13 marzo 2024

9. L'Europa umanistica e rinascimentale

Con la vittoria della Cristianità sull'Impero ottomano (Islam) a Lepanto (1571) si può ritenere che l’Europa abbia raggiunto la sua massima estensione. Lo confermano, fra l’altro, gli atlanti successivi a quell'evento. Quello è stato anche il periodo in cui Europa e Cristianità hanno coinciso al massimo, ma pure l’epoca in cui al sentimento religioso comune si è aggiunta un’altra caratteristica destinata a uniformare in misura determinante il continente: la cultura umanistico-rinascimentale. L’Umanesimo e il Rinascimento hanno infatti contribuito a trasformare l’Europa in un continente permeato, oltre che da una comune religiosità monoteistica cristiana, da valori umanistici e rinascimentali che faranno progredire le scienze, la tecnica, l’arte, la cultura in generale. Va tuttavia notato che a un tale incremento di conoscenze non è corrisposto un progressivo avvicinamento politico degli Stati, che hanno anzi perseguito interessi propri, talvolta persino confliggenti con quelli di altri.

La massima estensione dell’Europa e l’origine del nazionalismo

Atlante di A. Ortelius (1570), con i confini dell'Europa ancora arretrati rispetto a un secolo dopo.
Dopo la vittoria di Lepanto l’Europa politica raggiunse la sua massima estensione. Basta confrontare qualche atlante dell’Europa pubblicato prima del 1571 (per esempio il Theatrum Orbis Terrarum del famoso cartografo fiammingo Abraham Ortelius) e gli atlanti pubblicati dopo (per esempio quello dell’incisore e cartografo olandese Hendrik Hondius) per rendersi conto dell’estensione raggiunta dall'Europa dopo quella vittoria. Pur senza sopravvalutarne la portata, come suggeriscono molti storici, è innegabile che da allora quasi tutti i popoli europei si siano sentiti più sicuri e che i Russi ne abbiano approfittato per estendersi a nord e a est. Per essi non rappresentavano più un limite insuperabile né i grandi fiumi Don e Volga né il monti Urali né lo stretto dei Dardanelli.

Anche l'Europa cristiana, nel XVII secolo, raggiunse la sua massima estensione (fino al Mar Glaciale Artico e oltre gli Urali, sebbene anche in Siberia la Chiesa russa abbia creato chiese e diocesi) e una relativa tranquillità, dopo la riconquista spagnola e il freno russo all'espansione musulmana dell’Impero ottomano (nonostante i suoi reiterati tentativi di penetrazione in Austria e di conquistare Vienna).

Paradossalmente, tuttavia, invece di approfittare di quella condizione largamente favorevole per consolidare alleanze e perseguire una sorta di unità europea, molti Stati pensarono piuttosto a rafforzare i propri confini contro possibili minacce esterne e sollecitando la coscienza nazionale (spesso inesistente). Così, mentre il mito dell’unità europea si allontanava, nasceva quella forma di nazionalismo diffuso che ha finito per contagiare tutti gli Stati europei fino alla Seconda guerra mondiale.

La cultura diventa caratteristica comune

Quanto questa scelta dell’Europa di dividersi invece di unirsi abbia pesato sui singoli Stati è forse impossibile rilevarlo, ma ha certamente influito molto sulla storia europea, che da allora ha conosciuto numerose guerre deleterie e ritardato enormemente lo sviluppo dell’idea di unione europea in vista di uno sviluppo armonioso di tutti i popoli interessati, non solo in senso politico-militare, ma anche civile, sociale, economico, culturale e ideale.

Planisfero di H. Hondius (1630), in cui l'Europa non ha ancora raggiunto il suo estremo confine orientale.
Lo sviluppo dei singoli Stati non si è tuttavia fermato, seguendo ciascuno ritmi e modalità differenti secondo possibilità e circostanze proprie di ciascun Paese. Di fatto, approfittando della relativa pace nell'Europa dei secoli XV-XVII, quasi tutti gli Stati hanno cercato di consolidarsi all'interno, alcuni si sono estesi territorialmente approfittando di problemi di successione e relazioni matrimoniali, altri hanno approfittato delle scoperte geografiche per espandersi oltreoceano con conquiste coloniali, altri ancora hanno sfruttato condizioni di benessere particolarmente favorevoli.

Soprattutto in questi ultimi Paesi sono sorti nei secoli a cavallo tra Medioevo ed Epoca moderna due movimenti a carattere letterario-filosofico-artistico particolarmente innovativi, che si sono presto diffusi in Europa, contribuendo a trasformarla sotto il profilo non solo culturale, ma anche urbanistico, sociale, economico, scientifico, politico. Basti pensare allo sviluppo delle biblioteche, alla fondazione di numerose università, agli scambi culturali, alla trasformazione urbanistica di molte capitali, alla costruzione di palazzi e monumenti, alle collezioni d’arte, ecc. Se prima le idee circolavano lentamente grazie soprattutto agli spostamenti di monaci e pellegrini, con l’Umanesimo e il Rinascimento cominciarono a circolare sempre più facilmente e abbondantemente con scritti stampati e scambi sempre più frequenti di studiosi, letterati, scienziati, filosofi, artisti, architetti, inventori. Committenti delle grandi opere non erano più soltanto papi, abati, vescovi, re e principi, ma anche città, ricchi commercianti e banchieri, pur restando ancora i papi, i re e gli zar di Russia i principali committenti.

Giovanni Longu
Berna, 13.03.2024

12 marzo 2024

Papa Francesco per un negoziato contro la guerra in Ucraina

Qualche giorno fa, papa Francesco non ha parlato ex cathedra del conflitto russo-ucraino, ma da osservatore attento a cui non può sfuggire il dramma della popolazione civile, sia ucraina che russa, a causa di questa guerra. Invitando i belligeranti al cessate il fuoco e ad avviare trattative di pace non ha pronunciato un dogma che impegni la fede dei cristiani, ma un discorso chiaro fondato sul rispetto che i responsabili delle nazioni dovrebbero avere verso le popolazioni che rappresentano. Che molti di questi «responsabili», a cominciare dal presidente ucraino, abbiano criticato l’intervento del papa non può sorprendere perché hanno capito benissimo che quell'invito era rivolto a loro e che se lo rifiutano potranno essere considerati anche dalle loro opinioni pubbliche «irresponsabili».

