendo nuove iniziative, esplorando altre strade, facendo leva sul volontariato, responsabilizzando maggiormente genitori e figli, associazioni e istituzioni. Guardando di più anche a Berna.
Purtroppo dall’Italia non solo non giungono soldi, ma nemmeno buone idee per superare i problemi o uomini coraggiosi e intraprendenti (mi riferisco in particolare a quelli delle istituzioni ufficiali) per avviare una qualche riforma di un sistema ormai datato e superato dalle nuove realtà migratorie e post-migratorie.

L’esempio dell’USI in difesa dell’italianità
Dall’Italia giunge persino qualche brutto esempio, come quello denunciato dal linguista svizzero Alessio Petralli, secondo cui il politecnico di Milano, a partire dal 2014, intende proporre i corsi specialistici e dottorali solo in inglese, dando così «un’ulteriore dimostrazione di superficiale esterofilia italiana». Bel contrasto con un’altra notizia che campeggiava a tutta pagina sul Corriere del Ticino del 30 maggio scorso, intitolata: «Formazione. L’USI punta sulla lingua di Dante». USI sta per Università della Svizzera Italiana, un’istituzione fortemente voluta dal Ticino da oltre cent’anni per salvaguardare i diritti della minoranza svizzera di lingua e cultura italiana. La tutela e il sostegno della lingua e della cultura italiane sono un «dovere morale» dell’USI, ha ribadito recentemente il suo presidente Piero Martinoli.
Quando nel mese di marzo venne costituito l’intergruppo parlamentare «Italianità» delle Camere federali, qualche scettico poteva pensare che si trattasse al massimo di una sorta di lobby per preparare l’ascesa di qualche ticinese al Consiglio federale. Invece l’intergruppo ha già dimostrato la sua volontà di essere presente e attivo su più fronti. Basti ricordare il lancio verso metà maggio del nuovo sito Internet del «Forum Helveticum» quale piattaforma per gli scambi sul plurilinguismo fra le regioni svizzere o la recente presentazione a Berna della riproduzione del «Dizionario imperiale delle quattro principali lingue d’Europa» di Giovanni Veneroni, del 1700.
Si tratta di iniziative che, dato l’interesse finora suscitato, fanno ben sperare, ma ad una condizione: che vengano coinvolte anche personalità e istituzioni italiane e che queste si lascino coinvolgere e stimolare.

Giovanni Longu

Berna 06.06.2012

Sguardo sull’Italia: catastrofi e scandali



In queste ultime settimane, la stampa svizzera dedica molta attenzione agli eventi italiani, segno evidente che in Svizzera si ritiene molto importante ciò che accade nei Paesi vicini, ma senza rinunciare a sottolineare qualche aspetto (negativo) di distinzione.

Ovviamente tutti i media svizzeri hanno dato ampio risalto al terremoto in Emilia, non solo per la gravità della catastrofe in sé, ma anche perché l’opinione pubblica è venuta a sapere che le regioni colpite erano (e si spera che continuino presto ad essere) tra le più produttive d’Italia e persino d’Europa. Oltretutto ad esse si ricollegano alcuni prodotti di eccellenza ben noti anche in Svizzera quali parmigiano, pasta, prosciutto e motori. Alcuni organi di stampa non hanno evitato tuttavia di evidenziare come anche in queste regioni spesso si costruisca senza tener conto delle norme antisismiche.

Fra intrighi e veleni
Per qualche giorno, come noto, si è parlato anche di una specie di terremoto in Vaticano in seguito alla pubblicazione di documenti riservati e persino privati rubati dalle stanze del Papa, che ha scatenato ogni possibile (e impossibile) ipotesi, dagli scandali vaticani agli intrighi cardinalizi … fino alle dimissioni dello stesso Benedetto XVI. Al confronto, ben poco spazio è stato riservato alle tematiche pastorali e a quelle riguardanti la famiglia cristiana.
Purtroppo a far notizia a fine mese è stata anche un’altra tragedia che ha colpito il mondo dello sport italiano, non per un evento naturale imprevedibile, ma per l’irresponsabilità e l’ingordigia di alcuni sportivi, ossia lo scandalo delle scommesse calcistiche. Significativi i titoli dei due principali quotidiani svizzeri, il Tagesanzeiger e la Neue Zürcher Zeitung, il 31 maggio scorso.
Il Tagesanzeiger sbatteva addirittura il mostro in prima pagina, come si dice, non limitandosi tuttavia a indicare solo lo scandalo italiano, ma anche il possibile coinvolgimento del calcio svizzero. Questo sarebbe, infatti, per l’opinione pubblica svizzera il vero scandalo, se venissero confermati i sospetti che interessano da tempo sia la Procura federale che la magistratura ticinese.
La Neue Zürcher Zeitung relegava la notizia delle scommesse a pagina 21 nella rubrica «Opinioni e Dibattiti» col titolo: «Das Gift im Calcio», il veleno nel calcio. L’opinionista rilevava come da questa faccenda la credibilità del calcio italiano ne esca molto danneggiata, soprattutto dopo i numerosi arresti e le decine di perquisizioni delle ultime settimane.
E’ rimbalzato anche sulla stampa svizzera lo sfogo del premier Monti alla vista delle macerie morali del calcio italiano, per cui auspicherebbe, come privato cittadino indignato, due, tre anni di sospensione. Naturalmente, anche in Svizzera si preferisce che si colpiscano i colpevoli piuttosto che penalizzare il calcio.

Rubik ancora in primo piano
A tenere ancora banco sono pure gli accordi bilaterali sul modello Rubik, quelli già conclusi con Germania, Gran Bretagna e Austria e quello ancora da negoziare con l’Italia. Se la Svizzera comincia a tirare un sospiro di sollievo per l’approvazione di questi accordi da parte delle Camere federali, il Ticino resta ancora col fiato sospeso in attesa dei risultati del negoziato in corso con l’Italia e specialmente del prossimo incontro tra il Presidente del Consiglio Mario Monti e la Presidente della Confederazione Eveline Widmer-Schlump. Qualche timore, infatti, serpeggia sugli oneri che potrebbe essere chiamato a sopportare il Ticino se l’aliquota da pagare dovesse risultare troppo alta.
Probabilmente per dovere di cronaca la stampa svizzera ha registrato anche l’idea rilanciata da Berlusconi (con qualche sorpresa da parte di chi lo riteneva già fuori gioco, se non proprio già nel sarcofago, secondo l’immagine satirica provocatoria dei suoi detrattori, riportata anche da quasi tutti i media svizzeri!) del semipresidenzialismo, ossia dell’elezione diretta del capo del governo a doppio turno (come in Francia). Quasi contemporaneamente, ma evidentemente senza alcuna relazione, si faceva notare che in Svizzera il Consiglio federale respinge l’iniziativa dell’Unione democratica di centro (UDC) dell’elezione popolare diretta del Consiglio federale. Del resto in molti si chiedono perché cambiare sistema se finora ha sempre funzionato almeno discretamente bene. Ma si potrebbe dire altrettanto degli innumerevoli governi che si sono succeduti in Italia, molto spesso in seguito a elezioni anticipate?

Giovanni Longu
Berna, 6.6.2012