La questione dei profughi in fuga dai teatri di guerra e
dalle regioni in cui la fame e la miseria uccidono non meno delle guerre
rischia di diventare ingestibile, soprattutto in Italia, anche perché le idee
al riguardo sono molto confuse e senza prospettive. Lo si vede anche dalla
terminologia utilizzata in Italia persino negli interventi ufficiali. Si parla
indifferentemente di «migranti», «profughi», «richiedenti l’asilo», «persone
che scappano dalla guerra», di «emergenza umanitaria», ecc. e non si parla mai
delle fasi successive a quella della prima accoglienza.
Confusione deleteria
Trovo anzitutto deleteria la confusione terminologica.
Finché si continua a parlare di migranti ci sarà sempre qualcuno che obietterà
che in questo momento in Italia non ce n’è bisogno perché «non c’è lavoro
nemmeno per gli italiani», «non si possono privilegiare gli extracomunitari
rispetto ai cittadini disoccupati», «uno Stato non può garantire vitto e
alloggio gratis a chi riesce a metter piede in Italia, quando ci sono tanti
italiani sfrattati, senza alloggio, senza reddito, che vivono in stato di
povertà, costretti ad affollare le mense della Caritas» e altre obiezioni simili.
Spesso poi, si sa, dalle parole si passa ai fatti e i
«migranti» vengono respinti, isolati, emarginati, trattati come gli appestati
di una volta, sfruttati, ma anche assoldati dalla malavita e dal crimine
organizzato. Questo in Italia. A livello europeo si va anche oltre. Qualche
Stato, come l’Ungheria, pensa di blindare le frontiere con muri alti quattro
metri, altri Paesi intensificano i controlli alle frontiere bloccando chi non
ha i documenti in regola, sorvegliano giorno e notte valichi un tempo non
presidiati, dichiarano chiaro e tondo che «non possono» accogliere altri
profughi perché ne hanno fin troppi.
E’ la prova provata che non si tratta di «migranti» nel
senso abituale del termine. Tanto più che gli emigrati/immigrati sono quasi
sempre «chiamati» e impiegati in attività lavorative per le quali la forza
lavoro indigena è insufficiente, mentre i «migranti» che approdano a Lampedusa
o sono soccorsi in mare nessuno li ha chiamati, anche se sono in cerca di
un’occupazione.
Meglio chiamarli «profughi»
Gli emigrati/immigrati per motivi di lavoro, inoltre, sono
assicurati, ogni Stato richiedente cerca di trattenerli, almeno finché c’è il
lavoro, garantisce loro gli stessi diritti degli indigeni, e cerca di
integrarli nella società in cui vivono. Quali Stati europei, invece, sono
disposti a garantire ai «migranti» gli stessi diritti dei propri cittadini, a dare
loro la possibilità di accedere liberamente al mercato del lavoro e,
soprattutto, a integrarli? Quale Stato europeo ha adottato nei loro confronti
una politica d’integrazione?
Papa Francesco tra nomadi e profughi |
Ritengo pertanto preferibile non chiamarli più «migranti»
nel senso di «emigrati/immigrati», ma di chiamarli «profughi», «richiedenti
l’asilo», «bisognosi». Quanti cercano di fuggire dalle guerre, quanti fuggono
perché perseguitati e minacciati di morte, ma anche quanti cercano di sfuggire
alla miseria, micidiale talvolta non meno della guerra, sono e vanno
considerasti «profughi». In quanto tali hanno il sacrosanto diritto di
essere accolti e l’Italia e gli altri Paesi europei hanno l’obbligo fondato
sul diritto internazionale e sul diritto umanitario di accoglierli.
So che le obiezioni al riguardo sono tante e non di poco
conto (non sono tutti bisognosi, non fuggono tutti dalla guerra, non sono tutti
perseguitati, molti sono clandestini, ecc.), ma almeno in un primo tempo non si
può derogare al dovere dell’accoglienza e della solidarietà umana. I bisognosi
(e i profughi sono tutti in linea generale bisognosi) vanno rifocillati,
vestiti, curati, sistemati in alloggi decenti, rispettati come persone.
Polemica insensata di Salvini
Almeno in questa prima fase nemmeno Matteo Salvini
dovrebbe avere niente da ridire, per cui non capisco la sua polemica col papa
Francesco, reo di aver chiesto ai credenti di pregare «per tanti fratelli e
sorelle che cercano rifugio lontano dalla loro terra, che cercano una casa dove
poter vivere senza timore, perché siano sempre rispettati nella loro dignità» e
di chiedere perdono «per le istituzioni e le persone che chiudono le loro porte
a gente che cerca una famiglia , che cerca di essere custodita». Non era forse
nel suo diritto farlo? Oltretutto il contesto era chiaro: egli parlava a pochi
giorni dalla ricorrenza della «Giornata mondiale del rifugiato» (sabato 20
giugno). Parlava di «rifugiati» e di profughi, di «migrazioni forzate», non di
emigrati e immigrati volontari e tantomeno di clandestini.
Il politico Salvini, invece, avrebbe tutto il diritto e
persino il dovere di criticare il governo italiano e l’Europa sull'assenza di
politiche per il dopo la prima accoglienza; ma nemmeno lui sembra avere idee
chiare e proposte condivisibili. Non le ha perché è, a mio parere, come molti
altri politici e benpensanti europei, un rappresentante di una vecchia politica
conservatrice e miope, che s’illude di poter conservare ancora a lungo i
privilegi acquisiti non sempre in modo lecito (si pensi al colonialismo, alle
speculazioni finanziarie, all'impiego sconsiderato delle risorse, ecc.) e di
abbandonare al loro destino quanti aspirano a un po’ più di benessere e di
sicurezza.
Salvini, come del resto molti altri politici italiani ed
europei, sembra non accorgersi che il mondo sta cambiando inesorabilmente, che
le risorse mondiali si andranno necessariamente ridistribuendo e che sarebbe
un disastro culturale e umano se ciò avvenisse senza un minimo di umanità,
di solidarietà e di fratellanza.
Giovanni Longu
Berna 24.06.2015
Berna 24.06.2015
L'Italia, salvo trattati con i paesi del nordafrica non ha alcun diritto di vietare le partenze delle imbarcazioni nelle acque territoriali nordafricani. Quello che qualche politico definisce respingimento in alto mare il Diritto marittimo Interenazionale lo definisce pirateria, abbordare o impedire la libera navigazione in acque internazionale si chiama proprio pirateria. Tanto il Diritto marittimo internazionale quanto la consuetudine impongono di rispondere ai segnali di soccorso o il contatto radio o visivo con le imbarcazioni in palese difficoltà. Quello che invece qualcuno chiama blocco navale è, nel significato del suo termine, e una operazione di guerra costosissima.
RispondiEliminaIn acque territoriali italiane entra in gioco il codice penale con articoli tipici dell' omissione di soccorso. Una volta approdati le regole del comune vivere civile valgono sia in termini positivi che negativi anche per i forestieri.
Vedo nero. Arriverà un futuro neppure tanto lontano che avremo bisogno di maestranze africane, abbiamo perso memoria di tanti, troppi mestieri artigianali un nesempio? Un cestino di vimini è biosostenibile, economico, robusto e duraturo e può sostituire la plastica in tanti settori, ed è solo un esempio ma di solito mi si risponde che sono menagramo!
Saluti
Antonino Alizzi