Non credo che le parole del papa abbiano bisogno dell’interpretazione autentica per essere capite, perché è chiaro ch'egli sollecitava la responsabilità dei governanti, non solo dei belligeranti ma anche dei loro sostenitori, a salvare vite umane, non a continuare a uccidere. Non era un invito ad «arrendersi» rivolto ad una parte, ma un invito accorato rivolto a entrambe le parti a far cessare l’uso delle armi e a cominciare a «dialogare», partendo dal presupposto che la convivenza pacifica tra Stati e tra etnie diverse è possibile, anzi doverosa.

Dalle parole del Papa non si può quindi dedurre, come hanno fatto alcuni, che questo conflitto può concludersi solo con lo smembramento dell’Ucraina, in quanto potrebbe concludersi anche diversamente, per esempio, secondo me, con un riconoscimento formale dei diritti di tutte le parti interessate, anche di quelle popolazioni che nel 2014 avevano proclamato la proprio indipendenza da Kiev, garantendo loro, in base al diritto internazionale (Statuto ONU, artt. 1, 55 e altri), il rispetto dei diritti fondamentali individuali e collettivi, «senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione». Trovare un punto di equilibrio non sarà facile, ma nelle parole del Papa si può notare anche un certo ottimismo al riguardo.

Si può inoltre osservare che papa Francesco non è l’unico a sostenere la preminenza degli interessi delle popolazioni sugli interessi degli Stati. La sua azione rientra infatti in una tradizione, che non subordina gli interessi vitali delle persone alla «sovranità dello Stato» e all'«integrità territoriale» e non prevede tra i diritti dello Stato quello incondizionato di mandare al massacro decine di migliaia di cittadini per «difendere la patria», soprattutto se questa può essere difesa «pacificamente», e meno che mai il diritto di Stati non belligeranti a far combattere e morire in loro vece altre popolazioni in terre lontane dai propri confini.

Del resto, basterebbe chiedere ai combattenti in prima linea e alle loro famiglie cosa pensano della guerra per sentirsi rispondere che a loro interessa soprattutto vivere in pace. Quanto ai belligeranti e ai loro sostenitori, che spesso invocano il «diritto internazionale», andrebbe spiegato che per quanto imperfetta la Carta delle Nazioni Unite prevede all'articolo 1, paragrafo 2, la possibilità e il dovere di «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli».

A questo punto ci si può chiedere se non sia da incoscienti e irresponsabili pensare di raggiungere gli stessi obiettivi attraverso la guerra, senza rendersi conto dei danni diretti e indiretti enormi ch'essa provoca. Non ha dunque ragione il Papa quando supplica di porre fine al massacro della «martoriata Ucraina»? E non sarebbe saggio per i cittadini italiani manifestare il dissenso verso i sostenitori della guerra  in nome della Costituzione che all'articolo 11 recita che «l'Italia ripudia la guerra» non solo «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», ma anche «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»? 

Giovanni Longu
Berna 12.03.2024

 

08 marzo 2024

8 marzo: uomo e donna a immagine di Dio!

Uomo e donna «immagine di Dio»
Oggi, festa della donna, è un tripudio di mimose ed elogi alla bellezza e alle virtù delle donne. Certamente le donne, in ogni parte del mondo e in ogni condizione, meritano attenzione, riconoscenza e rispetto, non solo oggi, ma sempre. Tradizionalmente nella società umana si stabilisce una gerarchia tra le persone in base al ruolo e alla funzione che svolgono. Ai primi posti si trovano normalmente gli uomini perché sono essi che stabiliscono la maggior parte dei ruoli e delle funzioni, poi vengono le donne a seconda dei ruoli e delle funzioni. Da tempo, giustamente, le donne si ribellano a questa classificazione e trovano ingiustificata la disparità tra donna e uomo in base alla diversa partecipazione al «sapere», al «potere», alla «responsabilità». Hanno ragione, perché la lotta per la piena parità uomo-donna va sostenuta, a prescindere dai ruoli e dalle funzioni, essendo uomo e donna sostanzialmente uguali.

Ai credenti e non credenti andrebbe ricordato che il racconto biblico della creazione ha una valenza antropologica generale: «Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina» (Gen. 1,27). Questa «immagine di Dio» non è solo una prerogativa dei cristiani , ma di ogni persona umana, perché in ogni uomo e in ogni donna è impressa l’immagine di Dio. Quando si rivendica il rispetto dovuto alle donne come agli uomini basterebbe riferirsi a questa «immagine» e dovrebbe essere compito di ciascuno e di ciascuna rispettarla e valorizzarla, negli atti e nei pensieri.

In particolare ai credenti andrebbe tuttavia ricordato anche che, se è vero che nella storia la Chiesa non si è sempre attenuta a questo comandamento, è anche vero che essa è rimasta quasi sola a difendere i diritti fondamentali delle donne e le sue motivazioni sono così solidamente ancorate nella Bibbia e nella tradizione da non potersi efficacemente contestare o minimizzare: la dignità della donna (come dell’uomo) non deriva dal ruolo e dalle funzioni che essa svolge, ma dal suo essere «donna» (e uomo), creata (come l’uomo) a immagine di Dio. 

