30 novembre 2011

Italiano: meno discussioni e più pratica

Ritorno sul tema dell’italiano (v. L’ECO n. 48 del 23.11.2011) per soffermarmi su una domanda che mi posi nel 2002 all’indomani della pubblicazione dei risultati del censimento federale del 2000 sulle lingue: «L’italiano è ancora una lingua “nazionale”?». Ne scrissi sui tre quotidiani ticinesi, evidentemente senza suscitare grande interesse.
A una domanda analoga, ritenuta dagli organizzatori «provocatoria», è stato dedicato un dibattito su una televisione locale ticinese nel mese di marzo di quest’anno, dopo che il Cantone di San Gallo aveva rinunciato dietro forti pressioni a tagliare l’italiano come opzione specifica nelle scuole di maturità. A distanza di molti mesi, quando il problema dell’italiano è ridiventato acuto per la minaccia (e recentemente attuata) del Cantone di Obvaldo di abolirne l’insegnamento nella scuola di maturità di Sarnen, è intervenuto sul tema il linguista Stefano Vassere con un articolo (provocatorio?): «Ma l’italiano in Svizzera è una lingua regionale».

Italiano regionale o nazionale?
Il fatto che quel titolo non contenesse più un punto interrogativo finale ha suscitato, più ancora del contenuto dell’articolo (certamente discutibile), un’ondata di repliche di giornalisti, insegnanti, ricercatori e personalità autorevoli come Remigio Ratti, Titiana Crivelli, Michele Loporcaro e altri. Ma come, si sono detti quasi in coro, l’italiano è una lingua «nazionale» e non può essere declassato a lingua solo «regionale».
Mentre trovo lodevole la diffusa preoccupazione sulle sorti dell’italiano nella Svizzera tedesca e francese, sono sorpreso che di fatto si riduca il problema della tenuta dell’italiano a un problema meramente teorico, mentre è un problema eminentemente politico e pratico, fatto di persone più o meno interessate alla lingua italiana e della loro localizzazione. La statistica parla al riguardo un linguaggio chiarissimo: l’italiano s’indebolisce costantemente nella Svizzera tedesca e francese (non condivido pertanto l’ottimismo di Elena Maria Pandolfi dell’Osservatorio linguistico) e si rafforza nella Svizzera italiana. D’altra parte un’inversione di tendenza non è pensabile perché l’immigrazione dall’Italia è finita o comunque ridotta e l’apprendimento dell’italiano non può essere imposto per legge.
Sotto questo punto di vista Vassere non fa che prendere atto di una tendenza consolidata, senza nulla togliere al valore giuridico e ideale dell’italiano in Svizzera, considerato dalla Confederazione lingua nazionale e ufficiale. Come tale l’italiano è registrato addirittura nella Costituzione (articoli 4 e 70). Sul piano pratico, invece, non v’è dubbio che l’italiano tende sempre più a concentrarsi nella Svizzera italiana, l’unica regione in cui l’italiano non è a rischio d’estinzione.

L’italiano va affrontato in termini politici e pratici
Detto questo, mi sembra che il problema dell’italiano nel resto della Svizzera vada affrontato in termini essenzialmente politici e pratici. Anzitutto politici, agendo come indicavo nel precedente articolo sulla responsabilità dei Cantoni a mantenere per motivi ideali (coesione nazionale) ma anche economici (come sottolineato da Ratti) l’offerta di corsi d’italiano nelle loro scuole di ogni ordine e grado, ma anche agendo sullo Stato italiano (ambasciata e consolati) perché intraprenda con i Cantoni un percorso di sinergie e di cogestione dei corsi di lingua e cultura italiane. E’ ormai evidente, anche alla luce delle difficoltà finanziarie dello Stato italiano, che tali corsi possono sopravvivere solo col sostegno dei Cantoni.
Sul piano pratico anche le associazioni tradizionali italiane dovrebbero farsi carico di non trascurare il loro carattere «italiano» nelle loro manifestazioni e di testimoniare che la pratica dell’italiano e l’esternazione dell’«italianità» sono assolutamente compatibili con una riuscita integrazione. Lo si nota facilmente in tutte le «feste» italiane: tra i partecipanti sono sempre molto numerosi gli svizzeri. Evidentemente anch’essi apprezzano questa componente «meridionale» della Svizzera e forse ne sentono addirittura il bisogno. Per salvare l’italiano anche questo aspetto va tenuto in considerazione, approfondito e valorizzato.
Per quanto riguarda invece la discussione sulle nozioni di «nazionale» e «regionale» credo che non meriti ulteriori interventi. Del resto, già nel 2002 l’Ufficio federale della cultura ricordava in un comunicato che «la Svizzera ha definito lingue regionali o minoritarie ai sensi della Carta europea delle lingue il romancio e l'italiano, assoggettandole alle disposizioni di promozione contemplate».

Giovanni Longu
Berna 30.11.2011

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