FESTA
NAZIONALE: PERCHÉ IL 1° AGOSTO E IL 2 GIUGNO?
La Festa nazionale svizzera avrebbe potuto
essere il 12 settembre perché quel giorno, nel 1848, con l’approvazione della prima
Costituzione federale, nacque la moderna Confederazione. La Svizzera, invece,
preferisce ricordare la data del 1° agosto, anniversario della nascita della vecchia Confederazione
avvenuta, secondo un antico documento, «nei primi giorni d'agosto del 1291».
Diversamente, l’Italia, celebra la Festa nazionale il 2 giugno,
anniversario della scelta repubblicana nel referendum del 1946 e non il 4
marzo, giorno in cui, nel 1848, Carlo Alberto di Savoia emanò lo Statuto
albertino o il 17 marzo, in ricordo della proclamazione dell’Unità d’Italia (17
marzo 1861).
Perché il 1° agosto e il 2 giugno?
La Svizzera scelse la continuità
Testo della Costituzione federale sottoposto a referendum nel 1848 |
Certamente anche il 12 settembre entrava in
linea di conto per la scelta definitiva, perché il 12 settembre 1848 era
intervenuto un cambiamento radicale nella storia svizzera, col passaggio dalla
vecchia Confederazione costituita da un’alleanza tra Cantoni liberi e
indipendenti, spesso in contrasto fra loro, alla moderna Confederazione fondata
su una Costituzione federale vincolante per tutti. Questa data fu lasciata
cadere (e ancora oggi è poco conosciuta dagli svizzeri) e si preferì, come
detto, il 1° agosto in ricordo di quel mitico 1° agosto 1291, in cui,
ufficialmente, furono gettate le basi della Confederazione Svizzera. 1un
elemento di unione e di slancio popolare verso una patria libera e coesa.
Oltretutto, in questa maniera, si voleva manifestare che la moderna
Confederazione era in continuità con la vecchia, non in contrasto.
L’Italia ha preferito la discontinuità
L’Italia ha preferito la data del 2 giugno per
marcare, invece, il cambiamento di regime da monarchia a repubblica. Ha inteso
segnare la discontinuità non solo col fascismo, ma anche con la
monarchia, tanto è vero che nella nuova Costituzione repubblicana (entrata in
vigore l’1.1.1948) ben poco è stato conservato dello Statuto albertino, emanato
da Carlo Alberto di Savoia il 4 marzo 1848 quale
«legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia». Chi
ricorda più questa data? Eppure quello Statuto è stato alla base
dell’ordinamento del Regno d’Italia per quasi cent’anni. Si è preferito
collegare, soprattutto nei libri di storia per la scuola dell’obbligo, l’Italia
repubblicana principalmente ai valori della Resistenza e solo secondariamente
allo spirito risorgimentale (per es. l’Inno di Mameli, il tricolore, le figure
di Vittorio Emanuele II, «Padre della Patria», e di altri eroi del
Risorgimento).
Recentemente, tuttavia, con una legge del 2012
(art. 1, comma 3, legge 23 novembre 2012, n. 222) si è cercato di richiamare
alla memoria popolare almeno la data dell’Unità d’Italia, probabilmente per
contrastare i vari movimenti indipendentisti che stavano prendendo piede in quegli
anni in Italia. Essa recita, fra l’altro: «La Repubblica riconosce il giorno 17
marzo, data della proclamazione in Torino, nell'anno 1861, dell'Unità d’Italia,
quale “Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della
bandiera”, allo scopo di ricordare e promuovere, nell'ambito di una didattica
diffusa, i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza
civile, nonché di riaffermare e di consolidare l'identità nazionale attraverso
il ricordo e la memoria civica». Francamente non conosco i risultati di questo
tentativo, ma ho forti dubbi sulla sua riuscita.
Referendum e plebisciti
Restando sul terreno delle
analogie e delle differenze, vorrei segnalare (anche perché di tanto in tanto
torna di attualità) la maniera, apparentemente simile, con cui si è giunti in
Svizzera alla moderna Confederazione (1848) e in Italia dapprima
all’unificazione (17 marzo 1861) e poi all’adozione della Costituzione
repubblicana. In entrambi i casi si trattò di una votazione popolare, ma le modalità
con cui avvenne in Svizzera e in Italia, anche alla luce dei risultati, erano
molto differenti.