Fanno certamente bene le donne a rivendicare anche nella Chiesa l’esercizio di funzioni dirigenziali, di servizio e di responsabilità, ma il rispetto lo devono rivendicare a prescindere dai ruoli e se, per esempio, la funzione sacerdotale viene loro negata, la spiegazione non va ricercata in un presunto potere discriminatorio maschilista ancora presente nella Chiesa, ma in una ragionevole interpretazione della Bibbia: se infatti Gesù Cristo avesse voluto chiamare al sacerdozio anche donne, avrebbe potuto certamente farlo, ma non l’ha fatto e pertanto, secondo san Giovanni Paolo II, la Chiesa non ha il potere di farlo.

Giovanni Longu
Berna, 8 marzo 2024


06 marzo 2024

8. Europa, un’«idea» problematica

Dubito che in base agli articoli precedenti qualche lettrice o lettore sia riuscito a determinare con certezza i confini e quindi l’ampiezza dell’«Europa» dopo la vittoria di Lepanto (1571) o a percepirne l’«identità», cioè la caratteristica o le caratteristiche identitarie. Ciò è comprensibile, perché non è facile per nessuno indicare limiti geografici precisi a una realtà che non ha confini fisici certi, specialmente ad est, e riuscire a cogliere l’«identità» di un mosaico di popoli eterogenei e di Stati assai diversi tra loro, che stanno ancora prendendo forma. Del resto, l’incertezza e forse la confusione regna tutt'ora. Merita, dunque, prima di andare avanti nella ricerca delle radici cristiane dell’Europa di oggi, fare un po’ di chiarezza al riguardo.

Problematicità dell’«idea» di Europa

Antica carta d'Europa (ca 1580)
In genere, quando si parla di «Europa» senza ulteriori precisazioni, si presuppone che tutti gli interlocutori intendano riferirsi alla stessa realtà. Invece, stando anche solo a un’analisi sommaria dei media occidentali risulta evidente che il riferimento non è univoco. Per molti, infatti, l’«Europa» coincide con l’Unione Europea, per alcuni con i Paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa, per altri con quell'entità geografica imparata a scuola, situata tra l’Atlantico e i monti Urali e tra il Mediterraneo e il mar Glaciale Artico, per altri ancora l’Europa finisce a est al confine orientale della Finlandia, dell’Estonia-Lettonia-Lituania, della Polonia, dell’Ucraina, della Romania e della Bulgaria.

A un’attenta osservazione, non si tratta, tuttavia, solo di un’incertezza sui confini, ma anche di una grande diversità di idee sull'Europa, come se, in assenza di una solida riflessione storico-culturale, ognuno si sentisse autorizzato a dare di una storia più che millenaria e di un mondo variegato di popoli, tradizioni e culture una propria interpretazione considerandola fondata. Di qui la grande varietà di «idee» sull'Europa, con o senza la Russia (di cui molti vorrebbero fare a meno, benché ne costituisca circa il 40 per cento), con o senza una parte rilevante della Turchia, con o senza un progetto chiaro e sostenibile per il futuro, ma anche con la paura di scomparire come «potenza» e di non riuscire nemmeno a difendersi in caso di attacco senza l’ombrello protettivo americano.

Tuttavia, molti politici soprattutto in sede europea parlano dell’Europa come se esistesse o potesse esistere una sua idea elaborata ex novo dopo l’invasione russa dell’Ucraina, a prescindere da duemila anni di storia e da una miriade di contaminazioni culturali, filosofiche, linguistiche, religiose, artistiche, scientifiche tra i vari popoli del continente, negando di fatto la tendenza che ha sempre visto l’Europa pacificatrice e inclusiva (e non esclusiva) di popoli, religioni, culture, arti, e ignorando che l’inclusione ha reso l’Europa grande economicamente, politicamente e culturalmente. Senza questa capacità d’integrazione e di sintesi, dell’Europa si avrebbe nel mondo ben altra idea, perché riguarderebbe ancora un luogo di divisioni, di contrasti, di nazionalismi spinti, di conflitti permanenti.

La prima riflessione sull'Europa

Antica carta d'Europa (ca. 1600)
Può forse meravigliare qualche studioso di mitologia greca e qualche lettore, ma il mito di Europa (la bella principessa fenicia rapita da Zeus e portata a Creta) era solo un mito dell’antica Grecia e non riguardava affatto il nostro continente. I Romani non avevano una nozione precisa dell’Europa se non come la terra dei Barbari abitanti oltre il Reno e il Danubio. Non l’avevano i primi cristiani di Roma, della Gallia, della Britannia, dell'Helvetia e dell'Hispania; ma non l’avevano nemmeno Carlo Magno e gli imperatori del Sacro Romano Impero Germanico. Gli stessi crociati, pur provenendo da varie «nazioni» del continente, non si ritenevano ancora «europei». Il senso di appartenenza all'Europa maturò solo fra il XV e il XVI secolo, quando anche la cartografia cominciò ad interessarsi specificamente all'Europa e la circolazione delle idee cominciava a globalizzarsi.

Il primo studioso a indagare sull'identità europea e a elencare alcuni valori di riferimento in cui credere e per cui combattere è stato l’umanista italiano Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), eletto papa col nome di Pio II nel 1458, lo stesso anno della pubblicazione della sua opera De Europa. Data l’importanza di quest’opera, se ne tratterà più diffusamente nel prossimo articolo, cercando anche di rispondere a due domande fondamentali: Perché la prima riflessione seria sulla «identità» dell’Europa, sui suoi valori e sulla necessità di difenderli è avvenuta in un ambiente umanistico e cristiano? Perché è emersa nello stesso ambiente l’esigenza di un’Europa sostanzialmente unitaria sotto il profilo culturale e religioso?

Giovanni Longu
Berna, 6.3.2024

25 febbraio 2024

Russia-Ucraina: due anni abominevoli!

Da due anni si combatte in Ucraina una guerra abominevole, inutile e irresponsabile, che continua a suscitare sgomento e preoccupazione. L’opinione pubblica mondiale è molto disorientata e non può che auspicarne la fine rapida e una pace «giusta», soprattutto nel senso che elimini alla radice i motivi che l’hanno provocata.

