09 marzo 2010

Berlusconi o Di Pietro: chi è pericoloso per la democrazia?

Da quando Berlusconi è sceso in politica, nel linguaggio di molti avversari al suo schieramento sono ricomparsi termini che solitamente venivano riservati a ben altra realtà storica italiana di cui pian piano si sta perdendo il ricordo: assassinio della democrazia, regime, dittatura, dittatore. Termini bruttissimi perché sono sinonimi di mancanza di libertà, violenza gratuita, negazione della democrazia e, quanto ai dittatori, si sa bene che fine abbiano fatto quasi tutti.
Ad usare quei termini nei confronti di Berlusconi e del suo governo sono per fortuna pochi e forse per questo la maggioranza degli italiani non ci fa caso. Tra coloro che denunciano «la scomparsa della democrazia, uccisa dal governo Berlusconi» vi sono alcuni militanti del Partito dei comunisti italiani e di Rifondazione comunista, che il popolo italiano ha già provveduto nelle ultime elezioni a estromettere dal Parlamento. Ve ne sono invece altri molto aggressivi ancora in Parlamento, da cui il popolo italiano dovrebbe guardarsi bene perché non sanno quel che dicono e non sanno quel che fanno, ma fanno molto male proprio alla democrazia che a parole dicono di voler difendere.
Questo gruppo di esasperati che gridano contro il regime di Berlusconi e la dittatura del suo governo ha alla sua testa un tribuno che, reduce da qualche successo (tra molte disfatte) in magistratura, si è montato a tal punto la testa da ritenersi il vero interprete della Costituzione, il più grande portatore dei Valori d’Italia e in diritto di bacchettare a piacimento persino i suoi stessi compagni antiberlusconiani chiamandoli «pavidi e ipocriti». Il suo nome è Antonio di Pietro.
Qualche mese fa, il giornalista Piero Ostellino faceva di lui questo ritratto: «Antonio Di Pietro assomiglia più a un demagogo sudamericano, aspirante alla dittatura, che al capo di un partito (l’Italia dei Valori) presente nel Parlamento di un Paese di democrazia liberale». «Un demagogo che interpreta, sollecita e lusinga i peggiori istinti», «un demagogo che fa leva sul malcontento popolare e sulla debolezza del Partito democratico per proporsi come la sola opposizione antagonista al Governo Berlusconi. Non è colto, forse non è neppure intelligente; di certo, però, è scaltro e soprattutto molto spregiudicato». «A suo modo, egli è una sorta di piccolo Mussolini del XXI secolo». Ostellino non sembra avere dubbi: «Di Pietro è un pericolo per la democrazia italiana, perché troppi italiani per bene, non necessariamente suoi sostenitori, vedono in lui l’«Uomo giusto», come, nel 1922, lo videro in Mussolini. Con una sola differenza che lascia sperare che l’Italia, questa volta, se la cavi: Di Pietro non ha né la cultura né la personalità politica di Mussolini».
Nella recente vicenda delle liste per le elezioni regionali non si può non condividere il parere personale del Presidente della Repubblica, secondo cui si è trattato di un brutto «pasticcio», la cui responsabilità sembra ricadere per intero sul partito di Berlusconi. Detto questo, però, volerne far pagare le conseguenze al popolo italiano e alla democrazia non è altro che cinismo e spregio dello Stato di diritto. Alle elezioni il popolo italiano vuole avere la libertà di scelta tra opposti schieramenti concorrenti e bene quindi ha fatto il Governo a predisporre e il Presidente della Repubblica a emanare un apposito decreto legge atto ad impedire che un errore procedurale, per quanto grave, privasse il popolo italiano del suo principale diritto civico. In qualunque Paese civile agli errori si può porre rimedio, solo nelle dittature questo non è possibile. Starà al popolo, in assoluta libertà, decidere da chi vuole essere governato, chi premiare e chi bocciare.
Scandalizzarsi dell’intervento correttivo del Governo e dell’avallo del Capo dello Stato significa tenere in scarsa considerazione i diritti sovrani del popolo e della democrazia e non avere il senso dello Stato. Nel caso di Di Pietro e di quanti ne condividono l’esaltazione fino a chiedere l'impeachment del Capo dello Stato significa, per usare ancora un’espressione di Ostellino, «calpestare i più elementari principi e le istituzioni stesse della democrazia rappresentativa». Altro che Uomo «giusto»! Non sarebbe certo quello che, cadendo Berlusconi, risolleverebbe le sorti dell’Italia. Anche il signor Romano Prodi dovrebbe chiedersi sinceramente di chi, oggi, bisognerebbe davvero avere paura in Italia.
Giovanni Longu
Berna, 8.3.2010