Il referendum svizzero del
1848
In Svizzera si giunse
all’approvazione della Costituzione federale del 1848 con un referendum
popolare che ebbe luogo in tutti i Cantoni, ad eccezione di quello di Friburgo,
dove ad approvarla fu l’assemblea legislativa (Gran Consiglio). Non ci fu un’approvazione unanime del testo proposto (sebbene
contenesse solo disposizioni generali, composizione e competenze delle autorità
federali e principi per riformare la Costituzione, già discussi e concordati
nella commissione «costituente»), soprattutto perché in alcuni Cantoni, per lo
più cattolici e conservatori, si era tendenzialmente ostili a qualsiasi forma
di centralismo. La libertà di voto fu comunque il segno di una società
libera e democratica, anche se a quei tempi non esisteva ancora il
suffragio universale.
La percentuale dei votanti a favore della
Costituzione variava dal 62% del Cantone di Soletta al 100% di quello di
Glarona (in cui si votò per alzata di mano durante un’apposita assemblea
popolare in piazza, la Landsgemeinde; evidentemente agli scrutatori era
sembrato che tutti l’avessero alzata per il sì), seguito col 95% dal Cantone di
Neuchâtel. Complessivamente la Costituzione fu accettata dal 72,8% dei votanti.
Nei Cantoni che votarono contro, la percentuale dei no variava tra un minimo
del 60% (Vallese) e un massimo del 97% (Obvaldo). Il Cantone Ticino la respinse
col 73% di no.
Quando il 12 settembre 1848 la Dieta
(costituita da tutti i rappresentanti dei Cantoni) dichiarò che la Costituzione
era stata «accettata e riconosciuta come legge fondamentale della
Confederazione Svizzera», precisò anche che era stata adottata «da quindici
Cantoni e mezzo, rappresentanti insieme una popolazione di 1.897.887 anime, per
conseguenza la grande maggioranza dei cittadini attivi, così come la gran
maggioranza dei ventidue Cantoni». Con quella dichiarazione nasceva il nuovo
Stato federale, perché fondato su una Costituzione valida per tutti, Popolo,
Cantoni e Confederazione, e fondata su una nuova forma di democrazia in cui la
maggioranza vince ma il diritto all’opposizione è garantito e rispettato.
I plebisciti italiani (1848-1870)
In Italia, com’è noto, si giunse
all’Unità non attraverso una libera adesione dei vari Stati in cui era
suddivisa l’Italia nel 1848, ma attraverso l’annessione prima al Regno di
Sardegna e poi al Regno d’Italia, ratificata successivamente da plebisciti.
Quanto fossero diversi i plebisciti italiani dal referendum svizzero lo provano
le percentuali dei sì all’adesione, che sfiorava quasi sempre il 100% dei voti
espressi) e l’esiguità dei voti contrari. Percentuali impossibili se avessero
votato tutti coloro che ne avevano diritto e se avessero potuto votare
liberamente!
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Italia: vittoria della Repubblica al referendum del 2.6.1946 |
Giusto per citare qualche esempio, ancora
recentemente, durante il suo tradizionale raduno di Pontida, la Lega Nord ha
ribadito il suo impegno a lottare «per la libertà del nord dall’oppressione del
centralismo italiano», ricordando ai militanti che l’obiettivo resta la
secessione della Padania.
Altro esempio: il 6 settembre scorso il Corriere
della Sera ricordava che la Regione Veneto, per «festeggiare» i 150 anni
del Plebiscito del 1866 (subito dopo l’annessione al Regno d’Italia), aveva
fatto distribuire provocatoriamente alle biblioteche un libro intitolato:
«1866, La grande truffa». Al Veneto, infatti, era stata attribuita
ufficialmente una percentuale di sì all’adesione del 99,99%; i voti contrari
sarebbero stati 69!
Tra le Regioni che non dimenticano c’è anche la Sardegna, come si vedrà
nel prossimo articolo. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 28.09.2016
Berna, 28.09.2016
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