Questa guerra è certamente abominevole e dannosa dal punto di vista delle popolazioni coinvolte, perché vengono calpestati i diritti fondamentali delle persone a vivere (in pace e libertà), ad avere una casa, un lavoro, una famiglia, un avvenire…. Ma è abominevole anche per ogni persona di buon senso, perché non si vede in questa guerra alcuna ragionevolezza e giustificazione (posto che per una guerra possano esserci buone ragioni!). Anzi s’intravvedono facilmente nelle persone che la vogliono evidenti forme di delirio d’onnipotenza, di prevaricazione, di abuso di potere, mentre le persone che la sostengono (militarmente e finanziariamente) cercano soprattutto di nascondere la propria incapacità di proporre soluzioni diplomatiche realistiche, raggiungibili col dialogo, i compromessi, gli accordi, abusando della buona fede e dei buoni sentimenti dei propri cittadini.

Dallo stallo che si registra oggi nelle operazioni militari appare evidente che questa guerra è non solo dannosa, ma anche inutile perché non solo non viene raggiunto alcun obiettivo utile per nessuna delle parti in conflitto, ma rinvia qualsiasi soluzione a un tempo indeterminato, mentre si allunga la fila dei morti, aumentano le atrocità per i superstiti, le distruzioni, la povertà, l’incertezza del futuro. Non può essere considerato un buon affare l’occupazione di un pezzo di terra con costi così elevati, tanto più se quella terra può essere coltivata, sfruttata, goduta insieme… pacificamente.

Purtroppo il prolungarsi di questa guerra dimostra anche l’irresponsabilità non solo dei governanti coinvolti direttamente o indirettamente, ma anche delle opinioni pubbliche e di chi non sa metterle in condizione di esprimere un giudizio davvero autonomo e convinto. Purtroppo anche le rievocazioni di questi giorni, a parte qualche eccezione, non forniscono elementi di giudizio seri e sufficienti. Per certune sembrerebbe accertata solo l’invasione da parte della Russia di due anni fa, dimenticando, per esempio, che prima di essa in Ucraina era in atto una guerra civile perché due grandi regioni a maggioranza russofona si erano dichiarate prima indipendenti e poi annesse alla Russa, ignorando che nel 1991, quando l’Ucraina si era resa indipendente dall'URSS, la NATO si era impegnata a non estendersi a est e l’Ucraina a restare neutrale; dimenticando che nel 2014 e 2015 non c’era stata solo l’annessione russa della Crimea, ma erano stati raggiunti anche compromessi ragionevoli col sostegno di alcune potenze occidentali (i famosi Accordi di Minsk)… che non vennero mai rispettati.

In un precedente articolo ho scritto che l’opinione pubblica sarà determinante nel futuro processo di pace (https://disappuntidigiovannilongu.blogspot.com/2023/09/per-una-pace-giusta-tra-russia-e.html). Per questo è necessario che il pubblico abbia a disposizione molteplici informazioni, senza ritenere che alcune sono certamente buone e altre ovviamente false a seconda della provenienza.


Il cons. fed. Ignazio Cassis, all'ONU 
Sotto questo profilo mi è sembrata insufficiente anche la rievocazione nella sede delle Nazioni Unite del ministro degli affari esteri svizzero, Ignazio Cassis. Volendo annunciare la disponibilità della Svizzera a ospitare una conferenza per la pace ad alto livello nei prossimi mesi, dopo aver ricordato le «violazioni flagranti al diritto internazionale e ai diritti dell’uomo» (senza menzionare i responsabili) ha invocato il «rispetto dell’integrità territoriale» dell’Ucraina, ma non ha detto una parola sul compito dell’ONU (art. 1, n. 3) di «promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione» anche in Ucraina e sul principio previsto dalla stessa Carta ONU all'articolo 55 «dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodecisione dei popoli». Nessun accenno, inoltre, agli Accordi di Minsk, che potrebbero essere una buona base di partenza del prossimo negoziato.

Infine, poiché prima o poi si arriverà alla fine di questa guerra e la Carta ONU costituirà la base di riferimento fondamentale della successiva pace, mi sarei aspettato che almeno nelle rievocazioni ufficiali si accennasse ai punti più controversi della Carta, tanto più che al riguardo le interpretazioni di Russia e Ucraina sono opposte. Senza un chiarimento preliminare e una mediazione autorevole, difficilmente il negoziato potrà iniziare e giungere a buon fine.

Giovanni Longu
Berna 24.2.2024 

21 febbraio 2024

7. La caduta di Costantinopoli, la vittoria di Lepanto e la coscienza «europea»

Le crociate erano state in larga misura un fallimento, ma non avevano azzerato l’indignazione dei cristiani per i soprusi dei musulmani né tantomeno la paura di essere prima o poi sopraffatti dall'Islam. Tuttavia, mentre il primo sentimento non suscitava più alcuna volontà di rivalsa a causa della disgregazione del Sacro Romano Impero, dell’esiguità dell’Impero d’Oriente (ormai ridotto a poco più della città di Costantinopoli) e del disinteresse della Chiesa, la paura spingeva i singoli Stati a dotarsi di eserciti nazionali per la difesa dei propri territori, ricorrendo talvolta anche all'aiuto di altri eserciti cristiani, com'era avvenuto nel 732 a Poitiers (Francia), in Spagna durante la «reconquista» (terminata nel 1492) e come avverrà a Lepanto nel 1571.

Islam pericolo reale

Caduta di Costantinopoli  (Domenico Tintoretto - Venezia, Sala del Maggior Consiglio)
Le crociate erano fallite a causa del declino degli Imperi (frantumati in tanti regni, principati, ducati, repubbliche, spesso in lotta fra loro), dei differenti interessi dei partecipanti alle varie coalizioni e della debolezza della Chiesa (contestata sia all'interno che all'esterno). Era perciò impensabile una nuova reazione militare dell’Occidente per sconfiggere l’Islam. Le stesse repubbliche marinare di Genova e Venezia, che avevano tratto grandi profitti dalle crociate, preferivano tener pronte le loro marinerie non per trasportare pellegrini e guerrieri, ma per gli inevitabili scontri che ci sarebbero stati per il controllo dei commerci fra Oriente e Occidente.

