A chi leggesse frettolosamente e frammentariamente le opere principali di Sant'Agostino o anche solo il De Civitate Dei l’antropologia agostiniana potrebbe apparire negativa e pessimistica già dalla definizione di uomo come composto di anima e corpo, in cui l’anima, pur essendo la parte superiore è fortemente condizionata e appesantita sulla terra dal corpo, la parte inferiore, corruttibile, gravato pesantemente dal peccato originale, che rende tutto l’uomo «peccatore» e autore del disordine del mondo dopo aver abbandonato la Città di Dio per vivere nella Città terrena «senza Dio». Ad una lettura più attenta, invece, l’antropologia agostiniana risulterebbe sostanzialmente positiva, ottimistica, sublime, ovviamente nel contesto di fede in cui vive e scrive Agostino.
L’uomo salvabile, anima e corpo
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Ritratto di Agostino (354-430) di S. Botticelli, 1480. |
Benché peccatore, tanto da meritare di essere cacciato dal
Paradiso e di trasmettere all’intera umanità il peccato originale, l’uomo per
Agostino è ancora salvabile, sia pure non per merito suo, ma perché Dio stesso,
facendosi uomo, ha salvato la natura umana nella sua essenza e può renderlo ancora
partecipe della gloria eterna. Anche un non credente, leggendo il De Civitate Dei, sarebbe
soggiogato dalla convinzione e dall’enfasi con cui Agostino tratta il mistero
dell’Incarnazione («Il Verbo fatto carne») e della Salvezza attraverso Gesù
Cristo, «vero uomo e vero Dio», che ha reso l’uomo «fratello» e Dio «padre», anche
nostro.
L’uomo per Agostino è dunque salvabile, come se Dio non si
fosse rassegnato a perdere la sua creatura speciale, creata a sua «immagine e somiglianza», ciò che costituisce una certa affinità tra il Creatore e la creatura
umana, benché non si possa ritenere questa «somiglianza» una copia perfetta, altrimenti
l’uomo sarebbe come Dio.
Agostino ha dovuto
lottare con quanti avevano dell’uomo opinioni diverse e più pessimistiche (da
Platone ai Manichei) ed è riuscito a trasmettere ai contemporanei e a noi
stessi un’immagine dell’uomo originariamente buono, libero e immortale. La
caduta ha rovinato il suo primigenio stato di grazia, ha reso l’uomo «fiacco,
fragile e destinato alla morte», ma Dio non l’ha privato di tanti doni e
soprattutto della possibilità di salvarsi attraverso la conoscenza, la fede e
la grazia divina. Anche il corpo potrà raggiungere la felicità e l’immortalità.
Per Agostino, il corpo, soggetto a corruzione
appesantisce l'anima, ma non l’opprime. In alcune opere ne ammira le capacità,
la bellezza, il suo tendere costantemente al bello e al vero. Poco importa,
sembra dire Agostino, che l’uomo sia fatto di anima e corpo perché è unico, per
grazia di Dio. E anche se il corpo prima o poi morirà, l’uomo anima e corpo è
destinato a sopravvivere alla morte, che di per sé «non è niente», è solo un
passaggio. Del resto, già su questa terra il suo corpo è una meraviglia e
Agostino si domanda: «in esso la posizione dei sensi e le altre membra non sono
forse così disposte, l'aspetto, l'atteggiamento e la statura di tutto il corpo non
sono forse così regolate che esso si rivela organizzato per il servizio
dell'anima razionale?». E non è meravigliosa la complessità e l’armonia delle
varie parti del corpo umano con il suo «groviglio di vene, nervi e viscere,
nascondiglio di funzioni vitali»?
L’uomo, la grazia e l’immortalità
L’uomo, dice Agostino, a differenza di tutti gli altri esseri viventi «privi di ragione e chini verso la terra» ha una forma « che si erge
verso il cielo» e fa pensare che egli capisca le cose dell'alto. «La
sorprendente facilità di movimento, che è stata assegnata alla lingua e alle
mani, appropriata e congiunta al parlare e allo scrivere e a compiere le opere
di molte tecniche e servizi, non dimostra forse chiaramente a quale anima, per
esserle sottomesso, è stato unito un corpo simile?»
E che meraviglia gli altri sensi, attraverso i
quali l’uomo riesce a percepire la bellezza e l’utilità della realtà creata
«nella multiforme e varia bellezza del cielo, della terra e del mare, nella
grande profusione e meraviglioso splendore della luce stessa nel sole e luna e
nelle stelle, nella ombrosità dei boschi, nel colore e odore dei fiori, nella
diversità e numero degli uccelli ciarlieri e variopinti, nella diversa vaghezza
di tanti e tanto grandi animali, fra i quali destano maggiore ammirazione
quelli che hanno il minimo della grossezza, perché ammiriamo di più l'operosità
delle formiche e delle api che i corpi immensi delle balene, e nella immensa
veduta del mare quando, come di una veste, si ricopre di vari colori e talvolta
è verde nelle varie gradazioni, talora color porpora, talora azzurro e lo si
ammira anche quando è in tempesta…».
E che dire dell’avvicendarsi del giorno
e della notte, della carezzevole tiepidezza delle brezze, della varietà della
vegetazione e del bestiame, della ricchezza dei colori e dei sapori! Agostino però
va oltre e quando sembra interrogarsi se «tutti questi beni sono sollievi
d'infelici e condannati» o piuttosto «premio dei beati» pone un’altra domanda: «che
cosa sarà dunque quel bene [il premio dei beati] se già questi [terreni] sono
tanti, così considerevoli e grandi? Che cosa darà a coloro che ha predestinato
alla vita colui che li ha anche dati a coloro che ha predestinato alla morte?
Quali beni farà avere nella vita beata a coloro per i quali in questa vita
infelice ha voluto che il suo Figlio unigenito soffrisse tanti mali fino alla
morte?»
Agostino non ha dubbi, sarà «una grande,
abbagliante, certa scienza di tutte le cose, senza errore e inquietudine,
perché lì si berrà la sapienza dalla sua stessa sorgente con somma serenità,
senza difficoltà». Anche il corpo avrà la sua ricompensa che consisterà in una «grande
perfezione».
Libertà e grazia per l’eternità
Sulla terra, però, l’uomo non ha sempre un
compito facile perché deve scegliere, tra il bene e il male, è libero. Infatti,
nel Paradiso terrestre, dopo il peccato originale, Dio non gli ha tolto la
libertà, gliela ha lasciata perché da uomo libero decidesse a quale Città appartenere,
a quella terrena o a quella celeste, con la possibilità di rinunciare o
perseguire, sia pure con l’aiuto della grazia divina, il fine per cui è stato
creato, ossia la contemplazione di Dio stesso che «ci hai fatti per sé e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in Lui».
Agostino, che eredita dalla filosofia greca,
specialmente da Platone, molte nozioni e considerazioni generali, a quelle
nozioni sovrappone le sue scoperte più geniali e confortanti, frutto di lunghe riflessioni,
una conoscenza approfondita delle Sacre Scritture, una grande umiltà e una
incrollabile fede: l’uomo non ha solo un’origine divina, ma è l’immagine di Dio,
a Lui deve tendere con tutte le sue forze senza lasciarsi deviare da altri
amori. Solo in Lui, infatti, l’uomo raggiungerà la felicità eterna.
Giovanni Longu
Berna 26.07.2025
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