1 commento:

  1. Democrazia è un termine che vuol dire tutto ed il contrario di tutto.
    Rispetta la democrazia chi sta all’interno di paletti ben precisi. Questi paletti sono definiti dalla Costituzione.
    Berlusconi ha ancora una volta saltato i paletti da essa stabiliti con il beneplacito del Presidente della Repubblica, primo notaio della Nazione.

    Le nazioni estere prevedono delle regole senza alcun rafforzativo. Un divieto di parcheggio è segnalato da un rettangolo blu, lettera P bianca sbarrata di rosso.
    In Italia ciò non basta. Occorre la scritta. Ma non la semplice scritta “ Vietato parcheggiare” ma rafforzata da un “ E’ severamente vietato parcheggiare”.

    All’estero quando la legge prevede una scadenza riporta solo il “ ENTRO LE ORE....DEL...”
    Da non non basta. Entra in scena, e come potrebbe mancare, il rafforzativo “ Entro e NON OLTRE le ore...del...”. Chi l’avrebbe mai detto! Abbiamo anche fatto un decreto “interpretivo” in tal senso.
    Non so cosa pensare! I giudici dovrebbero interpretare una data di scadenza ben precisa in altro modo. Mah!

    Art. 72 della Costituzione, 4 comma.
    La materia elettorale è esclusiva del parlamento.

    Non basta. In Italia non basta, ci vuole il rafforzativo.
    Legge oridinaria n. 400/1988 art. 15
    Vietati i decreti in materia elettorale.

    Un articolo della Costituzione e uno rafforzativo di legge ordinaria violati in un batter di ciglia. Mah!

    Da tenere presenti che in tanti stati delle democrazie occidentali si da per scontato che il governo non possa mettere parola in materia elettorale. Occorre spiegare il perché?

    Andiamo avanti.
    Il diritto di voto ad una grande fascia di elettori non veniva assolutamente inficiato.
    Non si penalizzava un grande partito per delle ragioni molto semplici.

    I partiti pre-elettorali non sono grandi partiti. Essi presentano in tribunale una lista di nomi di candidati ed un certo numero di firme di simpatizzanti. Queste firme devono avere un numero legale, solitamnete quanche centinaio in più per timore che qualcuna venga cassata.
    SOLO DOPO le elezioni sapremo qual è il grande partito, le elezioni le facciamo appunto per questo! Prima sono tutti pressochè uguali.
    O diamo per scontato che vincerà il PdL. Se è così abolimao pure le elezioni.

    Qui si violenta la Costituzione, creando un pericoloso precedente, solo perché un incapce strafottente è andato a farsi un panino.

    Andiamo in Lombardia.
    Ci sono delle regole ben precise. La documentazione viene analizzato da un Tribunale. Se è corretta bene altrimenti cassa, segue poi ricorso.
    Cosa ha fatto il Presidente della Repubblica? Ha detto come delle regole ben precise debbano essere intepretate. Le regole prevedono che ci sia la fima leggibile dell’autenticatore? Per decreto presidenziale vale anche senza.

    Mi chiedo: in che mondo vivo!

    Ma torniamo indietro. Come è sempre stato.

    I partiti raccolgievano il numero legale di firme, spesso sovrabbondanti di qualche centinaio o migliaio per pararsi le spalle.
    Tre responsabili di partito si recavano appena pronti presso la Corte d’Appello per depositare la documentazione. Partivano con due macchine e gli spiccioli. Se restavano piedi chiamavano un taxi,
    se crollava il mondo ci sarebbero tornati il giorno dopo o quello appresso, non aspettavano certo l’ultimo momento.

    Consegnata la documentazione si preparavano la strada ad eventuali ricorsi. Ma mai per le firme o per i timbri perché questi erano cautamente ben superiori al numero legale.

    Ed ora? Cos’altro manca?

    Il lodo Alfano costituzionale, il legittimi impedimento, il..... Mah!

    Nino Alizzi

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