D’altra parte, il pericolo islamico era reale. L’Islam faceva paura perché non era solo una religione nuova, sebbene si ponesse in continuità con l’Ebraismo e il Cristianesimo, ma anche, secondo le stesse indicazioni del fondatore Maometto (570 ca.-632), un movimento politico e militare che incitava alla «guerra santa» contro gli infedeli.

Effettivamente, dopo aver conquistato l’Arabia e occupato gran parte dell’Impero bizantino (Siria, Palestina, Sicilia e alcune zone della Sardegna), i musulmani si erano spinti ad Oriente sconfiggendo i Turchi (convertendoli) e respingendo le orde dei Mongoli, avevano islamizzato tutto il Nord Africa (Egitto, Libia, Magreb) e buona parte della Spagna, ed erano intenzionati ad estendersi sia in Occidente che in Asia.

Nessuna forza sembrava in grado di arrestarne l’avanzata, specialmente dopo che i Turchi musulmani erano riusciti a costituire un grande impero (Impero Ottomano), a conquistare l’intera Anatolia e quel che restava dell’Impero bizantino, a far capitolare Costantinopoli (29 maggio 1453) e a dirigersi coi loro eserciti verso Ungheria, Serbia, Croazia e Austria.

La caduta di Costantinopoli

La caduta di Costantinopoli, che aveva consentito al conquistatore ottomano Maometto II (1432-1481) di entrare a cavallo nella chiesa di Santa Sofia, suscitò nell'Occidente cristiano forte sgomento e preoccupazione, come osservava Enea Silvio Piccolomini (1405-1464), allora segretario della cancelleria dell’imperatore Federico III d’Asburgo (1415-1493) e futuro papa Pio II (dal 1458), perché sembrava la caduta di un simbolo fondante del Cristianesimo e un brutto presagio per la sorte della Cristianità. Del resto, Maometto II non si faceva scrupoli, si considerava l’erede legittimo del passato imperiale di Costantinopoli e come capo dell’Islam aspirava al dominio universale esteso anche all'Occidente cristiano. Di fatto, conquistò quasi subito l’intera Penisola Balcanica (ad eccezione di alcuni territori sotto dominio veneziano) e parte dell’Ungheria.

L’Islam non riuscì tuttavia ad estendersi nell'Asia settentrionale perché il principato della Moscova (oggi Russia europea), dopo la caduta dell’Impero bizantino, cercava a sua volta di estendersi sia a nord che ad est oltre gli Urali. Inoltre, la Chiesa di Mosca (la «Nuova Roma»), divenuta la più autorevole delle Chiese ortodosse, non disperava di poter riportare un giorno la croce a Santa Sofia a Costantinopoli; e intanto faceva costruire nella capitale la splendida cattedrale di San Basilio. Senza la resistenza russa probabilmente l’Europa sarebbe stata interamente islamizzata.

Anche in Occidente, dopo la conquista della penisola iberica, fu più difficile all'Islam estendere la propria influenza perché le monarchie si erano dotate di eserciti nazionali forti ed erano disposti, se necessario, a coalizzarsi per una difesa efficace o per sostenere la riconquista dei territori persi, come stava facendo la Spagna. La paura, tuttavia, era ancora diffusa.

La vittoria di Lepanto

Battaglia di Lepanto, vinta dalla flotta cristiana (1571)
Nel 1570, quando i Turchi stavano per impadronirsi di Cipro, il papa Pio V (1504-1572) promosse un’alleanza tra i cristiani, che mise in mare una flotta di oltre duecento navi ben armate. Vi partecipavano la Repubblica di Venezia (che mise a disposizione la metà delle imbarcazioni), l'Impero spagnolo (con il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia), lo Stato Pontificio, la Repubblica di Genova, i Cavalieri di Malta, il Ducato di Savoia, il Granducato di Toscana e altri Stati italiani. 

Lo scontro con la flotta turca di trecento navi avvenne il 7 ottobre 1571 nel golfo di Lepanto. La vittoria schiacciante della flotta cristiana produsse un’impressione fortissima in tutta la Cristianità ed ebbe un’importante ricaduta sul piano della devozione, soprattutto di quella mariana: alla Vergine, infatti, si attribuì l’esito dello scontro navale e il papa consacrò alla Madonna della Vittoria la prima domenica di ottobre.

La vittoria di Lepanto non segnò la nascita dell’Europa, ma contribuì a delinearne i confini. Fu un grande segno di speranza e rafforzò la coscienza «europea» con solide radici cristiane.

Giovanni Longu
Berna, 21.2.2024

14 febbraio 2024

6. Islam, Crociate e la nascita della coscienza «europea»

Dopo l’anno Mille, sembrava che il continente europeo si fosse risvegliato da un lungo sonno. In realtà il risveglio era già avvenuto con la percezione che stesse nascendo una realtà socio-politica nuova, animata da una coscienza, che sarebbe stata definita in seguito «europea». Essa accomunava tutti i popoli dall'Atlantico ai monti Urali che stavano per dare contenuti specifici (di tipo politico, culturale, economico) a una matrice comune, in cui erano confluiti la grande eredità del passato (la civiltà greco-romana), elementi consuetudinari delle popolazioni di origine germanica e slava e la spiritualità cristiana (ormai diffusa su tutto il continente e ravvivata da un monachesimo attivo). A protezione della fragile realtà che si stava formando, l’Occidente cristiano organizzò le crociate e gettò le basi del proprio futuro.

Risveglio minacciato

Abbazia di Cluny: il «risveglio» dopo il 1000 riguardò tutto
l'Occidente cristiano, allora minacciato soprattutto dall'Islam. 
Il «risveglio» dopo il Mille fu propiziato da molti fattori, ma soprattutto dall'indebolimento della lotta per il primato tra Chiesa e Impero e dalla minaccia di pericoli incombenti. In Oriente, la Chiesa aveva accettato di buon grado un ruolo subalterno in cambio di protezione e privilegi; in Occidente si era raggiunto un compromesso che conveniva a entrambe le istituzioni, visibilmente in crisi e consapevoli che la situazione stesse per sfuggire al loro controllo (cfr. articolo precedente).

Specialmente in Occidente, l’Impero era contestato da molti popoli (compresi gli Svizzeri) che cercavano spazi importanti di autonomia sulla spinta di sentimenti nazionalistici molto diffusi tra le popolazioni (spesso eterogenee) stabilitesi sul continente e che avrebbero dato vita in epoche successive a una miriade di principati, ducati, Città libere, Repubbliche marinare e infine agli Stati nazionali indipendenti.

Ma anche la Chiesa di Roma era molto contestata sia per la sua decadenza morale che per la sua presunta autorità suprema. Le esigenze di una vita più consona al Vangelo generarono in alcuni casi tentativi di separazione, nascite di movimenti ereticali (Catari, Valdesi e altri), proclamazioni di antipapi, contro cui la Chiesa di Roma reagì spesso con violenza e con la scomunica. In altri casi si crearono movimenti virtuosi di portata continentale. Tale fu, per esempio, il nuovo modello di vita monastica promosso dall'abbazia di Cluny (Francia) e diffusosi rapidamente (con oltre 200 monasteri) in tutto il continente, ma anche l’esempio contagioso di alcuni santi di grande rilevanza come Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) in Francia, Ildegar da di Bingen (1098-1179) in Germania, Thomas Becket (1118-1170) in Inghilterra, Domenico di Guzman (1170-1221) in Spagna, Francesco d’Assisi (1181-1226) in Italia, Brigida di Svezia (1303-1373), ecc.

Il preteso primato della Chiesa di Roma (il papa è l’unico successore di san Pietro) portò invece alla rottura con la Chiesa d’Oriente (Scisma d’Oriente del 1054). Tra le due Chiese, tuttavia, i rapporti sia pure meno frequenti non furono mai interrotti, anche perché in occasioni particolari il sostegno reciproco era nell'interesse di entrambe, per esempio nella realizzazione delle crociate e nella lotta contro l’Islam.

Le crociate (1096-1270) e la lotta all’Islam

Le crociate non riuscirono a liberare la Terrasanta dai musulmani,
ma furono importanti per la formazione di una coscienza «europea».
Da secoli molti cristiani dall'Occidente si recavano in pellegrinaggio in Terrasanta per visitare i Luoghi Santi, finiti nel frattempo in mani musulmane. Dopo il Mille, molti ne auspicavano la riconquista in quanto eredi dell’Impero Romano e cristiani. Alla base di questa rivendicazione non c’erano solo motivi religiosi, ma anche politici ed economici. I musulmani erano considerati pericolosi usurpatori perché non avevano occupato solo la Terrasanta, ma anche gran parte della Spagna, la Sicilia, predavano le coste della Sardegna, dell’Italia e della Francia e le loro spedizioni di saccheggio non accennavano a diminuire, nonostante alcune sconfitte inferte alle loro marinerie da quelle di Pisa e Genova.

In questo clima antislamico fu facile al papa Urbano II nel 1095 lanciare la prima crociata (1096-1099), che si concluse con la conquista di Gerusalemme e la creazione di vari Stati cristiani d’Oriente. Alla prima ne seguirono almeno altre sette, con esiti non sempre conformi alle aspettative. Ma qui non si tratta di ripercorrere questa lunga e controversa storia politico-religiosa, ma di sottolinearne un aspetto significativo.

Le crociate e più in generale la lotta all'Islam sono state infatti nel Medioevo il momento del più ampio coinvolgimento dei popoli «europei» sotto un unico vessillo, la Croce di San Giorgio, in una grande impresa non solo religiosa, ma anche politica e commerciale (come si vedrà meglio nel prossimo articolo). Alle crociate intervennero infatti, sebbene non tutti contemporaneamente, gli Stati dell’Occidente cristiano (con in testa sovrani illustri come Federico Barbarossa, Riccardo Cuor di Leone, Federico II, Luigi IX di Francia, ecc.) e dell’Oriente cristiano-bizantino (che allora comprendeva anche la Russia occidentale). Anche quest’ultimo, infatti, aveva interesse a difendere i propri confini dall'avidità dei conquistatori musulmani.

Giovanni Longu
Berna, 14.2.2024

07 febbraio 2024

5. Il Sacro Romano Impero e l'Europa cristiana

Alla morte di Carlo Magno il suo impero non resistette a lungo. Rimase però la nostalgia dell’Impero Romano e l’idea di raggruppare i popoli romano-barbarici in un’unica entità sotto l’autorità civile dell’imperatore e l’autorità spirituale del Papa. Un’impresa difficile perché già con Carlo Magno le due autorità erano spesso in conflitto e nessuna voleva sottostare all'altra. Per di più entrambe volevano avere il controllo della gerarchia ecclesiastica (nomina dei vescovi e degli abati: l’Imperatore per poter esercitare la funzione di protettore della Chiesa, il Papa in nome della libertà della Chiesa (libertas Ecclesiae) e perché fin dai primi secoli i vescovi venivano eletti dal clero e dal popolo (a clero et populo). Si giungerà allo scontro sulla fine del millennio, ai tempi del Sacro Romano Impero Germanico.

Lotte tra Papato e Impero

Lotta per le investiture- Enrico IV a Canossa
Uno dei protagonisti delle lotte tra Impero e Papato è stato Ottone I (912-973), duca di Sassonia (uno degli Stati formatisi dopo la divisione dell’impero carolingio). Divenne importante agli occhi del Papato dopo aver sconfitto nel 955 gli Ungari (popolazione di origine asiatica) e sostenuto il loro capo Stefano I (969-1038) a costituire una monarchia e a convertire al cristianesimo il suo popolo. In entrambe queste operazioni ebbe il sostegno del papa Silvestro II, facendogli pervenire, nell'anno 1000, la corona regia e la croce apostolica. In questo modo il popolo magiaro entrava nella comunità delle nazioni cristiane d'Occidente e la Chiesa di Roma estendeva a Oriente la sua influenza.

Le «benemerenze» di Ottone I non si fermavano tuttavia alla sconfitta degli Ungari. Intervenne infatti anche in Italia per salvare il papa Giovanni XII (905-964) dalle minacce del re d’Italia Berengario II (900 ca.-966). Il papa fu salvo, ma dovette incoronare Ottone come Imperatore del Sacro Romano Impero (962) e concedergli il privilegio (Privilegium Othonis) di esigere la fedeltà dei vescovi, degli abati e dello stesso papa. Giovanni XII, accusato di complottare contro l’imperatore, non riuscì a salvarsi una seconda volta, fu fatto decadere nel 963 e al suo posto fu eletto Leone VIII (915-965), un fedelissimo dell’imperatore.

Crisi della Chiesa e tentativi di riforma

Abbazia di Cluny (Wikipedia)

Seguì per la Chiesa un periodo desolante con numerosi papi e antipapi (alcuni dei quali morirono in esilio o assassinati), una corruzione dilagante (avidità di denaro, acquisto di cariche e privilegi, dissolutezza di preti e vescovi, sete di potere) e la continua ingerenza dell’imperatore nelle elezioni e deposizioni di vescovi, abati e papi in base al principio di fedeltà e non della spiritualità. Inoltre la Chiesa di Roma finì per scontrarsi con la Chiesa d’Oriente, provocando lo Scisma d’Oriente (1054) non ancora definitivamente risolto.

Alla Chiesa di Roma non era bastata la riforma della vita monastica avviata dall'abbazia di Cluny (910) né la riforma del papa Gregorio VII (1020-1085) che, pretendendo di essere «il rappresentante di Cristo sulla terra» rivendicava la superiorità del Papato su ogni autorità temporale, pretendendo il diritto esclusivo di nominare, deporre e scomunicare non solo vescovi e abati ma anche i principi insubordinati.

Nella storia è ricordato il celebre atto di sudditanza dell’imperatore Enrico IV (1050-1106), scomunicato e perdonato dal papa Gregorio a Canossa, ma in realtà il dissidio tra le due autorità era destinato a durare. Tanto è vero che l’imperatore, tornato in Germania, riprese a nominare vescovi e abati ed essendo stato scomunicato un’altra volta, discese a Roma, depose il papa Gregorio VII costringendo a fuggire, nominò un antipapa e si fece incoronare imperatore. La pace era ancora lontana.

L’equivalenza Europa = Cristianità si conferma

Nonostante le difficoltà delle Chiese d’Oriente e d’Occidente e la difficile convivenza tra potere religioso e potere politico, attorno all'anno 1000 si confermava per l’insieme dei popoli del continente europeo (fatta eccezione per i Paesi scandinavi che si convertiranno al cristianesimo nel XII secolo) l’equivalenza tra Europa e Cristianità (cfr. articolo precedente).

Sotto questo profilo non è infondato parlare di radici cristiane (sia pure insieme ad altre) dell’Europa di oggi, sebbene le differenti forme di adesione ecclesiale non siano irrilevanti. Infatti, l’adesione di alcuni popoli alla Chiesa d’Oriente e di altri (compresi Ungari e Polacchi) alla Chiesa d’Occidente abbia comportato un diverso orientamento dei popoli e Stati europei nel loro sviluppo non solo in campo religioso, ma anche culturale e politico.

Giovanni Longu
Berna 7.2.2024


31 gennaio 2024

4. Carlo Magno, Imperatore cristiano

Carlo Magno (742-814) è considerato da alcuni storici il «padre dell'Europa» per il suo tentativo di riunire sotto la stessa direzione le popolazioni che dopo le invasioni barbariche si erano stabilizzate e costituite in Stati. Altri lo negano perché all'epoca mancava ancora una nozione di «Europa» nel senso che acquisterà nei secoli successivi. Il re dei Franchi e poi imperatore del Sacro Romano Impero aveva forse in mente una sorta di ricostruzione dell’Impero Romano d’Occidente, ma non la creazione di un’entità nuova perché gli mancava una coscienza «europea». Eppure gli va riconosciuto il merito di aver tentato per la prima volta l’unificazione di una parte dei popoli romano-barbarici, che tra le poche caratteristiche che avevano in comune, una era l’appartenenza alla fede cristiana.

Carlo Magno, tra papato e impero

Carlo Magno (742-814) (Electo Magazine)

Si è detto (cfr. articoli precedenti) che è stato il Cristianesimo a prendersi cura delle popolazioni indigene al tempo delle invasioni e di salvare i valori della romanità. Bisogna aggiungere che il Papato, finite le persecuzioni e acquistato enorme potere religioso (attraverso i Concili, ordini religiosi e vescovi sottomessi) e politico (attraverso ricche donazioni, diocesi importanti e grandi monasteri), ha probabilmente ritenuto di poter far rivivere il defunto Impero Romano in una forma diversa e più ampia e duratura di quella politica immaginata da
Carlo Magno
.

L’aspirazione di alcuni papi era di finalizzare l’evangelizzazione dei popoli non cristiani alla realizzazione di una «Chiesa universale», libera e non limitata agli abitanti di alcune regioni. Per realizzarla, il primo passo, riuscito, consistette nel sottrarsi ai condizionamenti religiosi della Chiesa d’Oriente. Soprattutto grazie all’attività riformatrice di papa Gregorio Magno (540 ca.-604), in Occidente fu possibile, per esempio, adottare il latino al posto del greco come lingua della liturgia, semplificare il cerimoniale, accrescere la preparazione dei vescovi e dei sacerdoti, sviluppare il monachesimo e non da ultimo rafforzare l’autorità del Papa come «capo di tutte le Chiese d’Europa».

Il secondo passo avrebbe dovuto portare la Chiesa di Roma all'indipendenza dall'influenza politica di Costantinopoli, «la seconda Roma», ma le riuscì solo in parte, perché dovette creare un contropotere, da cui però finì anche per dipendere. Molto abilmente il papa Leone III (750-816) aveva sostenuto Carlo Magno, capo dei Franchi, dapprima nella lotta contro i Longobardi, gli arabi della penisola iberica, alcune tribù germaniche sassoni, i Bavari, gli Avari e altri popoli romano-barbarici e poi, a Roma nella notte di Natale dell’800, incoronandolo Imperatore del Sacro Romano Impero, chiaramente in funzione anti imperatore d’Oriente.

Primato contestato – scontro rinviato

Il compenso materiale per la Chiesa fu lauto perché Carlo Magno concesse alla Chiesa il possesso dell’Emilia, della Toscana, di Roma e dei territori bizantini in Italia, iniziando di fatto quello che in seguito diventerà lo Stato Pontificio. Ma anche l’imperatore non si accontentò del titolo e della corona, e si fece riconoscere come il suo omologo orientale protettore della Chiesa, difensore della fede e garante dell’ortodossia. Un riconoscimento non indifferente per un cristiano che non sapeva scrivere e leggeva a stento, ma utile anche al Papa che poteva servirsene non solo contro le pretese egemoniche di Costantinopoli ma anche contro i nemici interni alla Chiesa (soprattutto vescovi ribelli e monasteri troppo potenti).

Roma, «Donazione di Costantino» al papa Silvestro I (affresco del 1246) 
I rapporti tra Papato e Impero non erano tuttavia ben chiari, perché anche il Papa, che si considerava erede diretto dell’apostolo Pietro e capo della «Chiesa universale» era in qualche modo antagonista dell’Imperatore. Questi, d’altra parte, difficilmente avrebbe rinunciato al controllo sui vescovi e sui conventi, dove pulsava la vita, rinasceva l’agricoltura, si sviluppava l’artigianato e ricominciava il commercio. Non si giunse tuttavia a uno scontro sul primato delle due autorità perché in quel momento i protagonisti, Carlo Magno e Leone III, avevano bisogno l’uno dell’altro.

Lo scontro per il primato fu però solo rinviato, anche perché l’impero di Carlo Magno, che si estendeva ormai dai Pirenei al Danubio e dal Mare del Nord al Lazio, vasto ma fragile non avendo il controllo dei mari (e quindi dei commerci) e internamente male organizzato e poco coeso, avrebbe potuto offuscare l’ambizione del Papato al vertice della Chiesa universale solo se le ambizioni espansionistiche e centralistiche dell’imperatore fossero state proseguite.

Poiché tale condizione non si verificò, alla morte di Carlo Magno si venne a creare una situazione ideale per far emergere la superiorità della Chiesa di Roma e quindi del Papa sull'Impero e l’equivalenza fortemente voluta dalla Chiesa di allora: Europa = Cristianità.


27 gennaio 2024

Giorno della memoria e del (possibile) riscatto!

Non è facile, oggi, parlare della Shoah, per cui quasi tutti ne parlano come ricordo di un evento del passato, atroce ma non inspiegabile. Infatti fino alla seconda guerra mondiale il clima generale era avverso agli ebrei non solo in Germania. Il loro dramma era cominciato all'indomani della crocifissione di Cristo a Gerusalemme e non si era mai interrotto, anche nella Chiesa, sebbene la controversia tra cristiani ed ebrei sia stata per secoli soprattutto di carattere teologico, non sociale. Già il papa Gregorio Magno (590-604), per esempio, era favorevole a una buona convivenza con gli ebrei. 

Nel Medioevo, in molti Paesi la loro presenza non era tuttavia gradita. In Europa furono quasi ovunque discriminati, vessati e talvolta cacciati via (dalla Francia, dall'Inghilterra, dalla Germania, dalla Spagna, dal Portogallo…). Successivamente molti ebrei poterono tornare negli stessi Paesi, ma furono sottoposti spesso ad autentiche persecuzioni e angherie di ogni sorta. 

In epoca moderna i pochi Paesi disposti ad accoglierli (Stati Uniti in primis) riuscirono ad ospitarne centinaia di migliaia in fuga soprattutto dall'Europa orientale (Russia, Ucraina, Polonia,… ), ma anche in essi gli ebrei non ebbero vita facile.

Nella giornata della Memoria ci si limita spesso a ricordare il martirio degli ebrei sotto il nazismo nei campi di sterminio, ma ci si dimentica spesso dell’antisemitismo diffuso in tutta l’Europa. Ci si dimentica anche di ricordare le cause remote dell’odio razziale, l’ignoranza, la falsità consapevole, il nazionalismo, la mancanza di rispetto nei confronti della persona umana. Si evita, inspiegabilmente, anche di condannare apertamente tutti i comportamenti che suscitano odio tra le persone e tra i popoli, a cominciare dalle guerre (in Ucraina, in Palestina, nel Medio Oriente, in Africa…) e da tutte le forme di discriminazione che creano ricchi e poveri, cittadini di serie A e cittadini di serie B, benestanti e disagiati.

Il Giorno della Memoria dovrebbe essere per tutti l’occasione per una scelta di campo netta tra la Pace e la Guerra, l’Onestà e la Disonestà, il Giusto e l'Ingiusto, il rispetto dell’altro e la discriminazione, il Bene e il Male, ricordandoci che solo l'amore sconfigge l'odio, perché «Dio è amore e chi rimane nell'amore rimane in Dio». Per questo il Giorno della memoria potrebbe essere anche il Giorno del riscatto!



[1] Cfr. Paravicini 123.